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ACCADDE OGGI
L’arresto dell’arcivescovo di Fermo De Angelis nel 1860

ACCADDE OGGI - Il 28 settembre 1860 i piemontesi, riunite da pochi giorni le Marche all'Italia, trasferirono da Fermo a Torino il potente cardinale, perché capo della reazione e forte oppositore dell'unificazione nazionale. Fu un momento che segnò una svolta storica e il depotenziamento politico della città di Fermo

Cardinale Filippo De Angelis

di Paolo Bartolomei

Battute a Castelfidardo il 18 settembre 1860 le truppe pontificie, il 21 settembre arrivò a Fermo il generale Ferdinando Pinelli che istituì la nuova Giunta provinciale di Governo presieduta dal conte cavaliere Domenico Monti, fermano, liberale e patriota; dal 24 settembre il nuovo sindaco di Fermo fu il marchese Giuseppe Ignazio Trevisani, anch’egli un fermano liberale e patriota.

Generale Manfredo Fanti

Il 28 settembre il generale Manfredo Fanti arrestò l’arcivescovo di Fermo, cardinale Filippo De Angelis, trasferendolo a Torino perché cospirava e si opponeva concretamente contro l’unificazione nazionale.

Gli arcivescovi del passato non si occupavano solo di questioni spirituali o religiose, ma anche di affari politici e militari. Il De Angelis era il maggior esponente del partito conservatore che aveva fatto confluire su di lui un po’ di voti nel precedente conclave, quando invece fu eletto Pio IX, altro marchigiano.

Negli ultimi anni del potere pontificio nelle Marche l’inflessibilità dell’arcivescovo fermano si era riversata inesorabilmente contro i liberali delle varie diocesi della regione (numerosi e ben radicati a Macerata e ad Ascoli, a differenza di Fermo, da dove molti erano stati costretti a fuggire), con arresti e in alcuni casi anche condanne a morte.
Fermo si era dimostrata un centro strategico della reazione armata, come dimostra la scoperta di alcuni documenti militari, riportati dal giornale maceratese “L’Annessione Picena” del 4 ottobre 1860. Molte altre prove documentali dimostravano che tutti gli ordini della reazione venissero dal cardinale De Angelis.

Ciò che però fece colmare la misura, fu una famosa circolare pubblicata dall’arcivescovo il giorno prima della battaglia di Castelfidardo (conservata nell’Archivio diocesano di Fermo) rivolta ai parroci e ad altri religiosi di tutta la diocesi. Essa prescriveva: “Non essere lecito ai pastori di anime e agli altri ecclesiastici di portarsi al canto dell’inno Te Deum, se venisse prescritto in occasione dello stabilimento del Governo invasore. – Non essere lecito accettare e tanto meno sollecitare impieghi e incombenze, che abbiano più o meno un’attinenza diretta a riconoscere e consolidare il nuovo Governo. – Non essere lecito, se mai venisse intimato dal Governo intruso, di prestargli qualunque giuramento di fedeltà. – Non essere lecito ai parroci dare ai ministri del Governo intruso l’elenco dei parrocchiani sia per la formazione della Guardia Civica, sia per la così detta coscrizione militare”.

Generale Ferdinando Pinelli

La conoscenza di quella circolare e l’atteggiamento ostile, quasi “brigantesco”, di molto clero fermano furono gli ultimi motivi perché il generale Fanti, soltanto una settimana dopo l’arrivo a Fermo, decidesse di arrestare l’arcivescovo e tradurlo a Torino il 28 settembre 1860.

De Angelis era diventato arcivescovo di Fermo nel 1842, all’età di 50 anni quando era cardinale da quattro. Già in precedenza, quando era stato per nove anni nunzio apostolico in Svizzera, aveva concretamente dimostrato il suo spirito conservatore, combattendo con durezza le spinte ribelli e autonomiste dei protestanti radicali. Era talmente reazionario che criticò apertamente l’elezione a pontefice, nel 1846, di Pio IX, che era di più aperte vedute, e al punto da essere a volte censurato anche dal segretario di stato vaticano, il cardinale fermano Tommaso Bernetti, e dalla curia romana in genere.

Domenico Monti, per tre mesi primo e ultimo presidente della Provincia di Fermo nell’Italia monarchica

Il De Angelis proveniva da una famiglia patrizia ascolana, reazionaria e molto ricca, il padre era un latifondista. All’epoca erano in molti a sostenere che, attraverso il fratello, il cardinale sostenesse economicamente le bande che ai confini del Teramano, nei pressi di Civitella del Tronto, facevano del brigantaggio uno strumento di controrivoluzione.
Già durante i moti del 1849 De Angelis si era scontrato con il breve governo repubblicano di Fermo e per questo fu incarcerato ad Ancona. Quando dopo tre mesi tornò, allestì processi indiziari contro i rivoluzionari e fece giustiziare tre innocenti (Casellini, Rosettani e Venezia).

Per questi motivi, undici anni più tardi anche i piemontesi pensarono che fosse necessario togliere di mezzo il De Angelis, punto di riferimento, morale ed economico, di una vasta rete di controrivoluzionari.
Tant’è che il commissario generale straordinario per le Marche, Lorenzo Valerio, in seguito scrisse: «Quando voci, anche non dalle Marche, si levarono a favore di quel prelato e si fecero offici presso il Governo del Re acciocché lo lasciasse tornare a Fermo, io ritenni che fosse mio dovere pronunciarmi in contrario. I suoi antecedenti mi imponevano il convincimento che la tranquillità pubblica non sarebbe stata sicura se Egli fosse tornato ad una sede cosi vicina al campo della reazione abruzzese».
L’arcivescovo fu trattenuto nella capitale per sei anni, a domicilio coatto in una residenza dorata e fu fatto tornare a Fermo solo nell’ottobre del 1866, ormai inoffensivo, nell’ambito della politica di conciliazione tra Stato e Santa Sede avviata dal Ricasoli, constatata la fine del periodo di assestamento del nuovo stato unitario. Dal 1870 De Angelis presiedette il Concilio Ecumenico Vaticano I, durante il quale ammorbidì le sue posizioni, pensando ad una sua nuova candidatura al soglio pontificio nel successivo conclave, ma la morte lo colse a Fermo nel 1877, a 85 anni, sette mesi prima della dipartita di Pio IX, suo coetaneo; è sepolto nel Duomo di Fermo nella cappella laterale.

LA CONSEGUENTE SOPPRESSIONE DELLA PROVINCIA DI FERMO

La suddivisione provinciale fino al 1860. In marrone la nuova super provincia derivante dalla fusione di quelle di Fermo, Ascoli e Teramo, progettata dal Decreto Minghetti, rimasta incompiuta

Da una parte la presenza a Fermo di un forte e ben radicato partito conservatore papalino, che aveva avuto in De Angelis il suo riferimento, e dall’altra parte la posizione di netta minoranza dei patrioti fermani, che in ogni caso erano prevalentemente mazziniani e garibaldini, antagonisti dei monarchici (tant’è che si rifiutarono di incontrare il Re a Villa Bonaparte a Porto San Giorgio), furono le concause che, tre mesi dopo l’unione delle Marche all’Italia e la iniziale conferma della città quale capoluogo di provincia con gli stessi confini precedenti il 1860, fecero cambiare orientamento al governo di Torino.

L’idea di Cavour e del ministro degli interni Minghetti era di creare una vasta provincia a cavallo del confine dei due vecchi stati che facesse da “saldatura” di territori rimasti divisi da secoli. In questo modo il Regio Decreto Luogotenenziale n.4495 del 22 Dicembre 1860 univa le province di Fermo e di Teramo a quella di Ascoli, città che, grazie alla sua centralità geografica nella nuova circoscrizione, ne sarebbe diventata il capoluogo.

Ministro degli Interni Marco Minghetti

Così si otteneva allo stesso tempo anche la punizione e il depotenziamento politico dei due principali centri che si erano dimostrati più attivi nella reazione anti unitaria.

Successivamente, le trattative con la Luogotenenza dell’ex Regno di Napoli riuscirono a salvare Teramo, mentre nessuno appoggiò i fermani, che però, a dire il vero – da quanto risulta da molta corrispondenza e dagli atti parlamentari – a Torino si mossero tardi e male, e anche con sufficienza, a differenza di teramani e ascolani. Così a restare unita con Ascoli fu solo Fermo, generando da subito una vera e propria “questione fermana” mai sopita e che dopo le tre proposte di legge parlamentari andate a vuoto (1876, 1957 e 1983) si è risolta solo con la legge n°147 del 2004 che ha separato di nuovo Fermo da Ascoli.


CANCELLAZIONE DELLA SEDE CARDINALIZIA

Fermo perse anche la sede cardinalizia: il De Angelis fu l’ultimo prelato che era già porporato quando fu nominato a capo dell’arcidiocesi fermana. Il successivo arcivescovo Amilcare Malagola  venne elevato al rango di cardinale ben 16 anni dopo l’insediamento a Fermo, due anni prima di morire, e fu l’ultimo prelato ad avere il titolo cardinalizio stando a capo dell’arcidiocesi fermana, che in ogni caso resta ancora oggi la più antica e la più importante rispetto alle altre due sedi metropolitane della regione (Ancona e Pesaro).

Oggi la Provincia Ecclesiastica di Fermo comprende l’arcidiocesi del capoluogo e le quattro diocesi suffraganee di Ascoli Piceno, di S. Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto, di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia e di Camerino-San Severino Marche.

Le tre sedi metropolitane delle Marche con le relative Province Eccelsiastiche oggi. Quella di Fermo è la più antica e la principale.

 

BIBLIOGRAFIA
Bruno Ficcadenti, Una vicenda della rivalità municipale sorta con l’Unità d’Italia, Argalia, Urbino 1973;
Conte Gian Battista Gigliucci, Memorie Manoscritte in Archivio di Stato di Fermo:
Documenti vari in Archivio diocesano di Fermo;
Ministro dell’Interno, Marco Minghetti, Relazione accompagnatoria al Regio Decreto 22 dicembre 1860 n.4495;
L’Annessione Picena, Macerata, 4 ottobre 1860;
Gaspare Finali, Le Marche, Ancona 1897;
Giuseppe Leti, Fermo e il Cardinale Filippo De Angelis (Pagine di storia politica), Roma, 1902;
Candido Augusto Vecchi, L’Italia – Storia di due anni (1848-49);
Giuseppe Fabiani In Ascoli nell’Ottocento;
P. Capponi, Annali della città di Ascoli, parte III.


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