di Andrea Braconi
Con una puntata dedicata alla senologia, si è aperto il ciclo di interviste su Radio Fermo Uno al team guidato dal dottor Renato Bisonni, primario di Oncologia all’Ospedale “Murri” di Fermo.
UN REPARTO AL TOP
Da un anno e mezzo direttore del reparto dopo aver sostituito il dottor Giustini, Bisonni ai microfoni dell’emittente radiofonica ha tracciato un bilancio dell’attività, affiancato dall’oncologo e senologo Luigi Acito. “Lo scorso anno siamo stati la seconda unità operativa complessa dietro a Torrette come livello di attività – ha ricordato il primario -. Siamo l’unico ospedale che incide su una provincia, mentre nelle altre ci sono più punti di Oncologia: questo fa sì che abbiamo un grosso carico di lavoro che cerchiamo di svolgere al meglio”.
Rispetto al 2017, l’anno 2018 ha fatto registrare un +17% di attività. “Un grosso passo in avanti ed una grande razionalizzazione delle varie patologie. Abbiamo provato ad imitare un pochino i modelli più virtuosi, ognuno di noi si occupa di una patologia speciale in modo tale che il paziente sa che troverà un esperto; si potrà, quindi, affidare a questo medico con estrema serenità. Ma la nostra priorità non è soltanto quella di curare le persone, ma anche di divulgare”.
LE TERAPIE CHE (E COME) CAMBIANO
La chemioterapia, ha spiegato Bisonni, in qualche maniera sta diminuendo come volume perché ne esistono altre più efficaci. “Oggi parliamo di terapie targhettizzate e l’ultima novità è l’immunoterapia. Questo perché la ricerca fa sempre dei piccoli ma incredibili passi e così abbiamo individuato dei target nelle cellule tumorali: in questo modo mandiamo delle pallottole proprio contro quei target. È la Target Therapy, con una serie di farmaci che ci hanno aiutato ad allungare la vita di pazienti con malattia metastatica, cioè che non è più guaribile ma è sicuramente curabile. Siamo così passati dal ‘le sono rimasti 6 mesi’ a parlare di anni di cronicizzazione della malattia”.
Le ricerche degli ultimi anni hanno mostrato come il tumore si mimetizzi, producendo delle sostanze e come al contempo il nostro sistema immunitario non riesca più a riconoscerlo come un estraneo. “Abbiamo trovato un metodo per togliere questo mimetismo e le cellule ridiventano visibili da parte del nostro sistema immunitario, che così attacca il tumore. Il passo successivo è quello di prendere i nostri linfociti, li ingegnerizziamo ad attaccare esattamente solo quella cellula e abbiamo dei risultati già straordinari nei linfomi di bambini con leucemie. Certo, bisogna aspettare ancora un po’ ma avremo una grande soddisfazione anche per altre patologie”.
I PAZIENTI DA NUMERI A PERSONE
Imitando “le cose migliori degli altri”, la scelta dell’Unità Operativa diretta da Bisonni è stata quella di convenzionarsi con l’Ospedale Torrette. “Alcune cose le possiamo fare anche noi, fermandoli qui. Abbiamo così iniziato a ragionare su un protocollo di genetica oncologica, con i familiari dei pazienti che possono fermarsi qui, fare la prima parte del test ed eventualmente proseguire ad Ancona”.
Al contempo, è partito anche un ragionamento sulle malattie rare e sui protocolli di studio in via di sviluppo. “Ricordo che Torrette è convenzionata con l’Istituto Nazionale Tumori di Milano, quindi l’invito è: rimaniamo qua, fidiamoci della nostra sanità che è di qualità, fatta di professionisti che ci mettono il cuore. A Milano sei un numero, qui sei una persona”.
TRA SPECIALISTI ED ESTETISTE
Un fattore che il primario ha tenuto a precisare è che l’ospedale di Fermo non ha liste di attesa per le malattie oncologiche. “È chiaro che è un grosso sforzo da parte di tutto lo staff, ma in questo modo inizia un percorso diagnostico e terapeutico durante il quale il paziente e la sua famiglia non devono più pensare a nulla, siamo noi che ce ne occupiamo”.
Nel momento in cui il paziente arriva viene preso in carico da uno specialista che si occupa di quella patologia e non di altro. “Quello specialista non farà altro che fare tutti gli esami necessari e, se necessario, la terapia. Poi abbiamo la possibilità di un consulto genetico e anche di avere uno psiconcologo, siamo uno dei pochi ospedali ad averlo, 5 giorni alla settimana”.
Ma non basta, “Abbiamo anche un altro servizio straordinario grazie ad un’associazione di volontariato, l’Anpof, che dà un servizio di estetiste. Questo perché vogliamo che ci sia comunque la cura della persona”.
LA BATTAGLIA CONTRO IL TUMORE ALLA MAMMELLA
Ad approfondire gli aspetti legati alla senologia il dottor Acito, da trent’anni impegnato sul fronte del tumore della mammella e della prevenzione senologica. “Abbiamo un ambulatorio senologico il lunedì e il mercoledì, in cui vediamo circa 300 pazienti all’anno, di cui un 20% che arriva dall’Ascolano e addirittura dall’Abruzzo. Siamo l’unico servizio di senologia nelle Marche Sud, per cui abbiamo un’importante mobilità attiva”.
“Venire al servizio di senologia a Fermo – ha precisato Bisonni – significa fare un’impegnativa, prendere un appuntamento e basta, non devi tirare fuori i tuoi soldi, lo facciamo con il servizio sanitario pubblico. È un vanto per noi riuscire a fare questo servizio solo con l’impegnativa del medico e pagando solo il ticket previsto”.
Nel riprendere la parola, Acito ha rimarcato l’importanza in occasione delle visite senologiche di fornire informazioni riguardanti la prevenzione, soprattutto quella primaria. “Significa impedire o almeno ritardare il più possibile che si formi il tumore. Ci riusciamo in un 30% dei casi, invitando le pazienti a cambiare il proprio stile di vita cominciando con l’alimentazione, una dieta ricca di verdure, soprattutto di crucifere, frutta di stagione, derivati di cereali e soia. E poi il latte, tanto vituperato, che sembra addirittura protettivo nella pre menopausa”.
Esistono anche fattori non protettivi come la carne rossa, fresca o lavorata, e gli zuccheri raffinati. “Se si possono evitare o almeno ridurre il più possibile è molto meglio”.
Determinante anche l’attività fisica, 20 minuti quotidiani o i famosi 10.000 passi al giorno tramite le app del proprio cellulare. “Sembra che diminuisca di un 30% il rischio di tumore alla mammella. Occorre anche non aumentare di peso, evitare alcol e fumo: tutti accorgimenti importanti e validi anche dopo che c’è stata la malattia, per impedire le recidive e migliorare gli effetti delle terapie e la sopportazione delle terapie stesse”.
Consigli, questi, che vengono dati sia come prevenzione primaria che terziaria, cioè quella necessaria per il miglioramento del prosieguo dopo una determinata diagnosi. C’è, ovviamente, anche la prevenzione secondaria. “È quella che viene anche chiamata diagnosi precoce. Quando il tumore si è formato cerchiamo di intervenire il prima possibile e sotto i 2 cm e con il cavo ascellare negativo c’è una sopravvivenza che arriva quasi al 100%”.
L’AUTOPALPAZIONE
“Si può iniziare con l’autopalpazione – ha proseguito Acito – che è una metodica che insegniamo nel nostro ambulatorio senologico. Si dovrebbe iniziare dopo i 20 anni e non andrebbe sospesa dopo la menopausa, considerando che questo tumore è più frequente nella fascia tra 50 e 69 anni. Quindi, ad un certo punto è assurdo non fare più l’autopalpazione. Nella giovane che ha il ciclo mestruale l’autopalpazione va fatta dopo il ciclo perché il seno è più sgonfio, mentre per la donna in menopausa può essere fatto il primo venerdì o sabato del mese. È una tecnica che insegniamo ma non dobbiamo colpevolizzare le donne che non lo fanno. Dai dati che abbiamo la fanno bene 2 donne su 10, perché tante hanno paura di trovare qualcosa. Quando vengono da noi, se vediamo che una è interessata all’argomento lo insegniamo volentieri. Ma la donna non deve fare diagnosi, piuttosto deve conoscersi e guardarsi davanti allo specchio”.
LA MAMMOGRAFIA
È importante, ha aggiunto, anche stimolare la donna a fare esami diagnostici strumentali. “Quello principe è la mammografia, l’unico considerato per lo screening, vale a dire la convocazione programmata dall’Area Vasta ogni 2 anni per le donne asintomatiche. Lo scopo è di arrivare a trovare un tumore nella fase subclinica”.
L’età con maggiore incidenza, come detto, è quella 50-69, ma molte regioni hanno anticipato lo screening ai 45 anni, mentre altre lo hanno addirittura posticipato ai 75. “È un passaggio accolto solo dal 55% delle donne invitate, con grandi differenze tra nord (80%) e sud (30%). Noi invitiamo le donne a partecipare allo screening, così come in presenza di sintomi o sospetti a fare esami diagnostici”.
E per le donne con una certa familiarità, il consiglio resta quello di anticipare l’inizio dei controlli.
RISCHI E DOLORI
Tre tumori alla mammella su 4 insorgono dopo i 50 anni. “Da un po’ di tempo – spiega lo stesso Acito – stiamo vedendo tumori nelle donne giovani, prevalentemente provenienti da Paesi dell’est o asiatici, che hanno un anticipo diagnostico rispetto alla popolazione italiana”.
In generale, il periodo di maggiore incidenza resta quello legato ad una variazione ormonale. “Non aumentare di peso è importante anche in menopausa o in post menopausa, periodi già nei quali l’incidenza aumenta. Per il tumore alla mammella l’incidenza aumenta dai 30 ai 50, poi c’è un plateau e da lì ricomincia a salire: quindi la menopausa è il periodo più a rischio”.
Una delle cause per cui le donne sempre più spesso si rivolgono all’ambulatorio è il dolore che però, rimarca Acito, è legato al tumore solo nello 0,4% dei casi. “A volte basta un semplice esame clinico per rassicurare la paziente”
IL CONFRONTO TRA SPECIALISTI
Cruciale, per il team multidisciplinare di Bisonni, resta il confronto tra specialisti. “Il lunedì e il mercoledì facciamo l’ambulatorio senologico – afferma Acito -, il martedì la dottoressa Del Prete fa l’oncogenetica, il giovedì ci riuniamo io come oncologo ed un gruppo di giovani molto volenterosi e molto entusiasti, l’anatomo patologo, i radiologi e i chirurghi, per discutere i casi clinici più importanti. Da qui c’è una presa in carico immediata da parte dello specialista coinvolto e in questo modo i tempi di attesa vengono completamente eliminati”.
Una metodologia che, secondo Bisonni, ha l’effetto di una cura, dando il 30% in più di sopravvivenza. “Qui hai la possibilità di zero tempi di attesa, perché aspettare? Perché andare lontano quando ce l’hai dentro casa?”.
Quindi, quale resta la migliore cura possibile? “Prendere subito la paziente in carico – ha concluso -, farla trattare dai migliori specialisti del luogo e immediatamente fare ciò che è meglio per la paziente”.
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