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Aids, il primario Amadio Nespola:
“In cura 400 pazienti, 13 nuovi casi
In crescita infezioni trasmesse sessualmente”

FERMANO - Il direttore Malattie Infettive del Murri di Fermo: "Strettamente legate, per modalità di trasmissione, sono le infezioni sessualmente trasmesse (Ist) che, come a livello nazionale (e mondiale), anche nel nostro centro hanno avuto un importante aumento"


Anche quest’anno, come l’anno scorso, l’anno passato e gli altri ancora e fin dal 1988, il primo dicembre ricorre la Giornata mondiale di lotta contro l’Aids. Voluta dall’Oms, adottata da tutti i governi ed organizzazioni sanitarie, è dedicata ad accrescere la conoscenza e la coscienza sulla diffusione dell’infezione da Hiv e dell’Aids.
Ci troviamo sempre a dire le stesse frasi: ‘siamo passati dai tragici anni ’80 e ’90 in cui potevamo contare solo i morti non avendo terapie efficaci, agli anni attuali, in cui per i farmaci che abbiamo a disposizione, non si muore quasi più di Aids; ma le infezioni da Hiv continuano’. E’ questo il punto fondamentale: nonostante gli enormi progressi compiuti nella ricerca debellare l’Hiv è ancora un obiettivo lontano. Ciò che preoccupa, oltre ai numeri delle casistiche, è la disinformazione diffusa anche tra le categorie maggiormente a rischio”.

Questa la riflessione in vista del primo dicembre, di Giorgio Amadio Nespola, direttore Uoc malattie Infettive dell’ospedale Murri di Fermo.
“Da infezione letale per la quale si moriva nel giro di pochi anni – ricorda Amadio Nespola – è diventata malattia cronica, il cui rischio di trasmissione può diventare quasi nullo e permettere anche, in determinate situazioni, di procreare: la ricerca contro il virus dell’Hiv ha fatto passi da gigante negli ultimi 30 anni, da quando i primi casi sono arrivati in Italia.
E di Hiv e Aids se ne è parlato tanto, tantissimo negli anni ’80, quando eroina, sesso non protetto e Aids erano diventati un’associazione quasi indissolubile.
Si è cominciato a parlarne sempre meno, mano a mano che la ricerca scientifica progrediva, il numero di nuovi contagi in Italia scendeva dai 18 mila casi annui a circa 4000 e dal concetto di letalità si passava a quello di cronicità, mentre le scene di film di denuncia come ‘Philadelphia’ sbiadivano finendo nel dimenticatoio.

Tuttavia, ancora oggi, l’Hiv c’è , eccome. E’ più che mai presente nella popolazione, è di fatto endemico in Italia e conta, appunto, dai 3 ai 4 mila nuovi casi di contagio all’anno. Qualcosa, a parte la dimensione del problema, è comunque cambiato: l’assunzione di droghe per via endovenosa con uso promiscuo delle siringhe non è più la causa principale di trasmissione dell’infezione, ma il sesso non protetto sì. Rimane uno dei principali fattori di rischio.
Di fatto, a cambiare veramente, è stata la percezione del pericolo, tanto è vero che in Italia si stima che almeno un malato di Hiv su 10 non sappia di esserlo: considerando che nel nostro Paese quasi 130 mila persone vivono con Hiv, ne consegue che, di questi, circa 13-15 mila non avrebbero la minima idea di aver contratto il virus. Inoltre, tra chi viene diagnosticato, quasi uno su 2 (40%) non è consapevole di essersi esposta all’Hiv.
A questo momento non sono noti i dati riferiti al 2017 perché ancora non pubblicati dal Coa (Centro Operativo Aids); ma la percezione è che la situazione non sia cambiata.
Si riportano i dati del 2016, nella speranza che vengano smentiti perché in eccesso.

Nel 2016, sono state segnalate 3.451 nuove diagnosi di infezione da Hiv pari a un’incidenza di 5,7 nuovi casi di infezione da Hiv ogni 100.000 residenti.
Tra le nazioni dell’Unione Europea l’Italia si colloca, al pari della Grecia, al 13esimo posto in termini di incidenza delle nuove diagnosi Hiv.
L’incidenza delle nuove diagnosi di infezione da Hiv è diminuita lievemente tra il 2012 e il 2016. Nel 2016 le regioni con l’incidenza più alta sono state il Lazio, le Marche, la Toscana e la Lombardia.
Le persone che hanno scoperto di essere Hiv positive nel 2016 erano maschi nel 76,9% dei casi. L’età mediana era di 39 anni per i maschi e di 36 anni per le femmine. L’incidenza più alta è stata osservata tra le persone di 25-29 anni, in questa fascia di età l’incidenza nei maschi è 21,8 e nelle femmine 7,5 per 100.000. L’andamento dell’incidenza in questa fascia di età appare stabile nel tempo.
Nel 2016, la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da Hiv era attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituivano l’85.6 di tutte le segnalazioni (eterosessuali 47.6%; Msm 38.0%)
Nel 2016, il 35.8% delle persone con una nuova diagnosi di Hiv era di nazionalità straniera. Tra gli stranieri il 65.5% di casi era costituito da eterosessuali
Il 30,7% delle persone con una nuova diagnosi di infezione da Hiv aveva eseguito il test Hiv per la presenza di sintomi Hiv-correlati, il 27.5% in seguito a un comportamento a rischio e il 12.2% in seguito a controlli di routine.
Dall’inizio dell’epidemia (1982) a oggi sono stati segnalati quasi 69.000 casi di Aids di cui oltre 44.000 deceduti sino ad ora

HIV E AIDS NEL FERMANO

Per quanto riguarda la nostra realtà locale, nell’Uoc di Malattie Infettive dell’Ospedale di Fermo, Centro di Riferimento Aids e Centro di Riferimento per la zona Marche Sud per la diagnosi, ricovero e terapia delle Malattie Infettive, continuano ad essere in cura attualmente circa 400 pazienti; il concetto di cura non è riferito solo alla terapia ma implica la presa in carico del paziente ossia un percorso costituito dalla diagnosi, la presa in carico nel progetto di cura, l’inizio della terapia e l’aderenza ai farmaci ed il mantenimento in cura.
E’ un concetto peculiare dell’infezione Hiv/Aids che richiede l’erogazione di una assistenza, complessa, per un lungo periodo, talvolta indefinito, subito dopo aver posto la diagnosi e indipendentemente dall’aver avuto accesso al trattamento.
Le nuove diagnosi di infezione da Hiv al novembre 2018 sono state 13 in calo rispetto l’anno precedente, ma sempre troppe.
Strettamente legate, per modalità di trasmissione, sono le infezioni sessualmente trasmesse (Ist) che, come a livello nazionale (e mondiale), anche nel nostro Centro hanno avuto un importante aumento.

Un ultimo pensiero va ai fautori delle teorie negazioniste su Hiv che – conclude Amadio Nespola – sono, a mio avviso, un pericolo.
Così facendo le persone cono convinte di non avere nulla, di non essere contagiose e certe di questo, non si rendono conto del rischio che fanno correre ai loro partner sessuali.
A questo proposito si riporta un appello che gli specialisti della Simit (Società italiana malattie infettive e tropicali) hanno rivolto al ministro della Salute Giulia Grillo, alla luce della “persistenza di posizioni negazioniste su Hiv/Aids”.
“…L’emergere di nuovi casi di ‘negazionisti attivi’ – osservano gli infettivologi – finisce per estendere lo stigma e il sospetto nei confronti delle persone che vivono con Hiv/Aids, accentuando il loro disagio. Tenuto conto che, sulla base di robuste evidenze scientifiche, una persona con viremia azzerata in seguito alla corretta e stabile assunzione delle terapie non è più in grado di trasmettere l’infezione, l’accentuazione dello stigma che deriva da questi fatti aggiunge danno a ingiustizia“.
Gli esperti della Simit evidenziano come ‘senza gli straordinari progressi scientifici in campo diagnostico e terapeutico, il tributo di morte che Hiv/Aids avrebbe continuato ad esigere, sarebbe stato vicino al 100% delle persone infettate in un arco temporale compreso tra pochi mesi e 15-20 anni dal momento dell’infezione. La disponibilità di una diagnostica rapida e affidabile e di terapie estremamente efficaci, ben tollerate e largamente accessibili, almeno in Italia – ricordano – ha ribaltato la situazione“.
Negare la validità di tutto ciò fornisce, a mio parere, a soggetti particolarmente fragili o irresponsabili un appiglio per giustificare comportamenti inammissibili o per rifiutare le necessarie terapie, causando grave danno a se stessi e agli altri, per il permanere del loro stato viremico e della possibilità conseguente di trasmettere l’infezione mediante rapporti sessuali”.

 

 


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