TERREMOTO, UN ANNO DOPO
Il ritorno della Protezione Civile
di Fermo a Pescara del Tronto (VIDEO)

SISMA - Il nostro viaggio insieme a Francesco Lusek e ai volontari del gruppo nella frazione dove intervennero la mattina del 24 agosto, recuperando soltanto cadaveri. A distanza di 12 mesi il via alle donazioni dei fondi raccolti, insieme alla Croce Rossa Italiana, grazie alla generosità dei fermani e di alcune realtà cittadine, come il mercatino del giovedì e i diversi centri sociali.

di Andrea Braconi

 

Ricorda la chiamata intorno alle 6 del mattino, Francesco Lusek, a poco più di 2 ore dalla scossa che aveva devastato il territorio di Arquata del Tronto.

A Fermo la sala operativa del gruppo di Protezione Civile era stata attivata 5 minuti dopo il sisma, con l’inizio dei sopralluoghi in città e l’avvio dei contatti con le località del Fermano più colpite.

“Abbiamo iniziato a preparare l’attrezzatura – ricorda lo stesso responsabile – come sempre prima di una missione in attesa della chiamata che eravamo certi sarebbe arrivata”.

Subito la partenza di una prima squadra per la frazione di Pescara del Tronto, con a bordo strumentazioni per la ricerca di vittime sotto le macerie. Un’altra di rinforzo si muoverà poco più di un’ora dopo, con altre attrezzature più pesanti.

Un anno dopo ritornare a calpestare quella polvere significa percorrere a ritroso un’esperienza indelebile, vissuta tra il rumore delle pietre e il silenzio nella ricerca di morti o superstiti.

Lungo il percorso di avvicinamento alla zona colpita, i soccorritori fermani si sono confrontati sulle procedure da adottare e sulle proprie sensazioni, per alcuni era la prima esperienza su un disastro di vaste proporzioni. Da quel momento le uniche parole che segneranno la mattinata saranno soltanto termini tecnici per cercare di fare l’impossibile. “Purtroppo in tutte quelle ore di lavoro abbiamo estratto soltanto cadaveri, 11 per la precisione. Gli ultimi sono stati una madre con una bambina”.

Soltanto un cocker è stato tirato fuori dalle macerie dalla squadra di Fermo, lo stesso cane che tutti ricordiamo accanto ad una bara il giorno dei funerali delle vittime ad Ascoli Piceno.

Quella mattina un aiuto fondamentale lo ha dato Massimiliano, figura fondamentale del gruppo di Protezione Civile di Arquata del Tronto e non solo per la sua imponente mole. “Ci siamo conosciuti qui – dice lo stesso Massimiliano indicando un tetto collassato sopra un’abitazione. La maggior parte dei volontari veniva qua o ad Amatrice, dove c’erano stati crolli. La sera c’era anche la festa a Spelonga, c’era ancora la musica a quell’ora, hanno sentito la scossa ma non si sono resi conto della gravità della situazione. Poi quelli che erano qui hanno iniziato a chiamare e hanno raccontato quello che era successo”.

Ci indica il luogo dove venivano appoggiati i cadaveri in quelle frenetiche ore, un parco giochi visitato pochi giorni fa dal presidente della Repubblica e che su una delle recinzioni vede appoggiata una croce. Cadaveri che, dal basso della frazione, venivano trasportati a bordo di un apecar.

Difficile, al di là dei devastanti ricordi, immaginare un futuro qui. “Qua non verrà ricostruito, è praticamente impossibile su questo terreno. Bisognerà trovare un altro posto”.

“Nei giorni successivi – spiega Lusek – ci siamo inventati un’organizzazione per pasti e generi di prima necessità a chi voleva rimanere vicino alle proprie abitazioni. Questo è un problema serio soprattutto nelle aree di montagna, c’è una sorta di rifiuto a venire al campo. I volontari di Arquata, nonostante fossero sfollati, la mattina si mettevano la divisa, salivano sui nostri mezzi, e ci guidavano nei posti che conoscevano. Con il Gps abbiamo localizzato tutte le coordinate e le abbiamo inserite su Google Earth, creandoci un piano giornaliero artigianale con il quale sapevamo che a tale coordinate c’era tale famiglia con un anziano, dei bambini, una persona con un problema, una con un altro tipo di difficoltà e via dicendo”.

Un lavoro efficace, quasi una novità assoluta, che ha permesso di proseguire nei mesi successivi questa attività di assistenza. “Lì si è confermata l’importanza di questi gruppi di volontari di Protezione Civile presenti sul territorio e formati, un supporto importante per chi viene dall’esterno e non conosce la zona. Ecco perché dico sempre che bisogna lavorare di più sulla formazione che non sulle manifestazioni. Lì non era affatto facile, Arquata ha tante frazioni, facevamo partire anche fino a 3 squadre per svolgere questa attività. Nel primo turno eravamo 7 di Fermo, 4 di Porto Sant’Elpidio, altri 5 di altri gruppi dell’entroterra, per un totale di 16 dalla sola provincia di Fermo”.

Contemporaneamente una squadra era sempre a disposizione dei comuni dell’entroterra ed al supporto nei vari sopralluoghi a Fermo. “Ma fino al 26 ottobre – ricorda – quest’ultima è stata un’attività minima rispetto a quanto accaduto dopo”.

Ci muoviamo da Pescara del Tronto, scendendo verso la Salaria, proprio al confine con il Lazio, e raggiungendo il nuovo insediamento con le prime 26 casette. A pochi metri notiamo l’avanzamento dei lavori per il nuovo stabilimento della Tod’s e la pulizia delle macerie in un’area adibita al deposito.

Visitare questa zona è il motivo del ritorno della Protezione Civile di Fermo: concordare con l’associazione Pescara del Tronto 24/08/2016 Onlus tempi e modalità per la donazione dei fondi racconti dai centri sociali della città di Fermo, che verranno destinati proprio al centro sociale di Pescara, un container all’interno del quale ci si ritrova e si cerca, tra mille difficoltà, di riflettere sul domani.

Una parte dei soldi raccolti – rimarca Lusek – andrà invece al gruppo di Protezione Civile per l’acquisto di attrezzature invernali, permettendo loro di essere pienamente operativi nell’assistenza alla popolazione. Quando ci sarà più chiarezza magari potremo fare altri interventi”.

“Prima la messa la facevamo qui – ricorda Vinicio – mentre da qualche giorno è stata inaugurata la nuova chiesa. Adesso questa è la nostra sede e ce la teniamo stretta. Alcune cose le abbiamo comprate, altre ce l’hanno regalate, alcune siamo riusciti a recuperarle dalle nostre case distrutte”.

Assaggiamo l’acqua, “quella buona di Pescara del Tronto ci dicono orgogliosamente. Sono circa 60 le persone che vivono qui, ma pensare di rimanere per 10 anni in queste condizioni per loro è a dir poco tragico.

“Ci sono casette da 40 e 60 metri quadri, con padre anziano e figlia che dormono nella stessa camera. Poi mancano ripostigli per appoggiare le cose, quindi o le lasci in camera o in mezzo al passo. Per questo chiediamo al Comune se ci fa fare dei box in legno in un punto da destinare, è vitale. In zone come queste la gente è abituata a tenere in casa prosciutto, patate, persino la motozappa per lavorare. Secondo te dentro una camera puoi metterle queste cose? Non vogliamo nulla, siamo pronti a farcene carico, devo solo autorizzarci a farlo. Non è così complicato, invece…”

In quell’istante entra suo cugino Giacomo, “il più fortunato” dice sorridendo Vinicio. “È l’unica famiglia con due persone alla quale hanno dato la casetta da 40, mentre ad uno che vive da solo quella da 60. Adesso ne paga le conseguenze, con una casa con una camera sola”.

Giacomo, insieme a Vinicio, quel 24 agosto ha lavorato incessantemente con un bobcat e una pala gommata per liberare le strade di Pescara e non solo.

Li ho aiutati a ricacciare i morti – racconta Giacomo – ma qua noi non contiamo nulla, le medaglie le prendono quelli che non hanno fatto niente. Ma io non voglio la medaglia, però ho visto cose allucinanti che potevano essere evitate. Quella mattina siamo usciti con mia moglie dal corridoio ma la porta non si è aperta, mio fratello ha provato a sfondarla senza riuscirci e così abbiamo provato a passare dalla finestra. Una volta fuori, quando ci siamo accorti che la famiglia nostra stava quasi tutta unita meno mia cognata, che era ridotta male dopo un volo di 15 metri ed è stata la prima a partire con l’ambulanza, abbiamo iniziato ad aprire le strade, arrivando a Capodacqua, Tufo e anche in altri luoghi. Fino alla sera abbiamo ricacciato i morti, compresa quella mamma e quella figlia. Abbiamo cercato di indirizzare i soccorritori verso le persone, senza sapere se erano vive o morte. In alcuni casi alcune sono state salvate perché abbiamo notato che c’era la loro macchina, altrimenti non avremmo saputo della loro presenza sotto le macerie”.

E quando ha “ricacciato” l’ultimo corpo verso le 17.30, ha detto basta, stremato. “E oggi per ricompensa mi hanno dato una casa da 40 metri quadri. Si vede che mi meritavo quella”.

Ricorda i giovani che quasi nudi hanno aiutato a tirare fuori le persone, “ragazzi che non sono stati neanche contattati per un grazie, che hanno visto la morte in faccia mentre stavano cercando di salvare una persona, che poi purtroppo è morta, durante la seconda scossa. Ma il terremoto è così, arricchisce chi non ha niente qui e impoverisce chi aveva qualcosa”.

Passare per Arquata, vederne il profilo completamente sfregiato, risalire verso Pretare tra la nuova scuola in costruzione e abitazioni sventrate permette di fotografare meglio la situazione. Anche se, come spiega Lusek, “in Italia abbiamo una capacità di mobilitazione paurosa, però sarebbe stato importante adottare una catena di comando sulla falsariga di quelle utilizzate a seguito dei terremoti verificatisi dal 1997 al 2009”.

“È un’emergenza difficile, sicuramente la più difficile della storia recente – sottolinea – ma la burocrazia non è complicato solo per chi deve ricostruire, ma anche per chi deve gestire la fase operativa”.

Poi quel problema che lui stesso ribadisce in ogni sede. “Se hai solo un centro di coordinamento a maglia larga di tipo regionale è più complicato, mentre se hai punti di riferimento provinciali e/o intercomunali le cose si semplificano e permettono maggiore vicinanza alle esigenze del territorio”.

E la quotidianità del loro gruppo resta ancora quella tipica della fase di emergenza, anche se è passato più di un anno. “In questo secondo periodo la nostra attività è molto più soft, continuiamo ad occuparci degli sfollati lungo la costa con generi di prima necessità, giochi per bambini. Senza eccessi, però, perché secondo me è controproducente. Sono persone sradicate dalla loro terra, in alcuni momenti hanno bisogno di sentire una presenza ma non necessariamente di fare attività o feste. C’è stata una grande offerta di animazione ma serve più una presenza discreta. Nei paesi colpiti continuiamo a seguire le cose che ci vengono richieste di volta in volta, come il trasporto di materiale o di aiuti per gli allevatori, il trasporto degli sfollati verso le loro zone, altri supporti alle evacuazioni per il recupero dei beni. Non è certo l’attività frenetica dei primi giorni ma è sicuramente influenzata da una situazione che sta andando a rilento, rallentando di conseguenza l’attività operativa”.

Questa notte Lusek e gli altri volontari sono tornati nel territorio di Arquata del Tronto, per partecipare alla manifestazione in ricordo delle vittime del sisma del 24 agosto 2016. Ancora lì, su quelle strade, tra quella polvere. E ancora una volta in un fragoroso silenzio.

I volontari che hanno partecipato alla prima missione di soccorso a Pescara del Tronto sono Roberto Fratalocchi, Davide Luparello, Mario D’Angelo, Francesco Lanciotti, Massimo Marinangeli e Matteo Angeloni. Quelli che hanno operato, nei giorni successivi, per impostare l’assistenza agli sfollati nelle frazioni arquatane sono Simone Sabatini, Daniele Parente, Barbara Callarà, Katiuscia Donati, Marta Galantini e Marco Macchini.

 

 


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