Enrico Mazzaroni,
lo Chef che dai Sibillini incanta il mondo

 

Editorial_Portrait-9160

di Ugo Bellesi

C’è un locale, nel cuore dei Sibillini, che fino a qualche anno fa era conosciuto soltanto dalla gente del territorio, poi la frequentazione si è allargata ad una clientela che abbraccia tutte le Marche ed oggi è sempre più la meta di “appassionati del bello, del buono e del fatto bene” che viaggiano su auto con targa straniera perché vengono da altri paesi europei. Si tratta del ristorante “Il Tiglio” che ha una storia “antica” e tutta marchigiana. E’ incastonato in una amena località del monte Sibilla, e precisamente ad Isola San Biagio (Montemonaco). Ne è titolare uno chef innovativo ma saldamente legato alle tradizioni. Si tratta di Enrico Mazzaroni, una persona squisita che dopo aver conseguito due lauree (giurisprudenza e psicologia) e con una brillante carriera di fronte come ricercatore universitario a Bologna, lascia la grande città e torna al suo paese d’origine, appunto Isola San Biagio.
Qui i genitori conducono da sempre una florida azienda agricola insieme alla zia Lucia e alla nonna Caterina. E saranno queste due donne, insieme alla mamma Anna, a inculcare in Enrico la passione per la cucina del territorio. Negli anni ’70 lo zio Agostino e la zia Rosa avevano aperto un bar con generi alimentari provenienti dall’azienda agricola dei Mazzaroni. Iniziativa che però si era ben presto trasformata in una via di mezzo tra agriturismo e trattoria con l’insegna “Il Tiglio”.
E’ proprio in questo ambiente che Enrico ritorna nel 1994 e si dedica alla ricerca e allo studio di una materia cui era profondamente legato: la gastronomia. Non ha ancora una grande esperienza oltre la cucina della tradizione ma con passione si dedica allo studio e alla ricerca partendo da Escoffier e dall’Artusi, ma soprattutto sono fondamentali gli stage presso “Les Ambassadeurs” di Parigi e con Seiji Yamamoto (3 stelle Michelin) uno dei cuochi più famosi del Giappone. Ovviamente dalla Nouvelle Cuisine apprende il messaggio di andare alla ricerca dei prodotti migliori perché è sempre dalla materia prima che nasce il piatto più stupefacente. Ma egli è affascinato anche dalla cucina molecolare di Ferran Adrià. Utilissimi i consigli che riceve da Luigi Cremona mentre gli chef che egli ammira di più sono Uliassi e Niko Romito senza dimenticare ovviamente l’avanguardia della ristorazione italiana rappresentata Editorial_Portrait-9157da Paolo Lopriore de “Il Portico” di Appiano Gentile e Pier Giorgio Parini dell’”Osteria del povero diavolo” a Torriana.
Poi, nei vecchi locali de “Il Tiglio” (il nome non è mai cambiato) rimette tutto a nuovo dalla cucina ai locali destinati alla clientela. Nel 2004 parte la sua nuova avventura. Il locale è elegante e si distingue per una sobrietà raffinata, nel senso che non c’è nulla che possa distrarre il commensale dal motivo principale per cui è entrato ne “Il Tiglio”. Due i tipi di tavoli che arredano i locali: tradizionali rotondi coperti di una tovaglia bianchissima oppure tipo fratino con solide tavole scure. La cantina dispone di 450 etichette ben selezionate con preferenza per la produzione del territorio. C’è anche una saletta/enoteca in cui è piacevole trascorrere il tempo “post prandium” in meditazione o conversando piacevolmente mentre si gusta un vino, un liquore o un…gelato. Sovrintende alla sala e ai vini il cugino di Enrico, Gianluigi Silvestri, persona impeccabile, veramente professionale.

Si possono scegliere vari tipi di menù a seconda del prezzo che si vuole spendere, ma il costo è sempre inferiore al valore e alla qualità dei piatti serviti. E’ indispensabile prenotare. “Il Tiglio” è aperto tutti i giorni da giugno a settembre mentre da ottobre a maggio solo nei fine settimana.
Quale è la filosofia della cucina? Sono due i concetti su cui Enrico insiste molto. Il primo è questo: “La natura è la più grande ispirazione che un cuoco possa avere”. Il secondo, più complesso, recita così: “Stupisci e ricerca una tecnica nuova che possa rendere diverso un prodotto usato!” Con queste premesse il suo obiettivo è uno solo: “Creare una cucina semplice e immediata ma soprattutto buona e sbalorditiva”. Non sorprenderà quindi scoprire che gli stuzzichini di apertura sono una serie di invenzioni gastronomiche, di idee geniali, di seduzioni raffinate, di scoperte sorprendenti. Mai banali però perché in ogni “assaggio” si scopre un sapore pieno, gustoso e piacevole. Così mettendo in bocca l’”ovetto su fieno di pasta di parmigiano” si scopre che quella pallina, poco più grande di un confetto, ha il sapore perfetto di una frittata. Manipolata opportunamente da Enrico essa può anche avere il gusto preciso della carbonara. Oppure se ti servono le “finte bacche di pane bruno e alici glassate di gelatine ai frutti di bosco” ti vedrai arrivare nel piatto delle bacche rosse infilate sulle spine di un tronchetto di biancospino. E fanno parte degli stuzzichini anche delle piccole cialde scure sottilissime croccanti realizzate con olive nere. Squisite pure le cialde di polenta. E i piatti di servizio sono sempre diversi, appropriati alla pietanza, e quindi non solo bianchi ma anche variamente decorati, e non sempre piani o cupi, ma anche a forma di ciotola, sostituiti a volte da una paletta metallica con manico di legno. Addirittura il pre-dessert viene presentato in una valigetta in vimini bianca da viaggio. E per dessert può arrivare una finta polenta distesa sul tavolo, coperto da carta da forno, fatta con crema, sopra del croccante a mo’ di pancetta fritta e quindi la panna, il tutto “sifonato” con azoto liquido. Tutti accorgimenti questi fatti per “stupire” il commensale che poi però viene “catturato” dalla bontà del cibo, dall’alta qualità della materia prima e da una preparazione raffinata.
E gli stuzzichini come gli antipasti presentati in modo non convenzionale non mirano certo a “dissacrare” il cibo bensì a “rompere il ghiaccio” tra i commensali che cominciano a farsi tante domande, anche da un tavolo all’altro e con il personale di servizio sempre presente e inappuntabile. Ed è proprio così che si celebra il “rito” della convivialità, un elemento fondamentale per la qualità della vita.
Quella di Enrico è una cucina fatta per creare meraviglia, per sorprendere, per “spiazzare” ma che ti fa riflettere e ti emoziona perché capisci che dietro c’è tanto lavoro di ricerca, tante sperimentazione, tanta tecnica, tanta innovazione. E i tanti sapori gustati, mentre mantengono “leggero” lo stomaco, ti saziano e ti preparano ad altre “avventure gastronomiche”, che possono essere il “tortello della mamma”, le tagliatelle (esclusivamente fatte a mano) squisite, il fegato d’oca “grattugiato”, l’assaggio di baccalà così morbido da sciogliersi in bocca, o un quadratino di cervo cotto alla perfezione gustosissimo. E si potrebbe continuare citando la famosa “patata sotto la cenere” o altre prelibatezze che vengono direttamente dai due grandi orti della famiglia Mazzaroni.
Ma perché poi sorprendersi del genio culinario di Enrico Mazzaroni dal momento che egli stesso ha scelto di vivere e lavorare in un ambiente favoloso come i Sibillini e proprio nel cuore del monte Sibilla? Un massiccio che nasconde la misteriosa grotta della Sibilla, legata a doppio filo con il romanzo cavalleresco “Il Guerrin Meschino” di Andrea da Barberino, con il racconto leggendario di Antoine De La Sale e con il “Tannhauser” di Wagner. E se l’ambiente forma il carattere di una persona perché non ricordare il lago di Pilato, l’Infernaccio, Foce di Montemonaco (detta “la piccola Svizzera Picena”), il lago di Pilato? E’ una vastissima area ricca di specie officinali e nota, tra XV e XVI secolo, come “terra di alchimisti” e proprio nel santuario della Madonna dell’Ambro c’è un dipinto della “Sibilla chimica”.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page


Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati




Gli articoli più letti