di Federica Broglio
La crisi ora si fa sentire, pesantemente. Le aziende sono in sofferenza, senza distinzione tra settori. A confermarlo i dati, tutti in perdita, sia per quanto riguarda il mercato interno che estero. Con una crescita esponenziale di ricorso alla cassa integrazione. Non c’è lavoro e gli imprenditori ovviamente non prevedono investimenti non potendo fare previsioni per il futuro. “Nel comparto prevalente per la nostra provincia, ossia il tessile-abbigliamento-calzaturiero, – spiega il direttore di Confindustria Giuseppe Tosi – il fatturato è calato dal 30 al 60 per cento, con una media del 40 per cento, con conseguenze negative anche per tutto l’indotto dei terzisti e accessoristi. Se pensiamo che è il settore da cui dipende il 65 per cento del Pil del Fermano, è evidente che siamo di fronte ad uno scenario difficile. I più ottimisti confidano in una ripresa nel primo semestre del 2021, io ritengo che, vista la situazione anche negli altri Paesi, è impossibile fare previsioni a breve termine”.
L’84 per cento delle aziende fermane vive di export, ma sulla base dei dati Istat il crollo c’è stato: nel primo semestre del 2020 in agricoltura del 18,7 per cento, nei prodotti tessili del 28,2 per cento, articoli in pelle (quindi calzature) del 31,9 per cento, prodotti in legno del 65 per cento, materie plastiche del 31,6 per cento, con una flessione dal 15 al 40 per cento di esportazioni verso i paesi come la Germania, la Francia, gli Stati Uniti e la Russia, maggiormente colpiti dalla pandemia.
“Manca il lavoro – denuncia il direttore di Confindustria Fermo – ma ora gli imprenditori hanno bisogno di finanza, di liquidità. Il Governo aveva previsto prestiti fino a 25mila euro, ma con la manleva richiesta dalle banche ben pochi hanno potuto beneficiarne. Fortunatamente i Confidi stanno lavorando e dando ossigeno alle imprese, ma non può essere sufficiente. Gli imprenditori chiedono prestiti agevolati o contributi a fondo perduto”.
Una cosa però questo periodo di crisi ha portato di positivo. La consapevolezza, anche da parte degli imprenditori più ‘conservatori’ che senza la digitalizzazione ormai non si può sopravvivere. Per questo Confindustria, insieme alla Camera di Commercio, ha avviato dei corsi e dei webinar per incentivare e formare alle nuove tecnologie. “Siamo arretrati da questo punto di vista – ammette Tosi – e anche noi come associazione ci stiamo attrezzando per poter offrire i nostri servizi da remoto. Non ci si può sottrarre al cambiamento e tante aziende stanno affidando all’esterno o formando propri dipendenti anche al marketing digitale e l’e-commerce”.
Resta il nodo però del personale, che, se da una parte fortunatamente non si può licenziare, è un costo eccessivo per l’impresa in proporzione alle entrate di bilancio. Inevitabile quindi il ricorso alla cassa integrazione che nelle Marche nel periodo luglio-settembre è aumentato del 923 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, passando da 2,4 milioni ore a quasi 25 milioni. Numeri che fanno paura. A livello provinciale, sebbene il dato confindustriale sia aggregato tra la provincia di Fermo e quella di Ascoli Piceno, l’aumento è stato di più del 200 per cento. “Purtroppo si sono registrati dei ritardi nell’erogazione della cassa integrazione – afferma il direttore Tosi – ma è dovuto ad un sottodimensionamento avvenuto negli anni degli uffici regionali Inps che ha provocato dei notevoli rallentamenti burocratici”. Un problema che però non dovrebbe pesare sulle tasche di quei lavoratori che ne hanno diritto e che devono pensare a mantenere se stessi e le proprie famiglie.
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