di Giuseppe Ripa * e Alessandro Lattanzi **
La diffusione epidemiologica del Covid-19 ha creato una crisi senza precedenti, essendo questa sia di tipo economico (dovuta al blocco della produzione e per ampi tratti del commercio), che finanziario (blocco dei pagamenti e rinegoziazione continua delle scadenze).
Le imprese devono attentamente monitorare il loro status di salute ed intervenire laddove la “crisi” o peggio ancora, “l’insolvenza” sia emersa; per quest’ultima, ci si riferisce alla definitiva incapacità dell’imprenditore di far fronte regolarmente al pagamento dei propri debiti, mentre per crisi si deve intendere l’incapacità dell’impresa di generare flussi di cassa sufficienti per il pagamento dei propri debiti.
Se per il primo concetto il R.D. n. 267/1942 ne aveva già previsto la definizione, per la crisi invece nulla si disponeva in merito. Questo concetto è stato definitivamente normato dalla lett. a), dell’art. 2 di cui al D.Lgs. n. 14/2019, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il cui compito è quello di “mandare in pensione” l’attuale Legge fallimentare.
Nel nuovo Codice, la cui entrata in vigore, per la parte procedurale, è stata posticipata al primo settembre 2021, ma per cui si ritiene opportuno mutuarne già da ora i principi fondamentali, la finanza, o meglio il suo concetto, assume valenza fondamentale; essa deve, però, attentamente esaminata nel suo duplice significato: “nuova finanza (o finanza esterna)” e “finanza interna”.
Per il primo concetto, ampiamente richiamato dal Codice per l’esecuzione degli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento (art. 56, CCII), nonché dei piani di concordato preventivo – siano essi in continuità aziendale che liquidatori – di cui agli artt. 84 e ss. nonché implicitamente sottostante l’esecuzione degli accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57 – 63). Per tale deve intendersi quella finanza neutra rispetto al patrimonio del debitore; in altre parole, è tale quella che non aumenta né l’attivo, né il passivo del debitore e che consiste nell’intervento diretto di un terzo che, con propri beni, soddisfi i creditori potendo ovviare al rispetto della scala gerarchica disciplinata dall’art. 2741, c.c.
In buona sostanza, il terzo può intervenire apportando beni mobili, immobili, costituendo vincoli di destinazione quali trust di scopo a garanzia, attraverso cui poter soddisfare i creditori di rango inferiore (i.e.: chirografari), senza dover prima soddisfare quelli privilegiati. Questi ultimi potranno, invece, contare sulla finanza interna ritraibile dalla prosecuzione dell’attività d’impresa del debitore, ovvero dalla liquidazione dei suoi beni.
Ecco, dunque, il secondo concetto. La finanza interna, nella quale rientra tutta la liquidità direttamente ritraibile dal debitore che viene posta poi a diretto presidio dei creditori.
E’ indubbio come, tra le varie tipologie, rientri anche la liquidità ottenuta ed ottenibile dai recenti interventi del Legislatore quali, ad esempio, i finanziamenti garantiti dalla SACE e/o dal Fondo di garanzia per le PMI di cui al D.L. Liquidità n. 23/2020, convertito in Legge 5 giugno 2020, n. 40.
Tali interventi, purtroppo, costituenti capitale di debito che dovrà comunque essere restituito, mal si conciliano con il fine di permettere il ritorno in bonis delle imprese in crisi, nonché con gli stessi strumenti previsti dall’attuale Legge fallimentare.
Difatti, l’ottenimento di tale capitale di debito garantito dello Stato altro non fa che aumentare i debiti di natura privilegiata rispetto a quelli chirografari.
Nonostante il Codice della crisi non sia ancora in vigore, si ritiene possibile mutuarne alcuni principi ed istituti fondamentali, quali gli accordi stragiudiziali con i singoli creditori. Ivi sarebbe possibile far confluire sia il concetto di nuova finanza, che quello di finanza interna, atti a permettere il ritorno “in salute” dell’impresa.
E ciò verrebbe realizzato attraverso l’intervento di uno o più terzi garantire, nonché attraverso accordi diretti con i creditori con il quale prevedere lo stralcio dei debiti attraverso accordi di natura transattiva ed eventuale pagamento attraverso la cessione di asset non strumentali. Entrambe le ipotesi comunque accompagnate dai benefici fiscali tanto per il creditore che per il debitore.
In conclusione, appare evidente come in questa situazione generale di crisi conclamata per le imprese (… i cui effetti purtroppo continueranno a prodursi nel futuro prossimo), l’imprenditore deve immediatamente e concretamente attivarsi per la risoluzione della stessa, utilizzando gli strumenti forniti dalla attuale Legge fallimentare e, laddove mal concilianti con le effettive necessità dell’impresa, mutuare i principi statuiti dal nuovo Codice della crisi.
* Docente Universitario Unimc, Dottore Commercialista e Revisore Legale
** Dottore Commercialista e Revisore Legale
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