di Andrea Braconi
Ci voleva una giusta distanza temporale per cercare una narrazione del terremoto. “Se ne è prodotta molta dal punto di vista fotografico e video, ma quella che manca al momento è una memoria orale di quanto avvenuto. E Giorgio Felicetti, regista ed attore teatrale, nel suo piccolo sta cercando di crearla, questa narrazione, per provare a farla rimanere nel tempo. Su questi presupposti ha iniziato a lavorare insieme a Valentina Bonafoni a “La terra tremano. Storie dall’epicentro”, i primi appunti per un racconto teatrale, come spiega lo stesso Felicetti, che verrà ospitato sabato 27 gennaio alle ore 16 nel suggestivo Auditorium San Paolo di Fiastra, nel Maceratese, in occasione del Giorno della Memoria.
Che tipo di lavoro stai sviluppando?
“Ho realizzato finora la prima parte drammaturgica, quella proprio legata al testo. É un lavoro di scrittura, che prenderà forma come prima atto con una rappresentazione pubblica nella zona dell’epicentro sabato a Fiastra.”
Cosa hai messo dentro finora?
“Potrei definirlo lo stato delle cose. Sono partito da una considerazione che fanno molte persone che hanno vissuto il sisma e cioè che la parte più dura da vivere è quella del secondo anno, quando scende l’adrenalina ed è scesa l’attenzione dei media, i riflettori sono spenti, tutto verte verso una pseudo normalità, quella del terremotato e quindi si fa i conti da soli con la cruda realtà che la vita è cambiata per sempre. In questo secondo anno, quindi, metto alla luce le esigenze attuali di queste persone. Prima non sarei riuscito perché la ferita era troppo viva, anche se avevo già iniziato a fare degli incontri con delle persone lungo la costa negli alberghi e nei campeggi.”
Da dove e da chi parte questa narrazione?
“Deve partire da qui, per rivolgersi fuori. Tante cose che io dico alle persone di qui le hanno vissute e le sanno benissimo, ma basta spostarsi di pochi chilometri e sappiamo benissimo che è assolutamente ignorata la vita che stanno conducendo. Innanzitutto, dentro ci sono i terremoti in senso molto ampio, quegli episodi che cambiano la vita delle persone. È un excursus lungo l’Appennino. Poi ci sono le storie del prima e del dopo, come viveva la gente prima in quelle zone e come vive ora.”
Come definiresti il tuo lavoro?
“Non saprei come chiamarlo, forse un istant play, come dicono gli inglesi, una pièce teatrale creata appositamente per una situazione contingente e che crea delle storie paradigmatiche. Ho focalizzate cinque o sei storie cucite tra i tantissimi racconti che vengono prodotti dalle persone: il concetto di casa, che prima c’è e poi non c’è; il luogo sicuro; il legame con la terra; il vivere in un container; come cambia il rapporto tra le persone in una famiglia.”
Alcuni di questi racconti li ha respirati nel territorio fermano.
“Sono stato nelle zone di Montefortino, Amandola e anche Falerone. E da quello che mi accorgo, avverto quasi un pericolo maggiore da un punto di vista mediatico: spostandosi dall’epicentro si sposta anche l’attenzione dei media e paradossalmente i paesi che vivono in una sorta di limbo sono quelli che hanno avuto dei danni forti ma non fortissimi.”
Non resta che aspettare l’appuntamento di sabato a Fiastra.
“Mi preme evidenziare che qui ci sono storie umane, che ho lavorato sugli effetti su uomini e donne che provoca un sisma di quella portata. Poi quelli legati alla ricostruzione saranno passaggi successivi. Non li ho volutamente toccati perché sono talmente vasti che c’è bisogno di tempo. Questo è un lavoro che deve avere almeno un altro anno per essere pronto, per essere recepito nella giusta qualità e per divulgare queste storie nei teatri delle Marche e in tutta Italia.”
INFO:
tel. 0737.52112
(ingresso gratuito fino ad esaurimento posti)
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