di Giorgio Fedeli (foto Federico De Marco)
Lo hanno invitato a abbassare i toni, è stato lo stesso arcivescovo Luigi Conti, durante l’omelia, ad ammettere di aver chiesto anche lui, a tutti, di farlo. C’è chi ha puntato l’indice contro la strumentalizzazione della morte di un uomo. Ma don Vinicio Albanesi non indietreggia, rilancia, per lui i toni devono restare alti. E questa volta ha parole anche per Amedeo Mancini, indagato per l’omicidio di Emmanuel, per il sacerdote quasi una vittima del sistema. Dopo aver ricostruito l’odissea di Emmanuel e Chinyere dalla Nigeria a Fermo, il presidente della comunità di Capodarco si lascia andare alle sue considerazioni, a tratti pungenti: “Martedì ero in viaggio, mi chiamano e mi dicono che Emmanuel è in ospedale, in coma irreversibile, intuisco che tutto possa passare per una “cagnara” locale invece Chinyere mi spiega cosa è accaduto. Indico una conferenza stampa il giorno dopo e dico ai giornalisti che per me era stata non solo una provocazione ma che Emmanuel era morto ammazzato perché voleva difendere la sua dignità.
Un nostro concittadino aveva aggredito Chinyere verbalmente chiamandola con parole irripetibili (“scimmia”), Emmanuel ha voluto salvare la sua dignità perché non si chiama una persona con un nome di bestia. Stavano passeggiando, dovevano prendere una crema. Non ho permesso che diventasse un piccolo episodio locale perché io ci sono passato da queste storie: 20 anni fa in un carcere locale un ragazzo fu pestato di botte. Aprirono un’inchiesta e furono assolti tutti. Protestai con un pm che mi disse “stai attento, potresti beccare qualcosa di grosso”. Mi sono costituito parte civile per difendere la dignità” parole interrotte da un lungo applauso e dal canto disperato di Chinyere. “E questa dignità io intendo continuare a difenderla, a Capodarco sappiamo da 50 anni cosa significa. A me non interessano i processi, la giustizia legale. Chinyere ha avuto attorno a lei molti samaritani, tutti quelli che ci hanno sostenuto.
Le suorine della comunità di Capodarco sono sante. Suor Rita guida 124 ragazzi e non sgarrano perché abbiamo fatto un patto: noi rispettiamo i loro sogni e desideri, loro le nostre regole. Non c’è un ragazzo che sia andato a chiedere l’elemosina, che sia rimasto coinvolto in una rissa. Che abbia chiesto qualcosa che non andava perché il rispetto è mutuo. Questa è la base della convivenza. Samaritani, tanti: il rettore dell’università di Ancona ha offerto a Chinyere la possibilità di diventare medico, l’università di Perugia le ha offerto quella di imparare l’italiano, lei lo comprende ma lo parla poco. Una grande azienda italiana ha offerto a lei un lavoro stabile. Ringrazio tutti coloro che ci hanno mostrato affetto.
Qualcuno sostiene che ho spinto perché il presidente della Repubblica intervenisse, perché arrivassero il presidente della Camera Boldrini, i ministri Alfano e Boschi, il vicepresidente della Commissione europea Sassoli, io giuro davanti a Dio di non aver chiamato nessuno anche perché non ho i numeri. Sono venuti e io sono stato felice perché la dignità va rispettata sempre e comunque. Qualcuno mi dice di abbassare il tono, non lo abbasso perché io non ce l’ho con quel ragazzo: Amedeo è un ragazzo come tanti. Qualcuno, invece di spingerlo alla sua impulsività, avrebbe dovuto aiutarlo a crescere – un secondo applauso interrompe nuovamente don Vinicio – a diventare responsabile, a essere un cittadino felice, perché questo è il nostro scopo.
Ringrazio i media che hanno tenuto alta l’attenzione sul rispetto della dignità su cui non medio, non posso farlo, tradirei la mia vita e la mia storia. Rispetto tutti e chiedo che tutti siano rispettati sempre e ovunque”. Poi la citazione di San Paolo: “Non c’è greco né giudeo, né schiavo né libero, né maschio né femmina perché siamo tutti fratelli in Cristo. L’arcivescovo mi ha detto di temere per la mia incolumità. La nostra vita è nelle mani di Dio, posso scivolare e battere la nuca sulle scale della chiesa. Il Signore non ci chiede di essere eroi ma discepoli. Qualcuno ha detto “hanno avuto il coraggio di fare il funerale di Emmanuel al duomo”. A quel qualcuno rispondo che la prima beatitudine dice beati i poveri. E noi questo cerchiamo di fare. Emmanuel è stato un mite, Chinyere ha chiesto dove fosse Dio quando le hanno portato via il marito: era accanto a lui, quello stesso Dio deriso, circondato di spine, flagellato, crocifisso con una folla che gli ha preferito Barabba. Siamo chiamati a questa testimonianza. Mi hanno chiesto che la salma di Emmanuel sia portata in Nigeria, non so come fare, lo chiederò all’ambasciatore, ho promesso che lo farò. Ora la appoggiamo nella cappellina del cimitero di Fermo poi bisognerà sbrigare molte pratiche ma sarà un impegno che manterrò”.
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