di Andrea Braconi
Sulla cocaina c’è globalmente un aumento del consumo e nell’Europa Occidentale a questo si unisce un incremento delle anfetamine, droga molto più diffusa sul fronte orientale del Vecchio Continente. L’eroina tiene testa, senza particolari diminuzioni. Ma il vero problema è dato dalle mescolanze tra oppiacei naturali e oppiacei di sintesi.
A tracciare il quadro della situazione è Augusto Consoli, direttore del Dipartimento di Patologia delle Dipendenze della Asl Torino 5 e specialista in neuropsichiatria infantile e psicoterapeuta. Ma del suo intervento nell’ambito del convegno “Adolescenti e dipendenze. Ascolto, prevenzione e cura”, ospitato dalla Comunità di Capodarco non restano i pur significativi numeri, consultabili in un documento riassuntivo del progetto La Bussola – Strumenti e risorse per navigare informati” (realizzato con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle politiche antidroga), quanto gli spunti di riflessione lasciati ad una platea prevalentemente composta da operatori.
“C’è un ambito complesso che è il mondo dell’adolescenza e il mondo dei comportamenti legati al consumo di sostanze” esordisce, prima di sviluppare una breve sintesi sui trend e sul fenomeno stesso, inserendo anche alcuni spunti sui possibili significati da attribuire proprio al consumo. “Cannabis e cocaina continuano ad essere utilizzate, come dimostrano i dati, ma c’è soprattutto una ripresa dei consumi di anfetamine e Mdma che hanno avuto negli ultimi anni un picco significativo. Il vero problema è dato però dalle mescolanze tra oppiacei naturali e oppiacei di sintesi, con una tendenza sempre più preponderante verso questa tipologia di sostanze molto potenti e pericolose”.
Sugli stimolanti Consoli porta proprio l’esempio dell’ecstasy. “C’è stato un aumento della purezza delle pastiglie dalla fine degli anni 2000, con concentrazione anche fino al quadruplo nella quantità di sostanze che c’era nelle pastiglie di ecstasy di 10-15 anni fa”. E poi l’aumento di consumo di lsd, ghb e ketamina, che va di pari passo all’incremento della produzione ma anche dei sequestri. “C’è anche il filone delle nuove sostanze psicoattive, dette Nps: sono oltre 730 quelle censite alla fine del 2018, di cui 55 comparse per la prima volta proprio lo scorso anno, sostanze che appartenevano a classi dei cannabinoidi sintetici, degli stimolanti, degli oppiacei e delle benzodiazepine. Il problema è individuarle, quasi tutte vengono prodotte in Oriente, per poi prendere varie vie e confezionate nella fase finale di destinazione”.
Persino la maggiore rapidità (6-7 mesi rispetto a 2-3 anni) nell’individuare la sostanza dal momento del reperimento, studiarla e inserirla in una tabella a seconda della pericolosità non conforta gli esperti. “Le percentuali di uso di oppiacei, cocaina, cannabis, etc sono molto diverse tra i vari Paesi europei”.
Ma perché si assume? Consoli ha elencato i possibili significati da attribuire al consumo: alterazione del proprio stato di coscienza; apprendimento, sviluppo dell’identità e pressione al consumo; disturbi dello sviluppo, sofferenza emotiva e difficoltà di adattamento. “Ma c’è anche il fatto che ognuno di noi cerca di potenziare le proprie capacità. Pensiamo anche a quello che sta accadendo nel rapporto con la tecnologia, al rapporto tra uomo e device digitali: tutto questo ha a che fare con un filone post umano, ma c’è una cosa ancora più teorizzata tra i fautori del trans umano che dicono che è impossibile ripristinare quello che c’era. Ecco, oggi tutto questo è il frutto degli algoritmi che ci determinano, anzi, di un sistema di algoritmi. Per tale ragione l’idea ecologica di poter funzionare senza tecnologie e senza sostanze non funziona più”.
Tutti questi aspetti, rimarca, vanno però sempre analizzati per fasce d’età, cicli di vita o condizioni esistenziali. “L’idea che le sostanze possano fare parte di una vita più o meno articolata è un’idea che ha cittadinanza”.
Quindi – si domanda – cosa fare come servizi e come collettività? Come ci si dovrebbe avvicinare ad un adolescente per parlare con lui di come consuma le sostanze? “Molti operatori non hanno mai visto una sostanza – afferma -. Certo, non è necessario consumarla, ma comprendere lo stato d’animo sì, la sensazione che gli viene quando sta aspettando un gesto per preparare la sostanza. Forse anche i servizi territoriali sono vecchi e inadeguati? Vedo che c’è una forte disomogeneità tra le varie regioni e questo non aiuta”.
Fondamentale, almeno sul versante degli operatori e degli specialisti, è non avere uno sguardo non riduttivo e non troppo semplificatorio sulla complessità del fenomeno. “Intanto dobbiamo intendercene, poi non dobbiamo limitarci a parlare di uso di sostanze ma essere molto esperti di questo settore. Non possiamo avere paura, e mi riferisco agli operatori, di esplorare campi sconosciuti. Infine, occorre costruire e tutelare percorsi condivisi e definire accuratamente compiti e obiettivi delle politiche di intervento”.
Consoli spinge anche a condividere e diffondere esperienze e buone pratiche, prima di fare un ultimo richiamo alla collettività. “Dovrebbe interessarsi della faccenda e diventare più sensibile e competente – sottolinea -. E perdere il presidio significa che non se ne occuperà ne lo specialista né la stessa collettività. Ma io sono convinto che se molliamo questa funzione di supplenza, molla l’interesse a livello collettivo. Propongo anche di non essere presuntuosi e di non pensare di avere il brevetto per parlare di questi argomenti”.
A dare ancora più spessore al momento formativo svoltosi a Fermo, anche l’intervento di Roberta Balestra, direttrice del Dipartimento delle dipendenze dell’Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste, che porta l’esperienza del Serd (Servizio pubblico per le dipendenze patologiche) dedicato agli adolescenti, un unicum sicuramente nazionale ma un esempio anche a livello europeo. Una scommessa, come la definisce la stessa Balestra. “Capodarco è un punto di riferimento – afferma in apertura d’intervento – sia per le pratiche, per il lavoro importante che fa ma anche per la continua ricerca e l’innovazione. Il nostro è un servizio dedicato partito nel 2012: abbiamo constatato che c’era un sommerso di adolescenti che stavano male e che erano trasparenti, nessuno li vedeva e nessuno faceva qualcosa”.
Ma in adolescenza, spiega, ci sono fragilità, disagi, sofferenze, dolori e il consumo delle sostanze fa parte dei comportamenti a rischio dell’adolescente. “Per questo l’operatore delle dipendenze deve essere competente, studiare e avere una preparazione specifica, senza peccare di senso di onnipotenza. Il servizio che deve essere capace di agganciare, ma anche di trattenere il ragazzo. Si deve evitare la cronicizzazione, si deve lavorare per la guarigione”.
Fondamentale resta la scelta del luogo, che deve essere il meno connotato possibile. “Nei Serd i ragazzini non vengono, non si riconoscono con i tossicodipendenti, non si riconoscono come tossicodipendenti. Per questo abbiamo creato un servizio che assomiglia molto ad una casa. A parte il togliere il camice, che non abbiamo neanche al Serd, l’ambiente è molto informale e amicale, c’è una grande sala dove qualcuno ti accoglie e ti parla. Non c’è una cartella o il mettersi dietro un computer, aspetti che rendono rigida la relazione. Inoltre, gli educatori sono giovani e in questo modo sono state valorizzate competenze generazionali”.
Un servizio che fa tutto, dall’accoglienza all’approfondimento diagnostico, per arrivare eventualmente a percorsi differenziati, con o senza terapia, con o senza farmaci. “Possiamo definirlo un piccolo Serd dedicato ai giovani, che modula le attività in base al target, che ha una comunicazione molto più snella, anche attraverso i social, e dove sono importanti le attività di formazione e socializzazione. Si cerca di raccogliere il problema del consumo di sostanze all’interno della visione di un adolescente che sta male, non di un tossicodipendente. Per fare questo serve un cambio culturale, soprattutto in questo momento storico: occorre far emergere l’immagine di un ragazzo che non è e non deve essere considerato un tossicodipendente”.
Ma sempre più diffuso, in riferimento alle giovani generazioni, è anche il fenomeno delle dipendenze da internet. “La via del controllo non è da perseguire – è la posizione di Paolo Mazzaferro, responsabile della Comunità educativa Mondo Minore, che accoglie a medio-lungo termine minori maschi tra i 13 e i 17 anni -. I genitori che non sanno utilizzare la tecnologia non devono fermarsi al blocco: questo significa istruire il giovane ad aggirare l’ostacolo e a farlo diventare sempre più esperto del fregare gli stessi genitori. Ecco perché abbiamo pensato ad un nuovo parental control che permetta l’esplorazione di internet in co-costruzione con i propri genitori, con il bambino che si interfaccia con l’adulto e che insieme decidono limiti, tempistiche e orari”.
Molti parental control, ricorda, utilizzano la token economy, cioè premiare un ragazzo rispetto al proprio modo di utilizzo. “È però un metodo che mercifica l’esperienza: se ti comporti bene ti regalo 5 minuti in più di internet. Invece noi pensiamo che il bambino debba poter esplorare il mondo di internet nel modo più consapevole possibile che ci sia la ridefinizione di un limite che non faccia parte di un’autorità ma di una relazione”.
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