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Dirigenti, medici e infermieri:
l’esercito contro il Covid19 si racconta:
«Lavoro enorme, non abbassare
la guardia
» Scatta la fase due

FERMO - L'analisi della sanità fermana e uno sguardo sul futuro: "Situazione che ci trascineremo ancora per mesi, ora serve riorganizzare per andare oltre la fase emergenziale"

di Pierpaolo Pierleoni

Livini, Padovani, Scialè, Misericordia, Ciarrocchi, Rocchi. Molti i volti dell’emergenza sanitaria da Covid 19 stamattina in videoconferenza per raccontare la gestione del Coronavirus. “Ho voluto che fossero presenti tutti gli ambiti di un sistema ad ingranaggio – spiega il direttore d’Area vasta 4, Licio Livini – Esperienze che meritano di essere raccontate, anche per affrontare positivamente le prossime fasi dell’emergenza. Occorre pensare che a breve dovremo avviare un percorso di recupero di spazi e situazioni, per tornare a rispondere anche alle altre patologie. Fino ad oggi ci siamo concentrati soprattutto sull’emergenza, ma ora dovremo rivedere l’organizzazione per dare spazio ad esigenze rimaste sospese a cui dobbiamo rispondere”.

La direttrice medico-ospedaliera del Murri Fiorenza Padovani  spiega: “Abbiamo affrontato uno sviluppo continuo, step by step, andando ad attivare nuovi moduli con il progressivo aumento dell’emergenza. L’epidemia oggi sembra in flessione, possiamo dire di essere stati bravi ed abbiamo potuto contare su professionisti eccellenti.  Il problema principale è stato a livello di risorse. Ora il problema che si pone è quello di collocare i post critici, perché i pazienti vanno gestiti correttamente per spegnere i focolai di contagio”. Secondo la dottoressa Padovani  l’unica nota stonata sarebbero state alcune uscite della stampa:  “che non ha rinunciato a titoli tonitruanti. La realtà è che a marzo, al Murri abbiamo avuto, nonostante il Coronavirus, un morto in meno dell’anno precedente e se andiamo a guardare i dati, si trattava di pazienti con copatologie. Non è vero che non abbiamo attuato una divisione dei percorsi tra malati Covid e non. La gente non deve aver paura di venire in ospedale perché sono stati previsti tutti i percorsi di cura necessari”.

Il direttore del distretto sanitario Vittorio Scialè concentra l’attenzione “su due aspetti: la cura dei pazienti nelle residenze protette convenzionate e l’ambito dell’assistenza domiciliare. Il momento chiave è stato nella prima decade di marzo. Crediamo si sia operato nel modo giusto ed un aspetto da evidenziare è stato la straordinaria collaborazione con i medici di famiglia. Le Usca, unità speciali delle continuità assistenziali, pur con comprensibili difficoltà da governare, sono state un rinforzo prezioso. Una sottolineatura particolare la meritano gli infermieri e tutti gli operatori sempre in prima linea. La sanità pubblica si è dimostrata un punto di riferimento per tutti”.

 

Secondo il dottor Paolo Misericordia, in rappresentanza dei medici di base, “creare dei team ha anticipato il rischio che i pazienti restassero senza riferimento sanitario. Un sistema promosso in questa area vasta, che non ha avuto uguali in Italia, con un progetto partito già dal 12 marzo e ripreso anche a livello governativo. L’evoluzione telematica del nostro lavoro in questa fase di emergenza andrebbe consolidata anche successivamente. Ora parte una nuova fase, per intercettare i prossimi focolai di contagio e sterilizzare rapidamente. Se dobbiamo guardare a cosa non ha funzionato, purtroppo siamo stati la regione meno performante d’Italia, è inaccettabile aver effettuato un decimo dei tamponi fatti dal Veneto”.

Il direttore del dipartimento di prevenzione Giuseppe Ciarrocchi evidenzia “il contenimento del numero di casi nella nostra area vasta, riuscito perché ci siamo subito attivati nella sorveglianza sanitaria e nelle procedure di isolamento. Se Pesaro ha il quintuplo dei casi del Fermano non è perché i colleghi siano stati meno bravi, ma perché il virus circolava da più tempo e le misure di contenimento hanno funzionato meno. Ora non dobbiamo assolutamente allentare la presa per evitare altri picchi epidemici. Siamo a 347 casi in questa area vasta e 1500 persone in quarantena. Dietro questi numeri c’è stato un lavoro immenso. Il tallone d’Achille sono i pochi guariti? Bisogna capire cosa intendiamo per soggetto guarito: il tampone va fatto a 14 giorni dalla fine dei sintomi” In prospettiva, per Ciarrocchi si presenta “l’esigenza di ripartire per le attività produttive, dove sarà possibile garantire un corretto distanziamento. Dobbiamo pensare ad un patentino per tutti che potrà indicare se si tratta di persone protette o no dall’infezione. Speriamo di poter contare a breve sui test sierologici. Dobbiamo prepararci ad una situazione che proseguirà ancora per molti mesi”

Tocca poi al direttore del servizio professioni sanitarie, Renato Rocchi, per dar voce a quei 900 operatori, dagli infermieri agli Oss, “che stanno davvero dando il massimo. Abbiamo 250 infermieri nell’ambito ospedaliero ed oltre 40 che garantiscono la presa in carico in ambito distrettuale. Siamo di fronte a un paziente che non conoscevamo e non sapevamo come trattare in sicurezza. Usando una metafora pugilistica, l’arbitro ci ha contato ma non siamo caduti ko. L’organizzazione si è subito riparata ed è passata alla controffensiva. La gestione di questo momento ci ha rafforzato ancora di più. Oltre ai pazienti affetti da Covid abbiamo dato assistenza a tutti gli altri, tenendo separati i percorsi, che ci sono e hanno funzionato”.

Guardando al domani, Livini vede “un possibile percorso, maturato nel corso di un incontro tenuto ieri, che potrà essere utile ad evitare per quanto possibile nuovi contagi. Parliamo di pazienti paucisintomatici o con forme lievi, ma positivi, per i quali si potrebbero mettere a disposizione i 20 posti letto di terapie intermedie di Sant’Elpidio a Mare. Altra esigenza per l’ospedale Murri è quella di trovare soluzioni per preservare i pazienti in via di guarigione che debbono essere dimessi ma, prima di tornare a casa, debbono sostare in altre strutture“.



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