di Dott. Andrea Mattiozzi
In piena stagione per la chiusura dei bilanci, le imprese, con il supporto dei propri commercialisti, stanno valutando l’opportunità di usufruire di una delle diverse misure di sostegno che il Legislatore ha messo in campo per contrastare gli effetti negativi della pandemia da “Covid-19”. Ci si riferisce, in particolare, alla rivalutazione dei beni di impresa prevista da due diversi provvedimenti, ovvero dall’art. 110 del D.L. n. 104 del 2020 (c.d. “decreto Agosto”), convertito con modificazioni dalla L. n. 126 del 2020, per la generalità delle imprese e dall’art. 6-bis del D.L. n. 23 del 2020 (c.d. “decreto Liquidità”), convertito con modificazioni dalla L. n. 40 del 2020, per le imprese operanti nei settori alberghiero e termale.
Come si vedrà, entrambi i provvedimenti appaiono particolarmente appetibili per le imprese in ragione della modesta misura dell’imposta sostitutiva prevista per il riconoscimento anche ai fini fiscali della rivalutazione, pari al 3% per la generalità delle imprese ed addirittura a “zero” per quelle dei settori alberghiero e termale, quest’ultime evidentemente più danneggiate dalla pandemia.
Di tempo a disposizione per le valutazioni di opportunità ancora ce n’è, anche per le società di capitali considerando la possibilità loro concessa dall’art. 106 del D.L. 18/2020 (c.d. D.L. “Cura Italia”), come modificato dall’art. 3, c. 6, del D.L. 183/2020, di convocare l’assemblea prevista per l’approvazione del bilancio al 31/12/2020 entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio.
Appare utile, allora, ripercorrere la disciplina della rivalutazione dei beni di impresa, partendo da quella prevista per la generalità delle imprese (D.L. 104/2020) e rinviando ad un prossimo intervento l’analisi degli aspetti particolari riguardanti la rivalutazione (apparentemente) “gratuita” dei beni delle imprese operanti nei settori alberghiero e termale (D.L. 23/2020).
Ambito soggettivo
La nuova rivalutazione “generale” ex art. 110 del D.L. 104/2020 – il cui comma 7 rinvia per la relativa applicazione a precedenti leggi di rivalutazione e relativi decreti ministeriali attuativi (su tutte, la L. 342/2020) – può essere eseguita dalle imprese di qualsiasi natura giuridica, che non adottano i principi contabili internazionali IAS/IFRS nella redazione del bilancio.
Possono, pertanto, accedere alla rivalutazione, tra gli altri:
– le società di capitali (S.p.a., S.a.p.a. e S.r.l.);
– le società di persone (S.n.c., S.a.s. e soggetti equiparati);
– le imprese individuali (per i beni appartenenti all’impresa).
Non rileva, a tal fine, il regime contabile adottato, di talché sono ammesse alla rivalutazione anche le imprese in contabilità semplificata le quali, come si dirà in seguito, avrebbero come ulteriore beneficio quello derivante dalla mancata applicazione delle norme riguardanti il saldo attivo di rivalutazione (in particolare, la tassazione del saldo attivo in caso di relativa distribuzione).
In caso di affitto d’azienda o usufrutto d’azienda, come chiarito dall’Agenzia delle entrate (in ultimo, cfr. circ. n. 14/E/2017, § 2), occorre verificare le pattuizioni intercorse tra le parti:
– se non è stata prevista la deroga all’art 2561 c.c. (e, quindi, gli “ammortamenti” sono dedotti dall’affittuario o usufruttuario), la rivalutazione compete all’affittuario o usufruttuario;
– se, invece, è stata prevista la deroga (e, quindi, gli ammortamenti continuano ad essere dedotti dal concedente), la rivalutazione compete al concedente.
Non risulta ostare alla rivalutazione dei beni di impresa lo stato di liquidazione volontaria in cui potrebbe versare una società.
Bilanci di rivalutazione
La rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio dell’esercizio successivo a quello in corso al 31/12/2019. Per i soggetti con esercizi coincidenti con l’anno solare (c.d. soggetti “solari”) la rivalutazione andrà, pertanto, eseguita nel bilancio al 31/12/2020, mentre per i soggetti c.d. “non solari” l’Agenzia delle entrate ha chiarito che la rivalutazione può essere eseguita, in alternativa, in uno dei bilanci di esercizio 2019/2020 oppure 2020/2021 (cfr. risposta ad interpello n. 640/2020).
I beni rivalutabili dovevano risultare dal bilancio dell’esercizio in corso al 31/12/2019. I beni detenuti in leasing possono essere rivalutati dall’utilizzatore solo se è stato esercitato il diritto di riscatto entro l’esercizio in corso al 31/12/2019, considerato che possono essere rivalutati i soli beni in proprietà.
Beni rivalutabili
Possono essere rivalutati i beni materiali (ammortizzabili o non quali, ad esempio, immobili, impianti, macchinari, attrezzature, ecc…) ed immateriali immobilizzati, nonché le partecipazioni in imprese controllate e collegate, anch’esse costituenti immobilizzazioni finanziarie.
Sono esclusi i beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività di impresa (c.d. beni “merce”).
Possono, invece, essere rivalutati anche i beni completamente ammortizzati, purché risultanti dal bilancio ovvero, per i soggetti in contabilità semplificata, dal libro dei cespiti ammortizzabili (cfr. art. 2, c. 2, del D.M. 162/2001).
La legge prevede espressamente che “la rivalutazione può essere effettuata distintamente per ciascun bene” (cfr. art. 110, c. 2, D.L. 104/2020). Di conseguenza, non vi è l’obbligo – previsto invece dai precedenti provvedimenti sulle rivalutazioni ed anche dal D.L. 23/2020 per le imprese dei settori alberghiero e termale – di effettuare la rivalutazione per tutti i beni appartenenti alla medesima categoria omogenea determinata, ad esempio, per gli immobili sulla base della loro tipologia (aree fabbricabili e non, e fabbricati strumentali e non) e per i beni mobili in base all’anno di acquisizione ed al coefficiente di ammortamento. Vengono così meno le penalizzanti conseguente derivanti dall’inosservanza di tale obbligo.
Da ciò ne consegue che:
– l’impresa è libera di rivalutare solo alcuni beni (o anche uno solo) appartenenti alla stessa categoria omogenea;
– con riferimento agli immobili, è ipotizzabile la possibilità di scegliere se rivalutare un fabbricato (ammortizzabile) e/o il terreno sottostante (non ammortizzabile).
Aspetti contabili, criteri e metodi di rivalutazione
Il risultato contabile della rivalutazione consiste nell’iscrizione in bilancio di un maggior valore dell’immobilizzazione che trova, come contropartita, da una parte, una riserva del patrimonio netto da iscrivere nella voce A.III al netto dell’imposta sostitutiva (se si effettua la rivalutazione anche ai fini fiscali) e, dall’altra, il debito per l’imposta sostitutiva.
La riserva deve essere denominata facendo riferimento alla norma che la prevede (es. “Saldo attivo di rivalutazione art. 110 del D.L. 104/2020”).
In forza del richiamo alla L. 342/2000, il limite massimo della rivalutazione non può superare:
– i valori effettivamente attribuibili ai beni con riguardo alla loro consistenza, alla loro capacità produttiva, all’effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa (c.d. valore “interno”);
– i valori correnti (c.d. valore di mercato “esterno”);
potendosi comunque attestare ad un valore inferiore a quello massimo.
A supporto dell’organo amministrativo e di controllo, nell’attestare la regolarità del procedimento di rivalutazione, è consigliabile che i maggiori valori siano determinati sulla base di una perizia di stima, anche se la legge non la pone come obbligo.
Secondo il documento interpretativo OIC 7 del marzo 2021 (§ 17), nel bilancio in cui è eseguita la rivalutazione, gli ammortamenti sono calcolati sui valori non rivalutati, in quanto la rivalutazione è ritenuta un’operazione successiva e pertanto l’ammortamento su tali maggiori valori è effettuato dall’esercizio successivo alla loro iscrizione (per i soggetti c.d. “solari”, quindi, dal 2021).
Come previsto dai principi contabili nazionali, la rivalutazione di un’immobilizzazione materiale non modifica la stimata vita utile del bene, che prescinde dal valore economico del bene (cfr. documento OIC 16, § 77 e documento interpretativo 7, § 16).
La legge prevede i seguenti metodi di rivalutazione:
– rivalutazione del solo costo storico;
– riduzione del fondo di ammortamento;
– rivalutazione del costo storico e del fondo di ammortamento.
L’Agenzia delle entrate ammette anche la possibilità di utilizzare contemporaneamente due tecniche, ad esempio rivalutando in parte il costo storico e riducendo per l’eccedenza il fondo di ammortamento (circ. n. 22/E/2009, § 3).
Nella scelta del metodo da utilizzare per la rivalutazione occorre considerare che la tecnica che prevede l’aumento del costo comporta, a parità di coefficiente di ammortamento, un prolungamento del piano di ammortamento che può essere mantenuto solo applicando coefficienti superiori a quelli fiscali, da giustificare civilisticamente e con la conseguente necessità di recuperare la differenza in sede di dichiarazione.
Il metodo della riduzione del fondo di ammortamento mantiene inalterata la quota di ammortamento, ma determina un allungamento del piano di ammortamento. Potrebbe essere indicato per i soggetti che rientrano nella disciplina delle società c.d. di “comodo” di cui all’art. 30 della L. 724/1994, stante la sostanziale neutralità in termini di calcoli.
Infine, il metodo che prevede l’incremento sia del costo che del fondo consentirebbe di non modificare la residua vita utile del bene, mantenendo il piano di ammortamento originario. In tal caso, appare tuttavia necessario che il costo rivalutato non sia superiore al valore di sostituzione, inteso come costo di acquisto di un bene nuovo della medesima tipologia.
Effetti fiscali
L’art. 110, c. 4, del D.L. 104/2020 prevede che il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione può essere riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP con il versamento di un’imposta sostitutiva del 3% prevista sia per i beni ammortizzabili che per quelli non ammortizzabili, da versare in un massimo di tre rate annuale di pari importo, senza interessi e con possibilità di compensarla con i crediti tributari vantati dall’impresa.
Pagando l’imposta sostitutiva, i maggiori valori iscritti sono riconosciuti fiscalmente (in termini di ammortamento, plafond delle spese di manutenzione, valori dei beni ai fini della disciplina delle società c.d. di “comodo”) a decorrere dall’esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita, vale a dire per i soggetti c.d. “solari” dal 2021.
Per quanto riguarda, invece, la determinazione delle plusvalenze e delle minusvalenze (in caso di cessione, assegnazione ai soci, destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa o autoconsumo), i maggiori valori iscritti sono riconosciuti a decorrere dal quarto esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione viene eseguita e, dunque, per i soggetti c.d. “solari” a partire dal 2024 (cfr. art. 110, c. 5, del D.L. 104/2020).
Il realizzo del bene rivalutato nel corso del periodo triennale di “sospensione” 2021/2023 comporta il venir meno degli effetti fiscali della rivalutazione con la conseguenza che, da una parte, le plusvalenze e le minusvalenze dei beni saranno determinate senza tener conto del maggior valore iscritto in sede di rivalutazione e, dall’altra, sarà riconosciuto all’impresa un credito d’imposta pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva pagata e riferibile alla rivalutazione dei beni ceduti. Inoltre, l’imposta sostitutiva del 3% va portata ad incremento del saldo attivo di rivalutazione nella misura corrispondente al maggior valore attribuito ai beni ceduti e, contestualmente, viene “liberata” la parte della riserva di rivalutazione riferibile ai suddetti beni.
Saldo attivo di rivalutazione
Come già detto, la rivalutazione ha come effetto contabile l’iscrizione nel patrimonio netto di una riserva di rivalutazione che può essere imputata al capitale sociale, distribuita ai soci o utilizzata a copertura delle perdite.
Nella scelta della rivalutazione è fondamentale tener conto del regime fiscale del saldo attivo di rivalutazione. Esso dipende dal tipo di rivalutazione eseguita e, in particolare:
– se la rivalutazione ha effetto anche ai fini fiscali, il saldo attivo ha natura di riserva in sospensione d’imposta;
– se la rivalutazione è solo civilistica, il saldo attivo rappresenta una ordinaria riserva di utili, la cui distribuzione non viene tassata in capo alla società.
Nella prima ipotesi (rivalutazione anche fiscale), in caso di distribuzione, le somme attribuite ai soci, aumentate dell’imposta sostitutiva corrispondente all’ammontare distribuito, concorrono alla formazione del reddito imponibile della società (attribuito per trasparenza ai soci, se la società è una società di persone in contabilità ordinaria) ed alla società è attribuito un credito d’imposta pari all’imposta sostitutiva versata.
Nella seconda ipotesi (rivalutazione civilistica), invece, la distribuzione non genera oneri in capo alla società.
Con riferimento ai soggetti in contabilità semplificata, invece, va evidenziato che in assenza del bilancio non opera la predetta tassazione del saldo attivo di rivalutazione in caso di distribuzione (tra le altre, cfr. circ. Agenzia delle entrate n. 14/E/2017 e n. 13/E/2014).
Per quanto riguarda, invece, gli effetti della distribuzione della riserva in capo ai soci occorre distinguere:
– i soci di società di capitali, in capo ai quali il saldo attivo ricevuto genera in ogni caso un reddito di capitale tassato come dividendo anche se la rivalutazione è stata effettuata ai soli fini civilistici (circ. Agenzia delle entrate n. 22/E/2009, § 5);
– i soci di società di persone per i quali, invece, il reddito imponibile che si genera in capo alla società per effetto della distribuzione del saldo derivante dalla rivalutazione fiscale è a loro imputato per trasparenza.
Non determina, in ogni caso, il presupposto d’imposta l’utilizzo della riserva per la copertura delle perdite; in tal caso non si possono distribuire utili fino a quando la riserva non è reintegrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria (art. 13, c. 2, della L. 342/2000).
Affrancamento del saldo attivo
L’art. 110, c. 3, del D.L. 104/2020 prevede la possibilità di affrancare, in tutto o in parte, il saldo attivo della rivalutazione mediante un’imposta sostituiva delle imposte sui redditi, dell’IRAP e di eventuali addizionali nella misura del 10%, da versare con le stesse modalità sopra indicate per l’imposta sostitutiva del 3% (tre rate annuali di pari importo).
Circa la base imponibile su cui applicare l’imposta sostitutiva del 10% è il caso di evidenziare un difforme orientamento interpretativo tra l’Agenzia delle entrare, secondo cui l’imposta va applicata sull’ammontare della rivalutazione al lordo dell’imposta sostitutiva del 3% (cfr. circ. n. 14/E/2017, § 8) ed i Giudici di legittimità, secondo cui l’imposta va applicata sul netto (cfr. Cass. 22/9/2020, n. 19772).
L’affrancamento comporta il venir meno dello stato in sospensione d’imposta della riserva, con l’effetto, in pratica, che la relativa distribuzione non è più tassata in capo alla società. In tal caso, mentre il socio di società di capitali è comunque tenuto a tassare le somme ricevute come dividendo, in capo al socio di società di persone non si produce alcun effetto reddituale. Il beneficio, quindi, è molto considerevole soprattutto in quest’ultimo caso, in quanto i soci possono beneficiare di un risparmio d’imposta anche di oltre i 30 punti percentuali rispetto a quanto essi scontano sugli utili ordinari.
Considerazioni finali di convenienza
In conclusione, l’analisi dei vantaggi e svantaggi della rivalutazione va effettuata caso per caso, non essendoci una soluzione valida per tutte le imprese.
Premesso il carattere facoltativo e non obbligatorio della rivalutazione in oggetto (l’art. 110, c. 1, del D.L. 104/2020 dispone che “I soggetti (…) possono (…) rivalutare i beni d’impresa”), è fondamentale verificare, innanzitutto, se sia effettivamente possibile procedere con la stessa. Il problema, in particolare, si potrebbe porre per le imprese in perdita, le quali potrebbero avere più difficoltà, in futuro, a recuperare, attraverso la redditività derivante dall’uso dei beni rivalutati, i maggiori ammortamenti derivanti dalla rivalutazione.
Fatta tale preliminare verifica, occorre poi effettuare delle previsioni circa l’esistenza di redditi imponibili futuri, eventualmente derivanti anche dalla cessione dei beni rivalutabili, e la probabilità di distribuire ai soci il saldo attivo di rivalutazione che ne consegue.
Volendo tracciare una mini guida operativa, presupponendo l’esistenza delle condizioni per eseguire la rivalutazione dei beni, sono ipotizzabili le seguenti quattro scelte:
1) rivalutazione valida solo ai fini civilistici, senza pagamento di alcuna imposta sostitutiva: potrebbe essere un’opzione per quelle imprese che hanno solo l’interesse di aumentare il valore del proprio patrimonio netto contabile (per esempio, per migliorare il proprio rating nei confronti del sistema bancario oppure per disporre di un’ulteriore riserva utilizzabile in futuro per la copertura di eventuali perdite di esercizio, pur con l’obbligo della ricostituzione) e non anche quello di vedersi riconosciuti i maggiori valori iscritti ai fini fiscali. Per contro, a fronte del disallineamento tra i valori contabili e fiscali, in tal caso occorre, da una parte, stanziare le relative imposte differite (come prevedono i principi contabili) che ridurrebbero il valore dell’incremento patrimoniale e, dall’altra, compilare l’apposito quadro della dichiarazione dei redditi (quadro RV), con un aggravio amministrativo/contabile da mettere in conto;
2) rivalutazione con effetti sia civilistici che fiscali ma senza affrancamento del saldo attivo di rivalutazione: potrebbe essere l’opzione giusta per le imprese che hanno una ragionevole probabilità di avere in futuro redditi imponibili o di effettuare cessioni di beni immobilizzati fortemente plusvalenti (come nel caso di un immobile già detenuto in leasing ed iscritto in bilancio al prezzo di riscatto, notoriamente inferiore al valore di mercato) e che non hanno in previsione la distribuzione della riserva in sospensione di imposta. L’imposta sostitutiva prevista nella misura del 3% è nettamente inferiore a quella stabilita dai precedenti provvedimenti sulla rivalutazione, in ultimo dalla L. 160/2019 i cui termini sono stati estesi dal D.L. n. 23/2020 fino ai bilanci al 31/12/2022 (12% per i beni ammortizzabili e del 10% per quelli non ammortizzabili); vanno valutati i riflessi sui calcoli previsti ai fini della disciplina delle società c.d. di “comodo”;
3) rivalutazione con effetti sia civilistici che fiscali, con affrancamento del saldo attivo di rivalutazione: all’imposta sostitutiva del 3% prevista per il riconoscimento fiscale della rivalutazione si aggiunge quella del 10% prevista per l’affrancamento della riserva. Questa è la soluzione preferibile per quelle imprese che prevedono di avere in futuro redditi imponibili, nonché di distribuire, presto o tardi, la riserva di rivalutazione. Tale soluzione presenta un particolare appeal per le società di persone che con il costo del 13% potrebbero evitare in futuro un prelievo che in alcuni casi potrebbe arrivare al 50% tra IRPEF, addizionali, IRAP ed eventuali contributi previdenziali. Il massimo della convenienza è prevista poi per le imprese in contabilità semplificata per le quali, non generandosi alcuna iscrizione di una riserva di rivalutazione, il pagamento del 3% chiude la partita.
4) Rinuncia alla rivalutazione: potrebbe essere questa l’opzione per le imprese ben patrimonializzate e con previsioni incerte (o impossibili da fare) circa la presenza di redditi imponibili futuri, oppure che hann0 precedenti perdite fiscali da computare in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi.
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