di Paolo Bartolomei
FERMO – Bruno Recchioni nasce a Fermo il 12 giugno 1912. Dopo aver giocato nella squadra “Istituto” dell’I.T.I. Montani di cui era studente, milita nella Fermana due anni, dal 1930 al 1932, collezionando 21 presenze in prima squadra.
Gioca sulla mediana, i suoi compagni di reparto sono Interlenghi e Polenta, a volte Bernardi e Varallo.
Dopo il servizio militare, il diploma di elettrotecnico lo porta subito lontano da Fermo, per alcuni anni lavora all’elettrificazione della ferrovia Napoli – Reggio Calabria. Fa appena in tempo a sposarsi nel 1939 con Maria Natalizio, conosciuta in Campania dove è impiegato, poi un anno dopo, quando si trova ancora a Sapri per lavoro, viene richiamato alle armi per formare il 110° Battaglione mitraglieri. Arriva in Albania dove trova alcuni suoi concittadini.
Nel 1941 trasferimento a Corfù dove acquista un pallone e trova il tempo per giocare con alcuni commilitoni. Bruno riesce a tornare a casa circa una volta l’anno approfittando di concorsi per lavoro.
Dal fronte invia ogni mese 600 lire del suo stipendio di ufficiale di complemento a casa dove nel frattempo sono nate le piccole Mirella e Brunella.
Nel 1942 il suo plotone vince delle gare sportive e si qualifica per le finali di Atene: «Come vedete le occupazioni non sono affatto guerriere e questo vi farà piacere» scrive alla mamma e alla moglie.
Nel 1943 i reparti della Divisione Aqui, compreso il suo battaglione, vengono concentrati sull’isola di Cefalonia per la guerra che l’Italia fascista stava conducendo in Grecia. Bruno riesce a tornare a casa l’ultima volta nel luglio del 1943.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre la Divisione Aqui è abbandonata, senza ordini né aiuto da parte di quello che resta dello stato maggiore italiano, in fuga da Roma a Brindisi, e con i nazisti che chiedono la resa.
«Mi sembra di essere più solo di quanto già non lo sia» sono le ultime parole scritte alla moglie nel settembre 1943 da Bruno Recchioni che in pochi giorni seguirà il destino delle altre migliaia di soldati della Acqui che decisero di resistere eroicamente e di non consegnare le armi, aspettando dall’Italia aiuti e rinforzi che invece non partiranno mai.
Il capitano Bruno Recchioni è fucilato dai tedeschi a Cefalonia il 24 settembre; ha 31 anni, una moglie e due figlie; la terza, Gabriella, nasce sei mesi dopo.
Le ultime speranze che Bruno sia tra i pochi superstiti deportati in Germania cessano quando uno di loro, un cappellano militare, molti mesi dopo, bussa a casa Recchioni, a Fermo in corso Cavour, via che poi cambierà nome in Corso Martiri di Cefalonia.
Nel 1946 la città di Fermo dedica all’ex calciatore e martire lo stadio comunale.
Due anni dopo il Presidente della Repubblica Enrico De Nicola attribuisce alla memoria di Bruno Recchioni una croce di guerra al valor militare. Cita Bruno Recchioni anche Alfio Caruso nel libro “Italiani dovete morire” edito nel 2000 da Longanesi, dedicato ai martiri di Cefalonia.
«È stata dura crescere senza un padre – racconta oggi la terza figlia Gabriella – ma vorrei che restasse di lui il ricordo di un uomo di tanto valore e che aveva un grande coraggio».
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