di Andrea Braconi, foto e video Simone Corazza
Dottor Dallari, lei è il primario che da più anni è al “Murri” di Fermo. Cosa può raccontarci dei primi tempi?
Vorrei iniziare questa intervista partendo da considerazioni personali. Arrivai qui nel 2005, a 51 anni proveniente da un ospedale universitario, la Clinica Otorinolaringoiatrica di Modena, con una formazione che mi aveva visto andare all’estero più volte e passare un anno all’Istituto dei Tumori di Milano diretto dal professor Veronesi. Ovviamente nel reparto di Otorino, che peraltro in quel momento era al suo culmine qualitativo. Arrivai a Fermo pieno di entusiasmo e convinto che avrei potuto fare bene. Il reparto di otorino soffriva un po’ perché si erano avvicendati nel giro di tre-quattro anni due primari e l’organico era ridotto. C’era però una buona mentalità e, soprattutto, molti strumenti: la tecnologia disponibile era di buon livello. Lavorai a capo fitto con dei collaboratori molto validi e motivati. Quando arrivai, nel 2005, il reparto era inserito in quello di chirurgia generale, con sei letti per gli adulti. Potevamo disporre anche di 2-3 letti nel reparto di pediatria, per i bambini. Oltre a me, c’erano tre colleghi specialisti otorino. Ci siamo veramente rimboccati le maniche! Abbiamo fatto una media di 200 interventi all’anno di grossa chirurgia otorino e almeno 300 interventi di chirurgia minore, in day hospital o con modalità ambulatoriale. Abbiamo coperto tutto l’ambito dell’otorino, dalla chirurgia dell’orecchio a quella del naso e della sinusite. Dai disturbi benigni delle corde vocali ai tumori. Dalla chirurgia delle ghiandole salivari a quella della tiroide. Grazie alla lungimiranza dei vari direttori generali e al costante sostegno della direzione sanitaria dell’ospedale abbiamo potuto avere a disposizione la migliore tecnologia. Un laser tra i più moderni. Endoscopi e monitor ad alta definizione per una chirurgia sempre meno invasiva. Strumenti che ci permettono di sapere dove ci troviamo quando lavoriamo nelle cavità del naso, vicino al cervello (si chiamano navigatori) e strumenti che ci permettono di capire quando siamo vicini ai nervi della faccia (neuromonitor).
Parlando di numeri cosa può rilevare come direttore del reparto di otorinolaringoiatria di Fermo?
Tante le visite ambulatoriali: circa 3.000 all’anno. Il numero dei letti di degenza sono tuttora gli stessi di quando sono arrivato ma grazie ai rapporti veramente ottimi con i colleghi, prima chirurghi e poi urologi, abbiamo potuto sfruttarli al massimo. I pazienti otorino, tranne quelli operati per tumore, hanno infatti degenze generalmente brevi, mentre per i pazienti chirurgici e urologici è di solito il contrario. Quando noi dimettiamo un paziente, in attesa della nostra successiva giornata operatoria, quel letto lo mettiamo a disposizione dei pazienti chirurgici o urologici. Viceversa quando abbiamo noi delle necessità, i colleghi cercano soluzioni. Il risultato è una percentuale di occupazione dei letti ottimale, quindi nessuno spreco di risorse, contenimento dei costi al massimo.
Oltre all’aspetto chirurgico quali sono i servizi che potete mettere a disposizione degli utenti?
Abbiamo la diagnostica e la cura dei disturbi dell’udito e dell’equilibrio. Il nostro Servizio di AudioVestibologia si trova nei locali del Poliambulatorio ex INAM, al piano seminterrato, dove lavorano due bravissime audiometriste. Anche qui si fanno più di 2.000 esami all’anno. Nel 2007 abbiamo fondato il C.I.S.Fe (Centro Multidisciplinare Integrato per lo Studio e la Cura della Sordità del Bambino e dell’Adulto), un gruppo di professionisti dell’ospedale (otorino, audiologo, audiometrista, logopedista, psicologo) che si trovano insieme per seguire i casi di sordità grave, sia nei bambini che negli adulti. Con questa attività preparatoria siamo poi arrivati a impiantare, nel 2011, il primo orecchio bionico nelle Marche e siamo ancora sostanzialmente i soli a farlo, con tutti i requisiti previsti dalle Linee Guida Nazionali. Da allora ne abbiamo posizionati 11, in bambini e adulti ma siamo molto rigorosi perché questi dispositivi costano alla comunità dai 15 ai 20.000 euro.
E’ cresciuto nel tempo lo staff del suo reparto?
L’organico, grazie proprio ai buoni risultati, alla buona fama che ci siamo conquistati e grazie alla costante vicinanza ed appoggio della Direzione Generale, è diventato di cinque specialisti oltre al sottoscritto. Nel 2017 e 2018 abbiamo addirittura potuto usufruire di un collega a contratto in quanto, per la normativa europea, sono aumentati i turni di servizio (le così dette “guardie”). Non sono però tutte rose e fiori. Per esempio, un contratto di un collega è scaduto nel novembre 2018, non è stato rinnovato e siamo in difficoltà. Speriamo si possa far qualcosa. La crisi economica nazionale, europea, e mondiale, è l’elemento che pesa di più. Considerando i costi della sanità, che nelle Marche come in tutte le regioni d’Italia rappresentano la maggiore voce di spesa, il sistema ha “dovuto” ridimensionarsi. Per quanto ho potuto essere testimone, si è lavorato all’eliminazione degli sprechi fino al massimo possibile. Io raccomando sempre ai miei collaboratori di utilizzare gli strumenti con la più grande attenzione perché ottenerne una eventuale sostituzione oggi diventerebbe problematico.
Si parla ormai da 20 anni di centralizzare, di chiudere gli ospedali piccoli e di fare gli interventi complessi in pochi centri. Cosa ne pensa?
Riconosco che in linea generale e in teoria sia giusto ma, bisogna intendersi bene su cosa significhi complessità. Per fare un esempio che riguarda l’otorino, la chirurgia dell’orecchio, che è una microchirurgia sofisticata e non facile, non necessita di essere centralizzata perché, una volta acquisiti gli strumenti, il costo di effettuazione è minimo. Quando si parla della centralizzazione, si considera solo lo spostamento del malato ma non quello dei familiari che lo devono accompagnare. Un ospedale di zona potrebbe essere una soluzione. In questo senso il concetto di rete può a mio parere essere più vincente. Non è più il malato che si sposta ma l’equipe dei medici che va a operare il malato nell’ospedale dove si trova. Proprio in questo ambito, abbiamo da pochi giorni avuto un’altra grande soddisfazione, nel vedere finalmente ufficializzata la collaborazione dell’Otorino di Fermo e della Neurologia, con Clinica di Neurochirurgia dell’ospedale di Ancona.
Dopo tanti anni a Fermo quali considerazioni si sente di fare sull’ospedale Murri?
Ho sempre sostenuto che un ospedale come quello di Fermo sia l’ “ideale”, per due motivi: è sufficientemente grande per avere la rianimazione, una radiologia completa, con TAC e RMN di ultima generazione, il centro trasfusionale, l’anatomia patologica, praticamente tutte le specialità mediche e chirurgiche; nello stesso tempo è sufficientemente piccolo da fare in modo che ci si conosca tutti, si possano instaurare dei rapporti di lavoro amichevoli e ci sia rispetto per gli strumenti che si usano, dai ferri chirurgici ai vari strumenti diagnostici. In questi quindici anni l’ospedale di Fermo ha avuto dei professionisti veramente di qualità e, per quanto mii riguarda, molto importanti sono stati anche i rapporti con la sanità del territorio: noi, del reparto otorino ospedaliero, ci siamo sempre resi disponibili a prestare servizio negli ambulatori periferici. Ciò ha permesso di stringere stretti rapporti con i nostri colleghi dei distretti sanitari ma soprattutto con i medici di medicina generale e con i pediatri di libera scelta. Ci siamo fatti conoscere, abbiamo potuto dimostrare la nostre capacità ed il risultato è stato un rapporto ottimale con un interscambio costante e molto stretto. Un importante risultato di questa attività è, nel mio settore, il servizio di assistenza domiciliare dei pazienti che hanno la tracheotomia, un servizio molto importante in collaborazione tra noi otorini e gli anestesisti. Posso dire che anche il livello della medicina extraospedaliera della nostra provincia è molto buono.
Rimpianti?
Solo uno: non aver ancora ottenuto il riconoscimento del nostro centro audiologico C.I.S.Fe come centro di riferimento, di terzo livello, almeno delle Marche Sud. Ci stiamo provando da almeno 5 anni. Spero di avere la soddisfazione di vedere il riconoscimento del C.I.S.Fe. prima di andare in pensione tra 4 anni.
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