di Pierpaolo Pierleoni
L’analisi dei numeri, la preoccupazione, la valutazione delle criticità, i risultati. Tante cose da dire, per il direttore dell’Area vasta 4 Asur Licio Livini e il primario del reparot di malattie infettive Giorgio Amadio. In videoconferenza, hanno tracciato un bilancio, a quasi un mese e mezzo dall’inizio dell’emergenza coronavirus. Con un aspetto, su tutti, a preoccupare Livini. “Nei nostri reparti sono passate 148 persone, c’è un dato preoccupante sui decessi, arrivati a 43. Il 30% delle morti si sono registrate al pronto soccorso, il 28% a malattie infettive, solo l’8% era ricoverato in terapia intensiva. Questo significa che spesso i pazienti sono arrivati al pronto soccorso in situazioni cliniche già gravi”.
Ecco perchè, secondo Livini, serve lavorare meglio fuori dall’ospedale. “Abbiamo allestito percorsi di assistenza puntuali per i posti letto, ma serve più attenzione attenzione a ciò che avviene fuori dall’ospedale e una risposta maggiore la dobbiamo riorientare al territorio. Ci stiamo muovendo con le 2 equipe di unità speciali di continuità assistenziale che fanno tamponi e vanno a domicilio. Se riusciamo a gestire meglio una serie di situazioni evitiamo i ricoveri ed anche i medici di base possono utilizzare dei farmaci per curare la malattia”. L’impegno, secondo Livini, “c’è stato da parte di tutti, ma è stato talvolta disordinato, servivano percorsi più ordinati. Non aver garantito tamponi in tempi più stretti è stato un aspetto negativo”.
I TAMPONI
Quello sui tamponi è un tasto dolente, Livini non fatica a riconoscerlo. “Preoccupa che a livello nazionale ci siano così tante differenze, abbiamo 21 sistemi regionali che lavorano in maniera diversa. Spesso viene da chiedersi: è possibile che nelle Marche ci siano gli stessi morti del Veneto? Avremmo potuto evitare tante morti tamponando tutti? Credo serva effettuare più tamponi possibili, è l’unico stumento per avere dati certi. Ad oggi abbiamo 705 persone in isolamento domiciliare, di cui 189 sintomatiche ed almeno su questi, occorre assolutamente effettuarli. Abbiamo difficoltà di reperimento dei materiali, non sempre abbiamo a disposizione i reattivi e il materiale che serve al laboratorio. In ogni caso, dal 12 marzo ad oggi ne abbiamo effettuati 2.700 e si è aggiunto anche l’istituto zooprofilattico. Abbiamo tamponato 580 operatori sanitari, i due terzi del totale. E’ stata una battaglia forte di questa area vasta. Oggi abbiamo un tempo di attesa nell’ordine di circa 3 giorni, possiamo arrivare fino a 160 processazioni al giorno”.
Il primario Amadio aggiunge: “Sui tamponi ci manca il dato epidemiologico, non sappiamo quante persone sono infettate, conoscere questo dato farebbe anche cambiare le statistiche. E’ importante, per ogni malattia infettiva, sapere quanti casi ci siano”.
IL CASO CASETTE D’ETE
E’ diventato virale, ieri, il caso sollevato sui social da un giovane di Casette d’Ete, Thomas Castellucci, che ha perso il nonno per Covid 19, ha il padre ricoverato e chiedeva di sottoporre se stesso e la sua famiglia a tampone. “E’ un caso che avevamo chiarissimo – spiega Livini – Quella famiglia è già in isolamento domiciliare e l’avevamo attenzionata. Il tampone è programmato e si svolgerà domani. Comprendo l’aspetto umano di sofferenza di chi ha perso un proprio caro e ne ha un altro ricoverato. Noi ad oggi se avessimo avuto tutto il materiale che occorreva, i tamponi li avremmo fatti a tutti”.
COME CURARE IL COVID-19
Il primario di malattie infettive Giorgio Amadio fa il punto delle cure sui pazienti, partendo da un pensiero “a tutti quelli che stanno lavorando per superare l’emergenza, tutto il personale che ha lavorato in modo incessante senza guardare agli orari e senza pensare ai riposi. Il pensiero va anche ai medici che si sono ammalati. Non possiamo dirci fuori dall’emergenza, dobbiamo riuscire a ridurre ancora i casi e continuare così. Si sono ridotti di molto gli accessi al pronto soccorso, sono stati giorni molto brutti. Abbiamo adoperato un farmaco adoperato per l’altrite reumatoide, è stato tentato anche l’utilizzo di farmaci per l’Hiv che avevano dimostrato una parziale efficacia, che poi non ha trovato conferme.Questo virus ha come bersaglio principale i polmoni, ma abbiamo avuto molti interessamenti cardiaci, intestinali, il virus colpisce tutto l’organismo, cresce il rischio di eventi trombotici, ci sono casi di embolie polmonari. Ad oggi non c’è ancora una terapia accreditata certa. Il prezzo maggiore lo hanno pagato gli anziani con pluripatologie: problemi cardiovascolari, diabete, obesità, età avanzata sono fattori di rischio di mortalità.
COSA NON HA FUNZIONATO
“Non è un virus che fa venire gli occhi gialli – nota Amadio – è una malattia infida, con tante persone infettate e asintomatiche. Siamo partiti con l’indicazione di prestare attenzione a chi veniva da Wuhan o dal lodigiano, o da Vo’ Euganeo. Ora sappiamo che probabilmente il virus circolava da prima. Ce lo siamo ritrovati senza sapere che c’era. Aspettavamo un’onda di un metro e abbiamo preparato un muretto di un metro e dieci, invece l’onda è arrivata ed era alta 3 metri. Il sistema era tarato per un certo numero di patologie. Abbiamo affrontato questa emergenza in un contesto di posti letto in diminuzione e risorse in calo”.
“Abbiamo fatto cose eccezionali, abbiamo blindato subito l’ospedale – ricorda il direttore Livini – eppure una casualità ha portato al diffondersi del virus al reparto di medicina. Una serie di concause ha portato a moltiplicare le situazioni. Nell’area vasta 4 abbiamo 74 positività tra il personale sanitario, di cui 20 medici e 31 infermieri. Abbiamo anche dimesso 34 persone, circa il 20% dei ricoverati”.
LA CONVALESCENZA
“Questo virus crea tanti problemi e non si esaurisce nella fase acuta – conclude Amadio – La convalescenza può essere lunga e servono strutture adeguate per la fase post critica”. “La riorganizzazione ospedaliera che abbiamo effettuato c ha portato attualmente a gestire circa 80 ricoveri, in caso di massima emergenza possiamo prevedere fino a 143 posti letto – continua Livini – Ripeto per l’ennesima volta che la proposta di destinare tutto l’ospedale Murri ai soli casi Covid non mi trova assolutamente d’accordo. Se questo fenomeno si stabilizza, non ci servono altri posti letto. Non dobbiamo portare via da Fermo settori e unità operative. Non serve. In periferia ci possono andare pazienti post critici e ricordo le convenzioni effettuate con Inrca e con la Kos di Campofilone per gestire il decorso dei degenti che hanno superato la fase più dura”.
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