di Andrea Braconi
Lo stress e l’impatto sulla vita del personale del “Murri” di Fermo, causato dal Covid-19, è stato molto significativo. A ribadirlo è Domenico Gabrielli, direttore di Cardiologia, che specifica come questa analisi riguardi non soltanto gli operatori che agiscono in prima linea, ma tutto l’ambito sanitario, indipendentemente dal lavorare o meno in un reparto cosiddetto Covid. “Il virus è presente in maniera diffusa, il rischio di contrarlo e a nostra volta di propagarlo è sempre presente ed è una delle principali preoccupazioni che sta variando la maniera di lavorare” ci conferma in occasione di una videointervista obbligatoriamente “diversa”.
Perché il virus ha cambiato tutto, anche la stessa organizzazione sanitaria. La Cardiologia rientra tra le unità operative No Covid e, proprio per cercare di ridurre al minimo il rischio di contagio, è stata spostata fisicamente dall’ala nella quale era collocata ad un’altra, quella storica del Murri nel reparto ex Medicina. “Con il trasferimento abbiamo perduto la terapia intensiva, momentaneamente lasciata ai colleghi della Rianimazione per aumentare il numero dei respiratori presenti. Abbiamo allestito dei posti letto monitorati centralmente, che ci consentono di operare ricoveri in sicurezza”.
Ma trasferire un reparto è sempre un lavoro immane e risulta fondamentale, perciò, ringraziare operatori sanitari e collaboratori per la loro abnegazione. “Abbiamo completato il trasferimento in meno di 24 ore, ricollegando tutte le apparecchiature e i computer. Sembrano cose banali ma non lo sono affatto”. Una fase transitoria, quindi, nella quale ci si è dovuti abituare ad un altro modo di lavorare anche riducendo quasi a zero le attività ambulatoriali, tranne quelle urgenti.
I problemi cardiologici, però, non sono andati e non possono andare in Quarantena, sottolinea Gabrielli, sia quelli delle persone che si ricoverano per infezione virale, sia per chi non si ricovera per tale motivo ma mantiene patologie croniche cardiovascolari. C’è poi un altro aspetto da evidenziare: “Chi aveva problematiche importanti da un punto di vista cardiovascolare non veniva in ospedale per paura di contrarre il virus”. Per questo, anche nel suo ruolo di presidente dell’ANMCO (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri), Gabrielli ha cercato sensibilizzare pubblico e Protezione Civile su quanto fosse importante che chi aveva sintomi acuti andasse in osservazione.
In queste settimane, da più parti è sembrata emergere anche una correlazione tra patologie cardiologiche e impatto del Covid-19. Sul punto Gabrielli prova a fare chiarezza. “Venendosi a determinare una polmonite molto importante, è chiaro che il sovraccarico che si viene ad avere sul cuore è significativo e delle volte può essere tale che l’organismo, già provato, non sia in grado di sopportare. Si ritiene che in circa dal 10 al 20% delle persone ricoverate per Covid ci sia un danno miocardico che può anche portare alla morte, a causa dello stress che tutto l’organismo soffre in relazione alla malattia virale”. In una quota minore, aggiunge, c’è anche la possibilità che il virus si localizzi a livello del muscolo cardiaco.
Gabrielli prosegue facendo riferimento alla possibile presenza di aritmie nei pazienti Covid, abbastanza frequenti ma che solo in alcuni casi rischiano di portare alla morte, in particolare in relazione a determinati farmaci che si utilizzano nel trattamento da Covid-19 e che possono generare delle alterazioni a livello cardiaco. “Se non c’è un monitoraggio attento si possono innescare aritmie che possono essere anche letali” rimarca.
Ma come si è concretamente risposto all’emergenza dal versante cardiologico? “Abbiamo cercato di creare percorsi specifici per pazienti Covid o sospetti e altri per quelli non colpiti dalla malattia. Anche grazie alle donazioni di privati, abbiamo attivato l’acquisto di una serie elettrocardiografi che consentono la trasmissione a distanza del segnale e, quindi, la possibilità di mandare il tracciato dalle zone Covid dell’ospedale alla Cardiologia, per avere in tempo reale una valutazione dell’elettrocardiogramma senza la necessità di trasferire fisicamente le persone o lo stesso foglio d’esame”.
La pandemia, come detto, ha costretto tutti a rivedere la propria organizzazione del lavoro con modalità che per il futuro potrebbero rivelarsi comunque molto utili. Per quanto riguarda la propria unità, Gabrielli spiega come si stia acquisendo un sistema di televisita (o teleconsulto), cercando di implementare le possibilità attuali della telemedicina, con visite e ascolto del cuore a distanza e senza la necessità di trasferire le persone. “È un passo avanti importante e nulla vieta che, quando sarà terminata l’emergenza, queste possibilità vengano messe a disposizione ad esempio nei punti di primo intervento periferici, nelle case di riposo o dove si riterrà opportuno. Sono possibilità tecnologiche che sfrutteremo superata questa fase”.
Il finale è la domanda che tutti si stanno ponendo in queste giornate di Lockdown; a cosa ci dobbiamo realmente abituare? “Sarà fondamentale non darsi alla pazza gioia – evidenzia Gabrielli – e purtroppo la fase 2 dovrà essere molto lenta e programmata. Il rischio di nuove ondate, infatti, è presente. Non è che il virus sparirà, ma continuerà a girare fino a che non ci sarà l’eradicazione. Saranno fondamentali quelle nozioni minime che tutti i giorni sentiamo, cioè la mascherina, i guanti e l’igiene. Anche quando rientriamo in casa ricordiamoci di sanificare le scarpe e di posizionare i vestiti in una zona separata della casa”.
Piccoli suggerimenti, i suoi, che si sommano ai ringraziamenti alla popolazione e agli utenti per la profonda vicinanza dimostrata. “Noi stiamo cercando di fare al meglio il nostro lavoro che, grazie a Dio, amiamo tanto”.
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