di Andrea Braconi
Il giorno dopo rimane ancora più difficile commentare una sentenza attesa, ma sicuramente molto deludente, per il patteggiamento di Amedeo Mancini in merito alla morte Emmanuel Chidi Namdi, il 36enne nigeriano ucciso a Fermo. Era il 5 luglio 2016 e proprio quella data è stata scelta come nome del comitato antirazzista nato subito dopo il tragico evento. Abbiamo sentito Giusy Montanini, che di questa realtà è una delle figure più attive.
Qual è il tuo, anzi, il vostro punto di vista sulla decisione di una condanna a 4 anni per Mancini?
“La cosa che lascia perplessi sono le dichiarazioni degli avvocati. Come Comitato noi non abbiamo elementi giuridici oggettivi, ma facciamo una valutazione sociale e politica dell’avvenuto. Dalle dichiarazioni emerse si rimane quantomeno perplessi, in particolare dall’avvocato della difesa secondo il quale è stata comminata una pena tenendo conto del massimo delle attenuanti e del minimo delle aggravanti. Quindi, uno si chiede: perché? perché a chi si è caratterizzato nella sua vita per frasi e atti razzisti poi viene riconosciuto il minimo dell’aggravante razzista? Da cittadini riteniamo che se la verità giuridica, e quindi la verità dei fatti, non emergerà, e con il patteggiamento probabilmente non emergerà mai più, rimane una danno enorme non solo per la vittima, che a nostro avviso non ha avuto giustizia, ma anche un danno per la società intera, soprattutto per quella parte che immediatamente si è schierata con l’omicida, un danno morale per cui alcuni atti possono rimanere quasi impuniti. Non è sicuramente un esempio di giustizia che possa contrastare un clima molto preoccupante. Anzi, c’è il rischio che patteggiamenti e accordi come questi possano in una qualche misura anche legittimare azioni di questo tipo in futuro. E certo non fanno da deterrenti.”
Dal 5 luglio in poi, dalle notizie che si sono susseguite, di tutto questo lungo percorso che idea vi siete fatti?
“L’evento drammatico già bastava per aprire nella città una ferita enorme e non rimarginabile. La reazione successiva data da sproloqui, affermazioni incredibili come la mafia nigeriana alla vigilia del patteggiamento, giornalisti che assumono subito una posizione di parte anziché indagare. Ecco, giornalismo d’inchiesta non c’è stato, c’è stato un altro tipo di giornalismo, mentre in questa fase avremmo avuto bisogno di un giornalismo vero. Sicuramente quello che è avvenuto dopo l’omicidio è stato più grave: la vittima che diventa aggressore e l’aggressore che diventa vittima. Questo di fatto è successo da un punto di vista mediatico e vissuto da buona parte della città. Le istituzioni, a nostro avviso, non hanno dato un buon esempio ad una società che oggi è malata.”
Da più parti si insiste sul fatto che per la città questa è stata una grande occasione persa.
“Questo è avvenuto e questo è oggettivo. Non c’è la verità su quanto accaduto e già prima ancora del patteggiamento si era creata questa idea di una rissa finita male; subito da parte della stampa c’è stata la tendenza a sminuire il fatto, e se la città, Amministrazione compresa, vive tutto questo come un evento che ha creato una cattiva immagine, senza andare nel profondo della questione… beh, questo è un problema enorme, perché una battaglia culturale la fai se hai intorno quei soggetti che dovrebbero essere preposti ad un miglioramento della stessa società. Sì, è un’occasione persa perché un evento come questo avrebbe richiesto una seria riflessione di dove sta andando non la società fermana ma quella italiana, e del bisogno di avere un nemico che sia altro da chi invece rappresenta veramente il potere e che crea le condizioni per un disagio enorme delle persone. Spostare l’attenzione sull’immigrato, sul più debole, è un modo molto efficace per non affrontare i problemi della gente, che sono la crisi economica, la mancanza di lavoro, l’ingiustizia, l’illegalità, la corruzione. Ma finché ce la prendiamo con gli immigrati tutti stanno più sereni e tranquilli, senza che nessuno si assume le proprie responsabilità, a partire dal Governo e dalle Amministrazioni locali. Comunque una brutta pagina, e se non c’è una verità questa ferità rimarrà aperta.”
E il Comitato da oggi come si muoverà?
“Il Comitato è nato soprattutto per una battaglia culturale, fa iniziative, continuerà a farle, ce ne sono diverse in cantiere. E rispetto a questo a maggior ragione riteniamo l’assoluta importanza di aver creato questo gruppo. Tutto quello che è avvenuto conferma che è fondamentale che ci sia una realtà organizzata che contrasti questa involuzione culturale e questa barbarie. E finché c’è una disgregazione sociale, nessuna conquista vera è possibile nel Paese. Quindi, contrastarla è un obiettivo prioritario.”
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