di Andrea Braconi
Determinato, consapevole di tutto quello che ha fatto e di quello che dovrà affrontare. Ma, al contempo, felice, è innegabile, per la libertà con obbligo di firma concessagli questa mattina da giudice (leggi l’articolo). Un ragazzo di 40 anni sicuro, a tratti adrenalinico. Dopo mesi passati a comparire sulle cronache locali, nazionali e internazionali per l’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi, Amedeo Mancini ha deciso che oggi è il momento di parlare. E lo fa dal bar Emilio, un luogo a lui caro, che appartiene alla sua quotidianità, nel cuore di Fermo. Uno sfogo il suo? Nemmeno più di tanto. Perché il 40enne fermano arrestato nel luglio dello scorso anno per l’omicidio del nigeriano Emmanuel sa bene cosa dire, e come dirlo. E sa anche a chi recapitare messaggi, nemmeno troppo velati. Spazia dal rapporto con don Vinicio Albanesi, schieratosi da subito dalla parte di Emmanuel e della moglie Chenyere, all’esperienza in carcere, va dalla sua visione di una città, la sua Fermo, divisa tra “destra” e “sinistra”, tra innocentisti e colpevolisti, fino a quella libertà che sa di doversi ancora conquistare, non la libertà dalle sbarre, quella nella testa e nel cuore. Il pensiero alla compagna. Poi quelle parole pesanti come macigni su colui che tanti hanno etichettato come il suo “rivale”, lo scomparso Emmanuel: “Lui va rispettato, non usato”. Mancini è stato in carcere dal 7 luglio al 12 ottobre: “Due celle condivise da 14 persone nella sezione dei cosiddetti protetti, a pochi metri da altri carcerati sottoposti al 41 bis. Un’esperienza difficile anche per quello che riguarda il cibo. D’altronde parliamo di uno come me abituato a mangiare 2 chili di bistecche. Ce lo vedete con 70 grammi di pasta? C’è una persona che voglio ringraziare, che per me significava tanto prima e ancora di più oggi, ed è la mia compagna che mi è stata sempre vicina. Quanto ai compagni di cella, persone che non posso giudicare per quello che hanno fatto in passato ma solo per quello che hanno fatto per me, posso solo portare rispetto per loro perché loro lo hanno portato a me per tutto il tempo. Persone che si sono anche tolte del pane per darlo a me. Domani sarò allo stadio per vedere la Fermana e per stare insieme alle persone che non mi hanno mai lasciato solo”.
Ricorda tutta la dinamica, Amedeo, di quel tragico 5 luglio, dalla caduta di Emmanuel, il colpo di nuca sul marciapiede, il suo rialzarsi e poi i suoi occhi che hanno iniziato a roteare, e la morte da lì a poche ore. Ma non ci sta a vestire i panni del mostro. “Ho sbagliato, ho iniziato a pagare per i miei errori e so che per essere completamente libero dovrò comportarmi bene”. A novembre infatti è prevista l’udienza in Cassazione e a seguire l’eventuale affidamento ai servizi sociali.
Si avvicina una signora per salutarlo e in dialetto fermano gli dice “Amedè ammò fa lu vonu” e lui “Perchè mi sono mai comportato male?”. Nella sua agenda da uomo libero c’è anche un incontro con Don Vinicio, nelle prossime settimane. Amedeo è arrabbiato con lui, non può e non vuole negarlo, però lo ringrazierà perché quella visita in carcere che il parroco gli ha fatto durante la detenzione per lui ha significato tantissimo. “Quando una persona viene a trovarti in carcere ti aiuta, così come hanno fatto il vescovo di Ascoli e il cappellano del carcere”. Sulla città di Fermo è dispiaciuto per il fatto che si è spaccata su questa tragedia, diventata un motivo di contrapposizione politica. “Io voto a destra, ma non sono un fascista che va in giro con la mazza da baseball o che stacca un palo per picchiare qualcuno. Quando mi sono ritrovato in mezzo ai casini ho sempre e soltanto utilizzato queste, le mie mani. C’è chi invece ha approfittato della morte di una persona, che non doveva morire e che oggi purtroppo non può più parlare, soltanto per una manciata di voti. Non capisco proprio il senso di certe manifestazioni se non per il tornaconto di qualcuno. Don Vinicio – Amedeo non ha peli sulla lingua – è stata la prima persona che mi ha accusato, magari avrebbe potuto aspettare due o tre giorni per capire quello che era successo”.
“Io ho sbagliato la reazione, tutto è durato tra i 10 e i 15 minuti, una storia che si è amplificata attraverso i giornalisti sopra le mie spalle e sopra le spalle della mia famiglia. E questo non posso dimenticarlo. Non dovevano toccare la mia famiglia”. E per Mancini è anche ora di dire stop alle diatribe razziali con lui come epicentro: “Io sarei razzista? Mai stato, e la prova è che ho diversi amici di altre nazionalità”.
Omicidio Emmanuel, Amedeo Mancini torna libero (LEGGI LA SENTENZA)
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