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«La tutela giurisdizionale dell’indagato/imputato e gli effetti nefasti del ‘cortocircuito’ mediatico»

Giuseppe Fedeli

* Giuseppe Fedeli

La tutela giurisdizionale dell’indagato/ imputato e gli effetti nefasti del ‘cortocircuito’ mediatico. 

“Giudicare impone di non vedere, perché solo chiudendo gli occhi si diventa spettatori imparziali” – Hanna Arendt 

La grossolana ingerenza della comunicazione mediatica nella giustizia penale ha gravissimi effetti collaterali, quali l’affievolimento del principio di legalità, l’inosservanza del principio di proporzionalità e la caduta delle garanzie sottese ai principi del giusto processo e della presunzione di innocenza. Alla luce di tale constatazione, si propone un ripensamento della posizione del diritto di cronaca nel quadro dei diritti costituzionalmente garantiti. Si è giustamente osservato, sulla scia di questa riflessione, che i principî, su cui poggia la giurisdizione penale, hanno la funzione di contemperare esigenze contrapposte, quali il diritto di cronaca, di critica e di informazione (art. 21 Cost.) da una parte, e il diritto ad un giusto processo, svolto nel contradditorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale (art. 111 Cost.), dall’altra. Questo impianto normativo fa tuttavia fatica ad arginare le incursioni, sempre più invasive, dei media. La morbosa attenzione dedicata dai quali alle vicende giudiziarie, determina di frequente la disapplicazione di fatto delle norme poste a tutela del segreto istruttorio (artt. 114 e 329 c.p.p.), al punto di assumere la “valenza” di consuetudine abrogatrice. Talché lo spostamento dell’ago della bilancia a favore del diritto di cronaca finisce per calpestare le esigenze di giustizia e dei diritti degli imputati (che sovente sono “indagati”, non essendo stato spiccato nei loro confronti alcun capo d’imputazione). Tale spirale, una volta innescata, finisce per autoalimentarsi -e diventare il palcoscenico di chi dovrebbe esercitare il suo munus secondo la legge…-, a dispetto della necessità di preservare -come detto- il segreto delle indagini e, in sinapsi, la presunzione di innocenza: nodi, che il processo mediatico, forte di un tam tam ossessivo, tende a neutralizzare: con conseguenze sulle persone coinvolte ben più devastanti del processo giudiziario (sul punto si richiama il fondamentale saggio del prof. Vittorio Manes “Giustizia mediatica”). Della pressione mediatica, a sua volta sobillata dall’opinione pubblica (la quale, influenzata dai verdetti ante et extra processum sparati dal catodico e dal web, nella falsa convinzione che il giudizio sia maturo, vuole la sentenza subito), si è occupata anche la Corte di Cassazione (sentenza del 1 febbraio 2011, n. 3674). Detta pronuncia ha definito con cristallina chiarezza il differente ruolo che i diversi attori del processo mediatico devono svolgere: “A ciascuno il suo, agli inquirenti il compito di effettuare gli accertamenti, ai giudici il compito di verificarne la fondatezza, al giornalista il compito di darne notizia nell’esercizio del diritto di informare, ma non di suggestionare la collettività”. In questo circo di esperti di tutto e di tutti, spesso contornato di figure tutt’altro che credibili, cruciale è il compito del Giudice, che avverte il peso, anche e soprattutto umano, del giudicare, di dire il justum (quella intima pena cui, in un memorabile saggio, dà voce Pietro Calamandrei, insigne giurista, che cooperò alla redazione della Carta Costituzionale).. 

 

* giudice 


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