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“Lavoriamo con medici e infermieri,
rischiamo ogni giorno ma siamo invisibili”

CORONAVIRUS - Gli autisti soccorritori chiedono, tramite la loro associazione, il Coes, che venga riconosciuta la loro figura professionale. Il tesoriere, Emanuele Storani, lavora al 118 di Macerata: «Faccio questo mestiere da 23 anni, non mi era mai successa una cosa così pesante: torno a casa con la paura di contagiare i miei affetti, sto sempre in camera e mangiamo separati. Stiamo dando tutto, non siamo trasparenti»

 

Emanuele Storani

 

di Gianluca Ginella

«Rischiamo ogni giorno come medici e infermieri, ma noi siamo invisibili». Gli autisti soccorritori sono stanchi, non solo per i turni di lavoro massacranti per far fronte all’emergenza Coronavirus, ma per qualcosa che viene da più lontano: dal 1997. E’ da allora che chiedono che la loro figura venga riconosciuta professionalmente, e che, come medici e infermieri, abbiano anche loro diritto ad una indennità di rischio. C’è una associazione cui fanno capo tutti gli autisti soccorritori d’Italia ed è il Coes. Tesoriere è Emanuele Storani, autista soccorritore del 118 di Macerata che insieme a Giovanni Morresi, consigliere Coes per l’Emilia Romagna, e Marco Necchini, vice presidente Coes Italia, ha scritto una lettera per raccontare della loro situazione. A partire dai cinque colleghi che sono morti per essere rimasti contagiati (uno a Pesaro, due giorni fa, aveva solo 52 anni).

Sono loro a intervenire nelle case o negli ospedali insieme a medici e infermieri per occuparsi del trasporto dei pazienti Covid. Poi alla fine di ogni intervento si occupano di fare una operazione delicatissima: la sanificazione dell’ambulanza. «Sono già morti cinque nostri colleghi in Italia, esistiamo anche noi insieme a medici e infermieri, stiamo morendo come loro». Nella lettera gli autisti soccorritori scrivono che anche se sono pure loro in prima linea per combattere il Covid-19, si sentono degli «invisibili». Perché «non siamo nemmeno una figura professionale riconosciuta» nonostante un lavoro che li porta, così come medici e infermieri, a rischiare il contagio ogni volta che fanno un intervento. E lo devono fare, sottolinea il Coes nella lettera, «dettandoci le regole della sopravvivenza che nessuno ci ha dato su questa pandemia».

Il triage di Macerata

«Anche noi abbiamo paura – dicono Giovanni Morresi, consigliere Coes per l’Emilia Romagna e Marco Necchini, vice presidente Coes Italia, in rappresentanza di tutti gli autisti soccorritori d’Italia – le nostre braccia sono stanche ma siamo presenti per coprire i turni, siamo pronti a pagare il prezzo per noi stessi ma non siamo pronti a farlo pagare ai nostri cari. Quando timbriamo il cartellino veniamo travolti da un mondo assurdo, inimmaginabile per quelli che ancora continuano ad andare allegramente in giro fregandosene delle regole». «Faccio questo lavoro da 23 anni, ne ho visto di ogni tipo ma questa è l’esperienza più pesante, perché quando finisci il lavoro torni a casa e devi fare attenzione a protegge i tuoi cari, quindi devi elaborare tutto questo stress da solo – aggiunge Storani –. Io ho paur, quando torno a casa, di contaminare i miei affetti più cari. Cerco di stare in camera, mi svesto in garage, mangiamo a turno con i miei genitori. Io non vedo la mia compagna per paura di metterla in pericolo e ci sentiamo solo al telefono». Nell’Area Vasta 3 «siamo 30-40 autisti soccorritori dipendenti dell’azienda. Devo dire che sia noi autisti, che medici e infermieri l’azienda li ha sempre protetti, fornendo tutto quanto necessario: dalle tute, alle mascherine agli occhiali. Ci ha tutelato in tutti i modi e questo va sottolineato» continua Storani. Anche perché ormai se un’ambulanza esce «nella stragrande maggioranza è per i Covid, prima si usciva per malori, incidenti, ora queste cose sembrano essere scomparse. Noi autisti siamo reperibili 24 ore su 24, io ho finito di sanificare un’ambulanza dopo il trasporto di un paziente Covid, è fondamentale questa operazione perché il mezzo non deve essere contagiato. Noi stiamo dando il massimo e vorremmo ci fosse dato il giusto riconoscimento, perché non siamo trasparenti, sediamo di fianco a medici e infermieri quando ci sono gli interventi, ed è giusto che anche la nostra figura professionale venga riconosciuta dal ministero» conclude Storani.

 

 


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