di Andrea Braconi
Quasi 100 giorni. Tanto è durata la degenza del 62enne A.D. all’interno del reparto di Malattie Infettive prima e della Rianimazione poi. Originario di Montegranaro, l’uomo era stato ricoverato in una mattinata di inizio aprile, seguito poche ore dopo dalla moglie.
“Prima del ricovero stava a casa, si sentiva affaticato nel respiro – ricorda la donna -. E questo ci ha fatto pensare al peggio”. Anche i figli, di 29 e 26 anni, avevano contratto la malattia ma in forma molto lieve.
“Marito e moglie sono stati prima ricoverati a Malattie Infettive – spiega la dottoressa Luisanna Cola, affiancata dal collega Giorgio Amadio -. Poi lui ha avuto le sue complicanze ed è venuto da noi, rimanendo ventilato per tre mesi e scannulato pochi giorni fa. Oggi ha ancora l’ossigeno, perché purtroppo questa malattia causa delle cicatrici nei polmoni ed il recupero è lungo. Nella struttura che lo ospiterà inizierà la fisioterapia, anche perché la malattia coinvolge tutto l’organismo”.
“Mio marito ne ha passate parecchie – rimarca la moglie, il cui ricovero era durato ‘soltanto’ 20 giorni – e per questo voglio dire grazie a tutto il personale dei due reparti: sono stati degli angeli, bisogna credere un po’ di più a queste persone. Si facevano sentire tutti i giorni, poi quando è stato possibile ci hanno permesso di vederlo e questo ci ha aiutato tanto”.
Perché la vicinanza, quando possibile, è parte integrante della cura. “Parliamo di una malattia che coinvolge molto il sistema nervoso – prosegue Cola – dal punto di vista dell’umore e del contenimento delle emozioni i pazienti hanno bisogno di sedativi, per cui la presenza di un familiare va gestita bene”.
Mai perdere la speranza: con queste parole la signora ha omaggiato la dottoressa Cola con un mazzo di fiori e il dottor Amadio con un lungo abbraccio, da condividere con tutto quel personale che ha avuto modo di conoscere in questi mesi difficili e che ha saputo fare la differenza.
Una scena che si incrocia con il saluto del marito, mentre viene fatto entrare nell’ambulanza che lo accompagnerà a Campofilone. E i suoi occhi, provati ma pregni di vita, insieme a quelli dei figli, che gli stringono la mano, restano la pagina più profonda e toccante di una storia che il Murri, ancora una volta, ha saputo scrivere.
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