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Turismo, i Sibillini ci credono:
“I cammini sono le nuove infrastrutture”

FIASTRA - Interessante momento di confronto nell'ambito del festival Itaca. Sul tavolo diverse esperienze e proposte per una rinascita delle aree colpite dal terremoto

di Andrea Braconi

foto di C.A.S.A.

I numeri arrivano. A volte ci vogliono anni, ma se l’obiettivo è dare una qualità diversa ad un territorio allora va ribaltato il concetto: prima vanno create le comunità, che magari confliggono ma che poi arrivano ad un equilibrio. É il pensiero di Paolo Piacentini di Federtrek, presente all’incontro di Fiastra sui cammini, inserito nell’ambito del festival Itaca.

“Alcuni numeri arrivano anche subito – ha ribadito – ma dobbiamo partire da una rivoluzione culturale, non pensiamo prima all’aspetto economico. Prima cambiamo il nostro atteggiamento verso il territorio e verso chi arriva; di conseguenza chi vive i luoghi deve diventare un seminatore, raccontando la propria esperienza”.

Parole che, insieme a quelle degli altri relatori, hanno strappato applausi al folto pubblico accorso all’Auditorium della Canonica di San Paolo. Al centro della discussione la domanda posta dagli organizzatori: cosa significa per un territorio essere attraversato da un cammino?

“Negli ultimi anni c’è stata una crescita notevole del settore – ha spiegato Piacentini – e se prima del 2016 potevamo stimare circa 15.000 / 20.000 camminatori, oggi siamo intorno alle 40.000 unità dal punto della vista della fruizione. Consideriamo che nel turismo lento rientra anche il tema dell’escursionismo”.

Cammini, quelli scandagliati nelle due ore di confronto, che attraversano piccoli borghi e che in alcune zone d’Italia hanno già visto una vera e propria esplosione di strutture ricettive, come i b&b. “Occorre puntare ad un turismo sostenibile, consapevole e diffuso con numeri piccoli che creano micro economia diffuse. C’è bisogno di passaggi diffusi, destagionalizzati”.

Sarebbe devastante, per Piacentini, ragionare nell’ordine delle migliaia. “Anche sul Cammino di Santiago si stanno ponendo il problema della sostenibilità sociale. Il cammino va visto come un’infrastruttura, come via verde per un turismo diverso. E in questo contesto la rete tra operatori deve essere di qualità. Perché oggi dobbiamo prendere una direzione di qualità, che guarda ad un futuro da costruire con utopia ma anche con sostanza”.

Paolo Piacentini, Gigi Bettin e Sante Corradetti

Tra Via di Francesco e Cammini in Umbria, chi da tempo lavora nel settore è Gigi Bettin, che ha illustrato alcuni dati elaborati dall’Università di Santiago de Compostela. “Un pellegrino vale circa 2,3 turisti per quello che produce come reddito economico sul territorio. Un altro dato importante è la permanenza media, che in Umbria è circa 2 notti, mentre su Via di Francesco è addirittura di 10 notti”.

Ma i cammini, ha aggiunto, si trascinano dietro un altro aspetto fondamentale: la prevenzione di ciò che si sta verificando da tempo sull’Appennino, vale a dire la desertificazione dei piccoli centri abitati. “Il camminatore copre dei periodi dell’anno in cui normalmente non ci sono grandi flussi. Pensiamo che l’85% dei pellegrini di Santiago ritorna. Quindi, queste operazioni sono freno fortissimo all’impoverimento. Ci sono poi effetti sociali e culturali, con la creazione di ponti tra ospitanti e pellegrini stranieri. Da quando siamo partiti con la via di Francesco abbiamo creato ponti con chi aveva iniziato prima di noi. Ma per far nascere un cammino bisogna far sì che tutti quei punti siano collegati tra loro e parlino. Le idee non devono essere mai prevalenti, vanno sempre discusse. Tutti noi possiamo diventare antenne nel territorio, senza dimenticare che il cammino è fatto di piccoli gesti ma operativi”.

Gianluca Ortali

L’esempio calzante è Pietralunga, in Umbria. Un luogo di poco più di 2.000 abitanti, che vede tra gli operatori più attivi Gianluca Ortali, proprietario di un agriturismo e di una norcineria, proprio lì dove parte il cammino di San Francesco. “Bisogna crederci perché è una cosa che porta tantissimo. Da noi vengono austriaci, tedeschi, persone da Nuova Zelanda, Brasile, Portogallo ed altri posti ancora. Ma quello che cerchiamo di fare tra noi è soprattutto comunità. Per questo ci rimbocchiamo le maniche e cerchiamo tutti di dare lo stesso modo di accogliere il pellegrino. Da noi la prima cosa non è il documento, ma se vuoi qualcosa da bere. L’etica è importante. Certo, la parte economica conta, ma quella sociale non va mai lasciata indietro”.

Alberto Renzi

Uno dei cammini nel centro Italia che dopo il terremoto ha preso maggiormente piede è quello delle Terre Mutate: 14 tappe, da Fabriano a L’Aquila, la cui prossima edizione prenderà il via il 24 giugno. A raccontarne genesi e obiettivi è stato Alberto Renzi. “Parliamo giustamente di turismo sostenibile, consapevole e diffuso, ma occorre anche parlare di turismo responsabile. E cosa è se non raccontare il territorio facendo conoscere la propria storia e le proprie peculiarità? Ma il turismo responsabile contempla anche la responsabilità di chi viaggia, è un turismo che vuole entrare nella realtà. Per questo il cammino delle Terre Mutate è un cammino solidale. Da 8 anni organizziamo quella che era la lunga marcia per L’Aquila, poi modificata dopo gli eventi sismici del 2016 e 2017. Abbiamo deciso di mettere un numero limitato per far vivere un’esperienza profonda e di contatto. E soprattutto vogliamo far conoscere un fenomeno come quello del terremoto. Perché le persone alla fine di questa esperienza cambiano. Qui non si parla di turismo esperienziale, ma di viaggio di trasformazione, la prossima economia. È un cammino che connette varie realtà e che in alcuni casi si chiamano custodi o amici del cammino stesso”.

Sante Corradetti

Tra le persone più attive su questo fronte troviamo Sante Corradetti dell’associazione Arquata Potest, nata nel Comune duramente ferito dal sisma e diventato una delle tappe di Terre Mutate. “Il senso di ciò che facciamo è quello di poter rivivere in un territorio nel quale circa 80% della popolazione non ha più una casa”.

Il lavoro di recupero di vecchi sentieri da parte Corradetti e dei suoi amici era partito già nella primavera 2016. “Avevamo recuperato un sentiero da Arquata capoluogo a Spelonga. Ad agosto avevamo fatto un’escursione con 80 persone, ma dopo il terremoto ci siamo trovati ad un bivio: continuare o cambiare direzione? Abbiamo deciso di continuare. Siamo consapevoli che di storia ne è rimasta ben poca ma ritrovare i sentieri è ritrovare la storia. Così ad oggi abbiamo completato la pulizia di 5 sentieri. Prima dell’estate completeremo la segnaletica verticale e orizzontale: questo permette anche alle piccole attività del posto di poter lavorare. Il nostro obiettivo è collegare tutte le frazioni di Arquata e creare un piccolo anello. Come detto, serve per rivivere ma anche per rendersi conto di quello che è successo, di quello che hanno fatto sia la natura che l’uomo. Il cammino di per sé è un’infrastruttura che non ha costi, se non la manutenzione”.

Elena Parasiliti

Insieme agli ideatori delle Terre Mutate, ad accendere un riflettore su Arquata e sulle zone colpite dal terremoto ha pensato Elena Parasiliti, editrice di Terre di Mezzo, che ha pubblicato proprio una guida su questo cammino. “Le nostre sono terre che nessuno vuole o riesce ad attraversare, le terre dei pregiudizi, della non conoscenza, sono terre faticose perché ci pongono delle domande. Dal 1994 come casa editrice lo facciamo con inchieste giornalistiche, con libri per bambini e dal 1999 anche con le guide. Vogliamo aiutare la narrazione dei territori. Lo facciamo con professionalità, ma anche con l’idea di narrare i semi di futuro, vale a dire tutto ciò che può essere generativo”.

Paralisiti ha tenuto soprattutto a rimarcare un concetto: Santiago non si è fatta in due anni. “Occorre avere il coraggio di litigare, di stare nel conflitto, con chi va e con chi resta. Chi cammina sa che litigare fa bene, litighi con il tempo, con gli scarponi, con l’operatore che non ha capito la tua difficoltà. Ma i conflitti come ogni cosa umana sono meccanismi, hanno un apice e poi ridiscendono”.

Luisa Guidi

Luisa Guidi ha invece portato la propria testimonianza sul Repubblica Nomade, associazione nata nel 2011 durante le celebrazioni per il 150° dell’Unità d’Italia. “Per noi il cammino è prima di tutto conoscere le situazioni, scegliere un tema e andare a conoscere le persone portando le nostre riflessioni per smuovere il pensiero, soprattutto in un’epoca che vede una società a pensiero unico”.

Tra le ultime iniziative un cammino che si snoda tra Firenze, Assisi e Recanati, incrociando figure come quelle di Dante, San Francesco e Leopardi. “Il cammino è anche pace, è un modo per confrontarsi. Uno dei temi attuali è il rischio di specie e il cammino è un ottimo momento di riflessione; permette di vedere altre vite e altre economie resistenti. Siamo convinti che si può vivere in un altro modo e avere relazioni diverse tra le persone”.

Tra il pubblico anche Francesca Pucci, che ha dato forma e sostanza a In cammino per Camerino. “Si tratta di un trekking di tre giorni nato dopo il terremoto, oggi diventato di quattro tappe. La prima edizione c’è stata nell’aprile 2017 ed è nata da un’idea che ho esposto a dei miei amici per fare qualcosa di concreto e diretto per queste zone. Ci siamo inventati tutto, sostenuti dal Cai di San Severino Marche e da quello di Camerino. Abbiamo usufruito dei cammini che già c’erano e il primo anno sono venute 130 persone da tutta Italia. Doveva essere ed è stato un messaggio per le comunità: siamo qui per ascoltare le vostre storie e ammirare le vostre bellezze”.

“Itaca – ha concluso Chiara Caporicci, insieme a Patrizia Vita tra le organizzatrici della manifestazione – è diventata anche più grande di quello che ci aspettavamo. Serve per rientrare in contatto con le comunità e farne parte, ma dobbiamo crederci tutti”.


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