di Andrea Braconi
Non è stata casuale la scelta di fare un’assemblea pubblica sul futuro dell’ex stazione di Santa Lucia all’interno delle antiche officine del Montani, oggi Museo Miti. Perché quell’area – secondo le liste civiche L’Altra Fermo e Fermo Migliore, organizzatrici dell’iniziativa – era, resta e sarebbe potuta diventare un vero e proprio polo culturale e di archeologia industriale.
Il condizionale è d’obbligo, soprattutto in considerazione dei recenti sviluppi, con la Steat che pochi giorni fa ha deciso di esercitare il proprio diritto di prelazione. Come si ricorderà, però, con un esborso di 900.000 euro in più rispetto ai 650.000 euro inizialmente proposti dal Demanio al Comune di Fermo che, sul finire della primavera, aveva deciso di non esercitare la stessa opzione, dando in questo modo il là ad un’asta dalla quale era scaturita un’offerta da parte di un privato per un importo di 1 milione e 550mila euro.
“Quell’area doveva diventare pubblica ed è stato un errore politico gravissimo” ha tuonato Alessandro De Grazia, segretario provinciale della Cgil. “Si poteva costruire un percorso con Steat, con i tempi necessari per trovare una nuova collocazione e delineare il futuro per l’area. È chiaro che lì non può rimanere un deposito di pullman, ci sono problemi seri di viabilità. È un disastro, Fermo e cittadini fermani meritano altro. Il sindaco dice che lì verrà fatta una rotatoria, ma sarà peggio”.
Concetti ripresi anche da Elvezio Serena, che in passato da presidente di Italia Nostra aveva combattuto una lunga battaglia per recuperare la vecchia ferrovia. Un sogno, lo ha definito, prima di descrivere l’incubo della perdita di un’occasione storica. “Che non si sia saputo che il Demanio la metteva in vendita è una cosa grave, come è grave che il Comune non l’abbia acquisita. Non ci sono scuse”.
Ospite d’eccezione l’urbanista Paolo Berdini, già assessore comunale a Roma, fortemente legato al nostro territorio e anche alla città capoluogo, definita un autentico gioiello. “Dobbiamo avere la forza di dire che, nonostante il male che gli hanno fatto negli anni, Fermo si candida da oggi e per le prossime generazioni come polo di cultura e di studi. Sono sicuro che si possa recuperare questo errore clamoroso non comprando l’area e che si possa ripartire, pensando al futuro”.
Una considerazione, la sua, inserita dentro un ragionamento più ampio, con numerosi esempi di disastri urbanistici succedutisi in varie città italiane. “Dopo periodo d’oro in cui sembrava che la città fosse la casa comune di tutti, di chi sta bene ma anche di chi non ce la fa, c’è stato uno spostamento in basso del gradino sociale, con gli ultimi che non contano più nulla. Un pezzo della cultura della sinistra ha pensato che la ricetta di privatizzare tutto, compresa la città, avesse funzionato alla grande. Ma dal 2008 è cambiato tutto, i valori immobiliari sono crollati”.
E Fermo, a suo giudizio, poteva e può ancora rappresentare un piccolo spiraglio di luce. “Diciamolo che abbiamo fatto uno sbaglio clamoroso, credendo in qualche cosa che non esiste. Ci hanno fatto e ci stanno facendo vendere tutto, perché bisogna fare cassa e stiamo svendendo il nostro patrimonio. Pensiamo alla Grecia che sulla base di questa ideologia ha svenduto porti e aeroporti, con le imprese tedesche che hanno comprato la spina dorsale di un Paese. Allora speravo che qui ci fosse uno scatto, che un’Amministrazione civica dicesse sì che 650.000 euro sono molti ma che possiamo indebitarci quando c’è una prospettiva comune”.
Tante le domande che Berdini ha posto, in maniera costruttiva, anche all’assessore Nunzi, presente in sala. “Sarà il caso che questo polo venga potenziato fino al limite massimo, che Fermo metta qualche soldo per il futuro dei nostri figli? Come è possibile che un’area vocata per la formazione culturale non venga considerata strategica? Attenzione che oggi i ragazzi o fanno il salto culturale o non vincono la sfida che c’è fuori da queste mura. Chiedo quindi: perché quell’area non può diventare il centro dei servizi di tutti gli istituti scolastici di Fermo? Potrebbe invece essere l’elemento generatore di una nuova visione della scuola. Abbiamo fatto un errore, ma lo possiamo recuperare solo sulla base di una cultura differente della città”.
Dopo aver ricordato l’attuale destinazione dell’area, il consigliere di minoranza Massimo Rossi ha voluto sottolineare come questa non sia più idonea perché, documenti alla mano, dentro le maglie esiste la possibilità di costruire altro. “Non siamo contrari a questo o quel proprietario, ma attuando questa previsione, che vincola il privato ma che gli offre anche spazi, si rischia di congestionare ancora di più quell’area. Ci sono possibilità, invece, di realizzare strutture per l’istruzione o in funzione della stessa. Noi non facciamo la guerra a nessuno, ma occorre partire da cosa è necessario e cosa è utile”.
Sulla differenza metodologica di azione ha insistito Giuseppe Buondonno, segretario regionale di Sinistra Italiana. “C’è molta differenza tra un’assemblea partecipata ed aperto rispetto ad una telefonata tra due persone, che hanno un ruolo pubblico, nella quale si dice che non interessa esercitare un diritto di prelazione. Non è un problema di trasparenza, mi interessa invece il fatto che quando si fanno le scelte partecipate si compiono meno errori, perché c’è un livello di competenza elevato ed un confronto che fa emergere le scelte fondamentali per la città”.
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