di Dott.ssa Fabiola Biancucci
Cibo, medicinali, abbigliamento, personal computer e molto altro nel paniere della L. 166/2016, c.d. Legge Gadda, che disciplina la redistribuzione delle eccedenze produttive a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi.
La promulgazione della Legge avviene nel 2016 quasi in concomitanza con la sottoscrizione a Parigi da parte di 193 Paesi delle Nazioni Unite della c.d. Agenda 2030 che fissa 17 obiettivi di sviluppo sostenibile fra i quali l’impegno a ridurre gli sprechi alimentari di rivenditori e consumatori e di tutta la catena agroalimentare.
Triste lungimiranza quella dell’On. Gadda se ci soffermiamo sui dati sulla povertà e sulla crescita di questi numeri in Italia. Quasi 5 milioni di individui sono in condizioni di povertà assoluta cioè senza i mezzi sufficienti per l’acquisizione dei beni e servizi essenziali. E quasi 9 milioni di individui hanno una spesa per consumi al di sotto di una soglia di povertà relativa convenzionale che segna appunto la c.d. “linea di povertà”. Numeri raddoppiati negli ultimi dieci anni. Con un indice di diseguaglianza economica ormai fuori controllo se si pensa che solo in Italia nel 2019 il 20% più ricco degli italiani deteneva quasi il 70% della ricchezza nazionale, il successivo 20% poteva contare sul 17% della ricchezza, mentre al 60% più povero spettava il solo 13%.
Mai tanto attuale purtroppo il tema oggi, in questo drammatico 2020, tanto che dopo un primo rafforzamento delle Legge Gadda con la Legge di Bilancio 2018, è stata nuovamente strumento di intervento nell’ambito del Decreto Cura Italia (n. 18/2020) emesso a seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.
In estrema sintesi la Legge Gadda, nella sua formulazione inziale con riguardo al settore agroalimentare, favorisce tutte le iniziative che consentono di evitare che cibo ancora edibile diventi “spazzatura” favorendone invece la redistribuzione in favore delle tantissime associazioni di volontariato per il sostengo alle famiglie ed alle persone in difficoltà.
Un enorme sacco nero che, dai campi al consumatore finale, nell’anno di promulgazione della Legge, secondo i dati del Politecnico di Milano, contava 5,6 tonnellate di cibo prodotto in eccedenza che diventava “spreco” per 5 milioni di tonnellate e che tradotto in euro equivale ad oltre 12 miliardi di euro all’anno letteralmente buttati in discarica.
Ecco allora l’opportunità della donazione rispetto alla distruzione, perché donare diventa anche una impresa che conviene prevendo la legge agevolazioni fiscali su tre livelli:
1. IVA: le donazioni non generano iva a debito al momento della cessione ma non fanno perdere l’iva detratta sugli acquisti che quindi concorre come Iva a credito verso l’Erario,
2. IMPOSTE DIRETTE: le cessioni non sono considerate ricavi e pertanto non formano reddito d’impresa e non scontano alcuna imposta sui redditi (Ires, Iperf),
3. IMPOSTE LOCALI: i Comuni possono deliberare una riduzione della TARI dovuta dalle attività produttive in genere che producono o distribuiscono beni alimentari pari fino al 50% della quota variabile.
Il rimando giuridico è all’art. 16 della Legge Gadda il quale contiene “disposizioni fiscali per le cessioni gratuite di eccedenze alimentari, di medicinali e di altri prodotti a fini di solidarietà” e individua alcune tipologie di beni, per i quali non opera la c.d. “presunzione di cessione”, qualora la distruzione si realizzi con
la loro cessione gratuita agli enti indicati dall’art. 2 della stessa L. n. 166 (vale a dire: “gli enti pubblici nonché gli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche e solidaristiche e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività d’interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale nonché attraverso forme di mutualità, compresi gli enti del Terzo settore di cui al codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo del 3 luglio 2017, n. 117”).
Inoltre, i beni in questione non si considerano destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa e quindi produttivi di ricavi, ai sensi dell’art. 85, comma 2, del Tuir.
La cessione solidaristica dei predetti beni, che si considerano “distrutti”, è un’operazione irrilevante agli effetti dell’IVA – pur potendo l’impresa cedente operare la detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti – e, non essendo produttiva di ricavi, non è soggetta a tassazione ai fini delle imposte sui redditi.
Oggi, in sede di conversione in Legge n. 27/2020 del Decreto Cura Italia si modifica e si amplia l’art. 16 e il beneficio fiscale viene esteso alle cessioni dei prodotti tessili, dei prodotti per l’abbigliamento e per l’arredamento, dei giocattoli, dei materiali per l’edilizia e degli elettrodomestici, nonché dei personal computer, tablet, e-reader e altri dispositivi per la lettura in formato elettronico, non più commercializzati o non idonei alla commercializzazione per imperfezioni, alterazioni, danni o vizi che non ne modificano l’idoneità all’utilizzo o per altri motivi similari.
L’applicazione del regime di favore è subordinata al rispetto di obblighi comunicativi e dichiarativi a carico dei soggetti della donazione, del cui adempimento è ora possibile incaricare un terzo, ferma restando la responsabilità del donatore e dell’ente donatario.
Magari in prima battuta tutto questo pare non appartenerci, non appartenere alla nostra realtà di piccola provincia, non appartenere all’orto nostro per rimanere in tema, ma già parlarne una goccia che contribuisce anch’essa a formare il mare.
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