di redazione CF
“Deve essere, sarà un professionista di alto livello, competente”. Questo il leit motiv che risuona a più voci nei piani alti della regione, sia nei corridoi della politica che in quelli della sanità quale conditio sine qua non per il nuovo direttore di Area vasta 4. E ci mancherebbe altro, verrebbe subito da pensare. Ma a voler dissezionare il lapidario requisito s’intravede una scelta da ammantare di tecnicismo e oggettività (che a questo punto non richiederebbero nemmeno una valutazione soggettiva, umana, che farebbe leva su freddi ma incontrovertibili criteri curriculari) quando invece, come l’iter prevede, sarà una decisione politica. Sì, dopo le candidature e la valutazione amministrative dell’Asur, la rosa di nomi, infatti arriverà sul tavolo della Giunta regionale. E sarà proprio questa a individuare il nuovo capo della sanità fermana dopo le dimissioni, certo non pacifiche, di Licio Livini e la ridda di reazioni che quella scelta dell’ex direttore ha scatenato.
E sì, c’è anche chi, proprio dal mondo della politica, è irremovibile sul fatto che la decisione non sarà, o quantomeno non dovrà essere politica. Strane dinamiche. Quale sarebbe la scelta ‘non politica’ dal momento che l’ultima parola spetta all’amministrazione regionale? Fermo restando che proprio la politica ha tutto il diritto di decidere, un diritto sancito anche da una procedura amministrativa ben precisa, è forse opportuno ricordare che il rovescio della medaglia è il dovere. Un dovere di consegnare a un territorio martoriato una figura di alto livello professionale, e di questo abbiamo già detto, ma anche di assumersi le responsabilità proprio di quella scelta. Per la serie, gli eventuali successi o fallimenti della nuova gestione dell’Area vasta 4 andranno attribuiti & addebitati al nuovo direttore o a chi lo ha scelto? Una formula che, per carità, vale da sempre. Destra o sinistra al potere fa lo stesso. E’ dunque questo il sistema più virtuoso per scegliere i ‘capitani’ sanitari? E’ giusto che la politica incida in maniera così determinante nelle dinamiche sanitarie? Bene. Ma allora non ci si venga a dire che la scelta non è politica, non umana, soggettiva, seppur, giusto ribadirlo, in linea con i dettami normativi. Sic.
Certo è che a seguire solo il criterio della competenza, per quanto essenziale, il rischio di confliggere con i desiderata, sacrosanti, dei territori è alto. Eh sì perché il nostro territorio, questa volta come non mai, oltre che di un professionista competente ha bisogno di un direttore che senta davvero scorrere nelle proprie vene la causa fermana, a prescindere, risparmiandoci un eccesso di forse stucchevole e anacronistico campanilismo, dal suo natìo borgo. C’era Licio Livini. Un uomo del territorio, con numerosi attestati di stima e riconoscimenti ufficiali, uno che ci ha sempre messo la faccia, certo un uomo che non ha mai nascosto la sua ‘empatia’ per il Pd. Non un attivista politico da prima linea, vero, ma nemmeno uno che ha negato come le sue idee fossero vicine e coincidenti a quelle dei dem. Verrebbe da pensare: se sei così a sinistra non puoi certo pretendere di essere nelle grazie della destra. Ci mancherebbe altro. A sentirlo parlare è stato praticamente ‘spinto’ alle dimissioni. Da chi? Dalla politica? Da quella politica che poi a distanza di poche ore si è frettolosamente spesa per tesserne le lodi? Da destra come da sinistra, anche stavolta. Qualcosa non torna.
Ma torniamo al territorio, con i sindaci del Fermano rimasti nella penombra perché, a citare quello di Fermo, Calcinaro, in conferenza dei sindaci non è emersa una posizione unanime. Ammissibile? Ma ora forse è il momento di far sentire la propria voce. Non per un direttore, per un comprensorio. Che magari a guardare le dinamiche ribaltando il punto di vista, si possono scorgere sfumature che sfumature, in realtà, non sono. Magari proprio così si riuscirebbe a comprendere appieno i problemi di un territorio, come espresso dal direttore Asur, Nadia Storti, e a dare anche delle risposte nel concreto e nell’immediato. E a questo punto la domanda è lecita: dove si vuole condurre la sanità fermana? A un reale potenziamento, a un limbo geografico interprovinciale, dove certezze come un robot chirurgico al Murri dall’oggi al domani vengono ammantate da interrogativi sulla reale destinazione? Con cosa riempiamo il nuovo nosocomio fermano? Entro quando? In quello ‘vecchio’ che ci lasciamo? Il ‘cugino’ della montagna, l’ospedale dei Sibillini? Dicasi lo stesso? Le strutture periferiche verranno potenziate? Come e quando? Scorte di antiacidi e tranquillanti ne abbiamo a sufficienza per primari e personale da troppo tempo sul ‘chi va là’, e ne ce ne sono vista la fibrillazione tra i corridoi del Murri? E attenzione a eventuali ‘addii’ di qualche dirigente medico che non ha mai smesso di operare, che vuole lavorare, sì, ma con quella dignità imprescindibile in una sanità che vuole essere d’eccellenza ‘a tutto tondo’, come quella del Murri che chiede strumenti e risorse per concretizzare le sue doti professionali. Chi arriverà a raccogliere il testimone di Livini di sicuro avrà da subito un bel po’ di lavoro, a partire dalla gestione Covid e vaccinazioni. Ma, ad essere salomonici, anche un bel tesoretto. C’è da riconoscere, infatti, che il Fermano, tra Case della Salute, ospedali di comunità, potenziamento delle cure domiciliari, riconversione delle strutture ospedaliere periferiche, e due ospedali di comunità work in progress, ha anticipato quello che viene chiesto nel Recovery Plan. Diciamocelo, tra mille difetti, su qualcosa il Fermano ha precorso i tempi, in epoche buie, tra terremoto e Covid, allineandosi a quanto disposto dalla Regione tra il 2013 e il 2015, rispetto a ben più timide manovre in territori che però, a mò di Figliol prodigo, sembrano oggi paradossalmente godere di maggiori simpatie. Insomma nel Fermano la riforma sanitaria, dai contenuti seppur opinabili, è già bell’e pronta. E mettiamoci anche il potenziamento della rete emergenziale con la Potes di Sant’Elpidio a Mare,i percorsi avviati sull’emodinamica, sulla cardiologia interventistica e sulla chirurgia robotica (incrociando le dita per l’arrivo dell’ormai celeberrimo robot), i lavori di adeguamento antisismico al Murri, quelli per 15 posti di Terapia intensiva e 10 di Semi-Intensiva, quelli a Cardiologia per l’emodinamica. Nella squadra del nuovo direttore giocheranno 23 primari sanitari e 4 amministrativi, con indiscutibili punte di diamante, mediani, fantasisti e qualche bel difensore. Certo servirà un ‘capitano’ muro invalicabile a difesa del Fermano e, perché no, anche in grado di qualche sortita offensiva. Siamo realisti, non è tempo di voli pindarici: primo obiettivo, non prendere goal, poi magari farne anche. Altrimenti il rischio che corre l’Area vasta4, e con essa il Fermano, non è di restare ‘Cenerentola’, per dirla alla Calcinaro&Loira, ma di tramutarsi addirittura in una squadra ‘cuscinetto’ a casa della quale venire a incassare con estrema facilità i tre punti e tornare nella propria provincia dopo una passeggiata ‘di salute’. Ogni riferimento al Murri tramutato in Covid e no-Covid nell’unica provincia con un solo nosocomio, è quasi pleonastico. E non c’è robot che tenga.
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