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La protesta dei commercianti:
oltre 500 scendono in piazza
“Sabato restiamo aperti”

CIVITANOVA - I titolari e dipendenti di bar, ristoranti e attività colpite dalle chiusure disposte dal nuovo Dpcm si sono ritrovati in piazza XX Settembre. Chiedono che la giunta firmi una disapplicazione del decreto. Beatrice Marinelli: «Ci stanno impoverendo, stanno facendo soffrire le nostre famiglie e noi, civilmente, ci opporremo». IL VIDEO
Le testimonianze dei commercianti scesi in piazza

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La protesta in piazza

 

di Laura Boccanera (Foto di Federico De Marco)

«Diciamo basta, sabato rimarremo aperti, il lavoro è un nostro diritto, è scritto nella Costituzione». Sono i commercianti in piazza a parlare. Una piazza gremita ieri pomeriggio a Civitanova dove ristoratori, titolari di gelaterie, bar, pizzerie, ma anche commercianti, operatori del fitness, partite Iva e semplici cittadini si sono ritrovati per protestare contro il decreto e le chiusure imposte alle 18. protesta-ristoratori-covid-piazza-xx-settembre-civitanova-FDM-17-325x217Arrivare in piazza XX Settembre significa attraversare vie con saracinesche abbassate, locali con dentro il personale che sta facendo le pulizie, che dismette i tavolini, i luoghi della movida e dell’aperitivo sono spenti. Sono tutti in piazza.

Una piazza vivace, ma civile, munita di mascherine, senza “politica” al microfono come voluto dagli organizzatori, anche se tra i presenti ci sono quasi tutti gli amministratori cittadini, sindaco compreso. Una protesta di popolo che ha radunato 500-600 partecipanti secondo la questura che vigilava assieme ai carabinieri la parte retrostante della piazza. Scongiurati episodi di violenza anche se un paio di volte gli animi dei ristoratori si sono accesi contro quello che ritengono un provvedimento ingiusto.

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Alfredo Croceri

Ad organizzare assieme a tante altre categorie e associazioni il titolare della pasticceria Mercì Alfredo Croceri che esprime soddisfazione per questo primo momento di protesta. All’angolo dei giardini in un gazebo improvvisato si raccolgono le firme. L’obiettivo è far firmare alla giunta come fatto da altri sindaci una disapplicazione del decreto che consenta alle attività di rimanere aperte. Ma ad ogni modo i partecipanti vanno avanti: «Sabato terremo aperto, sia con la firma del sindaco, sia in assenza di questa. Civitanova ha risposto alla grande, ma anche tanti sono venuti dai comuni limitrofi.

Il nostro obiettivo per ora è stato raggiunto, quello finale è rimanere aperti. Il sindaco può firmare una delibera e far decadere il decreto. Noi sabato rimarremo aperti perché è un nostro diritto, è scritto nella Costituzione».

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Beatrice Marinelli

A spiegare meglio l’iniziativa è Beatrice Marinelli già portavoce del movimento per la sanità pubblica: «Ci stanno impoverendo – ha detto la Marinelli alla folla – stanno facendo soffrire le nostre famiglie e noi, civilmente, legalmente, ci opporremo. Questa manifestazione è pacifica e civile per affermare il diritto di lavorare. Lo Stato ha avuto tutto il tempo per prendere decisioni su principi sanitari, tutte le attività hanno sostenuto spese e investimenti per mettersi a norma e ora si ritrovano a chiudere prima o del tutto e questo non è accettabile. Sindaco, lei deve chiedere la disapplicazione del Dpcm come alcuni sindaci stanno facendo ricorrendo al Tar e alcuni sindaci hanno già firmato le delibere di giunta». Il sindaco Fabrizio Ciarapica ha ascoltato senza intervenire come richiesto dagli organizzatori.

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Il sindaco Fabrizio Ciarapica

«Siamo perfettamente consapevoli che stiamo vivendo la più terribile emergenza sanitaria e sociale del dopoguerra, e che in questo momento non è facile tenere un equilibrio tra la grave crisi sanitaria e l’emergenza socio economica – spiega il sindaco -. Comprendiamo però le ragioni di chi sta vivendo una situazione pesantissima sul fronte lavorativo, vedendo tra l’altro vanificati gli sforzi messi in campo per garantire la prosecuzione in sicurezza delle attività. E’ giusto avere e rispettare regole per il contenimento del virus, ma non si può pensare di far pagare le conseguenze della pandemia solo a determinati settori economici e sociali perchè considerati “sacrificabili”. Ci auguriamo che tutte le categorie penalizzate dalle limitazioni o chiusure dal nuovo Dpcm, che erano già in forte sofferenza a seguito del lockdown, abbiano in tempi rapidissimi e senza troppi vincoli burocratici l’accredito dei ristori economici, ad oggi solo annunciati e non quantificati. Come amministrazione, l’ho già annunciato e lo confermo, cercheremo di mettere in atto ulteriori forme concrete di sostegno per famiglie ed imprese e personalmente mi impegno ad essere portavoce delle legittime rivendicazioni delle categorie più colpite nelle sedi istituzionali». In realtà proprio mentre la piazza stava manifestando il premier ha presentato la manovra per gli aiuti economici che pesano per 5 miliardi a fondo perduto.

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Mirko Lucchetti

LE VOCI – Il provvedimento ha inciso in maniera differente fra le categorie e in maniera ancora diversa fra le stesse categorie dei ristoratori, penalizzando maggiormente chi lavorava prevalentemente con la cena come pizzerie e ristoranti che non insistono in centro. E’ il caso di Mirko Lucchetti titolare del ristorante pizzeria Vecchio Mulino, attività storica, con 7 dipendenti e oltre 100 coperti. E’ la prima volta che scende in piazza: «in 19 anni di attività non sono mai sceso in piazza. Emotivamente siamo tutti provati. E’ una situazione difficile che si ripete, ricordiamo il lockdown, ho attinto ai fondi del Covid con grande difficoltà, una cifra che ti permette di andare avanti con preoccupazione, ma non con disperazione. Sono qui in piazza perché ho visto negli occhi dei miei dipendenti smarrimento e preoccupazione. Se un ristorante è a norma lo è sia a pranzo che a cena. Siamo passati da 165 posti a 95, con distanziamento ed era tutto in regola. L’impatto della mancanza della cena è importante perché il tempo per il pranzo è diverso, si fa menù del giorno, per la cena si spende mediamente di più. Far chiudere alle 18 ci ha sconcertati, è stato come tagliare la testa alle attività».

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Giovanni Piampiani

Giovanni Piampiani del fish bar La Muccigna ha preso una decisione drastica: saracinesche abbassate sempre. «Ogni attività ha un conto economico, lavoriamo a cena e chiudere alle 18 significa non lavorare, non possiamo riciclarci per il pranzo, non è il nostro target. Stando chiusi si rimette, ma stando aperti si rimette anche di più. Non so quale possa essere la soluzione. Il virus c’è, ma ci hanno fatto spendere tanto per metterci a norma, ma la chiusura alle 18 è una non soluzione, il virus se c’è si diffonde sempre. Sarebbe stato più logico un lockdown totale, chiusi dalle 18 non vuol dire niente e non credo neanche sia efficace».

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Marco Seri

La chiusura alle 18 non è la soluzione neanche per Marco Seri dell’osteria Conte de Vico a Civitanova Alta. L’impennata dei contagi secondo lui è da attribuirsi alla riapertura delle scuole e ad un certo lassismo in estate nelle discoteche: «questo provvedimento impatta in modo irreparabile – dice – Dire “chiudete alle 18” vuol dire “chiudete totalmente”. Aprire solo a pranzo non ha senso, aprire è una rimessa spese per luce, riscaldamento, personale e l’asporto non è la soluzione. I numeri dei contagi dati giornalmente oltretutto impauriscono la popolazione che già non aveva molta voglia di uscire e spendere. Si vedono negozi vuoti, la gente ha paura e si contiene. Tutti stiamo aspettando i fondi, ma ancora non si sono visti. Io al posto di Conte non avrei fatto aprire le scuole, poi non avrei fatto aprire le discoteche in estate risarcendo i titolari. E siamo arrivati impreparati alla seconda ondata, senza investimenti sulla sanità».

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Yulia Torres

Tra i presenti alla manifestazione anche commercianti al momento non toccati dal decreto come Yulia Torres di Chica Loca su Corso Umberto I: «sono qui per dare solidarietà piena alle bariste, ai ristoranti, alle pasticcerie, perché siamo tutti parte di un ingranaggio, di una catena. Con la chiusura alle 18 non si fanno aperitivi, non si va al ristorante  e anche il passeggio ne risente e quindi il commercio. In questi giorni alle 18 in giro non c’è più nessuno e anche noi vendiamo di meno, il provvedimento per indotto ci danneggia tutti. Se la gente non esce non spende neanche per comprare i vestiti». Un nutrito gruppo di partecipanti arriva da Porto Potenza, sono gli associati di Ara, associazione che raccoglie 40 titolari di hotel e ristoranti di Porto Potenza:

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Francesco Bavallo

«Siamo qui per far valere i nostri diritti a livello ristorativo e alberghiero – spiega il portavoce Francesco Bavallo – sperando che queste manifestazioni possano arrivare alle orecchie di chi ci governa e cambiare qualcosa».

Tanti coloro che hanno partecipato, ma tanti anche quelli che invece, per lavoro o per scelta, hanno preferito tenersi lontani dalla piazza. Nel cuore della movida, piazza Conchiglia anche le luci solitamente accese sono spente. All’interno dei locali chiusi ci sono i dipendenti, i titolari delle attività, discutono, forse organizzano, altri si preparano per l’asporto. C’è chi esprime solidarietà pur rimanendo al lavoro.

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Giancarlo Pierangeli

E’ il caso di Giancarlo Pierangeli della pizzeria Ciak, frequentatissima da giovani e giovanissimi. Alle 18 ha tolto sgabelli e tavolini all’aperto e ha sistemato all’ingresso un igienizzante. L’accesso è consentito solo per la pizza da asporto. Un cambiamento non così impattante tutto sommato: «per noi cambia poco, siamo tra i meno penalizzati, io la pizza la vendo. Dalle 18 faccio l’asporto e invito le persone a non consumarla qua. Sarei in piazza coi miei colleghi. Per i miei colleghi ristoratori il decreto è troppo restrittivo, non hanno incassi dopo una certa ora, è normale che protestino».

Giacomo Morelli di Lomi invece ha deciso di potenziare il delivery e il take away: «oggi siamo chiusi ma era previsto perché stiamo cambiando i menù e abbiamo approfittato anche per fare alcuni lavori qui al locale. Non protesto in piazza non perché non sia una situazione che ci danneggia, ma credo che la protesta non porti alcun vantaggio. Qualcosa per contenere il contagio andava fatto, se è stata la cosa giusta lo vedremo fra qualche settimana, è indubbio che fra questo e il lockdown totale preferisco questo».

 

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Giacomo Morelli

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