di Andrea Braconi
“La telelogopedia è un’esperienza preziosa che resterà anche quando l’emergenza sanitaria sarà conclusa”. Questo passaggio – contenuto in una nota della Federazione Logopedisti Italiani in occasione della Giornata Europea della Logopedia (celebrata lo scorso 6 marzo, ndr) – trova piena condivisione da parte dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Fisica e Riabilitazione dell’Area Vasta 4.
“Dal mese di aprile 2020 abbiamo avviato un percorso di presa in carico attraverso la telemedicina, soprattutto di quei pazienti cronici che rappresentano una grande parte del totale”. A parlare è la dottoressa Maria Menichetti, che ripercorre le tappe di una fase complessa, tappe rivelatesi fondamentali “per continuare ad erogare un servizio che altrimenti sarebbe andato perso”.
Innegabili le perplessità iniziali, ma osservare un paziente sullo schermo e capire di avere una capacità di risposta appropriata, supportare la famiglia e accompagnare le persone in un percorso di educazione ha ripagato pienamente la dottoressa e le sue colleghe. “Per noi operatori è stata una conquista – prosegue -. Pensiamo che ci sono persone che non riescono a mangiare e non sanno affrontare questo problema. E che di disfagia si muore. Anche per questo penso che in alcuni casi questa virtuale sia una modalità da portare avanti anche in futuro”.
Con l’arrivo dell’estate gli ambulatori si sono riaperti, ma nell’equipe c’era già la piena consapevolezza di come tutto sarebbe ricominciato. “Temevamo che la pandemia avrebbe potuto riprendere la sua forza e abbiamo cominciato a pensare cosa fare per migliorare l’assistenza o, per lo meno, a non escludere l’assistenza ad alcuni tipi di popolazione. Ben presto ci siamo resi conto che con il perdurare della pandemia stavano emergendo due esigenze: quella di evitare, in particolare per pazienti fragili, la frequentazione di luoghi ad elevato rischio di contagio e quella di garantire loro comunque un adeguato controllo o follow-up. Cosi a dicembre abbiamo prodotto un ulteriore progetto dedicato allo screening della deglutizione. Purtroppo adesso stiamo rivivendo un incubo più grande, osserviamo situazioni veramente gravi e non vediamo ancora la fine, se non attraverso una vaccinazione di massa”.
Quello che è stato definito “ambulatorio virtuale” ha visto protagonisti in questo anno Fisiatri, Fisioterapisti e Logopedisti dell’azienda sanitaria fermana, impegnati ad offrire indicazioni e supporto informativo alle necessità delle persone con condizioni disabilitanti di diversa origine.
Da circa un mese è iniziato lo screening della deglutizione con giorni e fasce orarie dedicate al primo contatto con il MMG, momento che attiva tutto il percorso; l’aderenza stata molto buona con riscontri positivi nonostante le difficoltà reali legate ad una scarsa digitalizzazione delle persone di quell’età.
Si tratta di una nuova forma di intervento che utilizza una stretta collaborazione con il Medico di Medicina Generale per selezionare i pazienti con difficoltà di deglutizione, capirne i bisogni e valutare chi di loro necessiti di una visita in presenza.
Questa collaborazione con la Medicina Generale è un punto di forza, in tempi molto ridotti ho la possibilità di avere un’anamnesi dettagliata del paziente e accedere a tutte le terapie farmacologiche che sta facendo; inoltre la diagnostica viene fatta insieme al suo Medico e con lui si stabilisce una strategia di azione. Poi c’è il contatto con il familiare o con lo stesso paziente, che permette di completare la valutazione, addestrare e supervisionare il paziente, dare informazioni per modificare determinati comportamenti.
In alcuni casi, quando necessario, si preferisce l’approccio in presenza ed allora bisogna organizzare un percorso che preveda il tampone il giorno prima della visita e o il trattamento: l’attività sulla deglutizione, precisa la Menichetti, espone ad un rischio biologico molto alto di trasmissione per il contatto strettissimo con il paziente.
L’Ospedale Murri è il raggio di azione di Milena Giamila Panza. “Mi occupo del disturbo disfagico e della presa in carico dei pazienti ricoverati, anche post covid. In questa situazione mi sono affiancata alla dottoressa Menichetti per sviluppare un protocollo capace di dare una risposta a quei pazienti che non riuscivamo a contattare perché particolarmente fragili”.
Contatti a distanza e telefonate per arginare, ma l’esigenza rimaneva quella di riuscire a comprendere in maniera chiara la situazione. “L’utilizzo delle tecnologie è stato fondamentale per avere un contatto il più ravvicinato possibile, ma il nostro è un lavoro che si basa sulla presenza. Piuttosto che non far accedere i pazienti ai trattamenti, abbiamo pensato ad altre modalità per provare a capire quali erano le loro difficoltà. Abbiamo fatto un accompagnamento di tipo pratico, con consulenze a familiari e pazienti, per poi avere un ulteriore approfondimento in caso di aggravamento o di urgenza. Abbiamo cercato di essere presenti, nonostante tutto, ma questo è stato possibile anche grazie alle famiglie e ai medici che hanno saputo dare la loro disponibilità.
L’esperienza di Lucia Calza con i pazienti si sviluppa in ambito ambulatoriale, presso il Distretto di Porto San Giorgio. “L’inizio dell’emergenza è stato segnato da difficoltà di carattere tecnologico. Per tamponare lo smarrimento dei pazienti abbiamo fatto delle telefonate, il contatto più facile. Poi abbiamo iniziato a fare anche riabilitazione con modalità ibrida: non è possibile sostituire integralmente il trattamento logopedico con la telariabilitazione, ma abbiamo fatto sedute in presenze e altre in teleriabilitazione fino a che la situazione è stata particolarmente complessa”.
Perché il compito di un’operatrice sanitaria, rimarca, è anche quello di adattarsi. “Le necessità dei nostri pazienti sono state delle priorità. Certo, farli venire in ambulatorio è stato impegnativo dal punto di vista emotivo, ma è il nostro ruolo e proprio per questo abbiamo scelto di fare le operatrici sanitarie”.
Di problemi riguardanti la voce e la comunicazione si occupa anche la logopedista Lorella Borraccini. “Accogliamo pazienti che vengono soprattutto dal territorio, operati alle corde vocali e che devono essere sottoposti alla riabilitazione. Nei primissimi giorni dopo il lockdown abbiamo lavorato soprattutto al telefono, sincerandoci delle condizioni e dando indicazioni post operatorie”.
Anche in questo caso, i pazienti non venivano mai lasciati soli. “Li chiamavamo e parlavamo con i familiari se non riuscivamo a comunicare con loro. Penso che la cosa più importante che è emersa è stata l’essere d’aiuto. Certo, emotivamente è stato faticoso ma i risultati ci hanno rigenerato, i pazienti hanno risposto e ci hanno fatte sentire importanti e participi. Sentiamo di far parte di questo percorso e possiamo essere un punto di riferimento. Il paziente con noi non si è mai sentito abbandonato e questo ci ripaga di ogni sacrificio”.
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