di Alessandro Felicioni
L’iva di rivalsa nei concordati preventivi e nei fallimenti diventa super prededucibile. Nessuno stravolgimento del codice civile o della legge fallimentare, solo la conseguenza pratica delle modifiche normative apportate all’articolo 26 del dpr 633/72 ad opera dell’articolo 18 del D.L. 73 del 25 maggio 2021 (Decreto Sostegni bis).
Non sarà infatti più necessario attendere le proverbiali Calende Greche, ossia la chiusura del fallimento o del Concordato preventivo, per portare in detrazione l’iva relativa a crediti non incassati né incassabili. Basterà l’apertura della procedura per poter recuperare quanto versato in assenza di pagamento da parte del cessionario o committente.
La circolare n. 20/E del 29 dicembre 2021 chiarisce i principali aspetti legati all’importante presa di coscienza dell’Amministrazione Finanziaria.
Come si ricorderà, per l’annoso problema delle note di credito iva nelle procedure concorsuali era già stato fatto un tentativo di semplificazione e snellimento con la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 28 dicembre 2015), sostanzialmente analoga alle modifiche ora introdotte. All’epoca, però, la disposizione restò lettera morta, finendo per essere abrogata ancor prima di entrare in vigore. C’è voluta la spinta dell’Unione Europea a convincere il legislatore nazionale a rimettere mano alla questione e a partorire, definitivamente, un sistema di recupero dell’iva versata ma non incassata più logico e ispirato a principi di buon senso oltre che di civiltà tributaria.
Dunque per le procedure concorsuali aperte successivamente alla data spartiacque del 26 maggio 2021, è possibile portare immediatamente in detrazione l’iva relativa a fatture emesse ma non incassate nei confronti dei soggetti sottoposti a fallimento (o liquidazione coatta amministrativa), o che hanno attivato procedure minori quali concordato preventivo, accordi di ristrutturazione del debito, piani di risanamento attestati.
Il momento a partire dal quale è possibile emettere la nota di variazione è puntualmente individuato nella data della sentenza di fallimento, del provvedimento di apertura del concordato preventivo, dell’omologazione degli accordi di ristrutturazione o della pubblicazione nel registro delle imprese del piano di risanamento attestato.
La nota di variazione può essere emessa, dopo l’apertura della procedura, entro il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativa al periodo di imposta in cui si configura il diritto all’emissione stessa, ossia l’apertura della procedura concorsuale. Il conseguente diritto alla detrazione matura dalla liquidazione periodica iva relativa al mese o al trimestre in cui la nota viene emessa o, al più tardi, in sede di dichiarazione annuale relativa al periodo in cui la nota stessa è stata emessa.
Il documento di prassi affronta anche alcune questioni operative interessanti e da tenere in debito conto, al fine di fruire correttamente della possibilità concessa.
Innanzitutto viene chiarito che la variazione in diminuzione non è più subordinata alla formale partecipazione del creditore al concorso; non è più necessario, in sostanza, che il creditore sia ammesso allo stato passivo del fallimento. Anche qui la semplificazione trova spazio su suggerimento della giurisprudenza comunitaria secondo la quale ciò che conta per la detrazione è il fatto che il creditore possa dimostrare, con qualsiasi mezzo, che il corrispettivo e quindi l’iva a debito liquidata, non sono stati incassati. Peraltro, se il momento dell’emissione della nota è anticipato all’apertura della procedura, evidentemente il momento di cristallizzazione del passivo, formalizzato dall’esecutività dello stato passivo, passa in secondo piano.
Importanti chiarimenti anche per gli adempimenti a carico del cessionario committente, ossia chi riceve la nota di variazione in diminuzione da parte del creditore. Nel ribadire l’obbligo di registrazione della variazione da parte del cessionario / committente, ora l’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 26 del dpr 633/72, espressamente esclude da tale adempimento le procedure concorsuali. Nel caso di fallimento tale precisazione non fa altro che recepire la prassi attuale secondo cui il curatore non annota le variazioni in diminuzione pervenute e, tanto meno, non procede al versamento della maggiore iva derivante dalle stesse.
La circolare chiarisce però che tale obbligo permane nel caso di accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.f. e, a maggior ragione, nel caso di piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lettera d) l.f.. Ciò perché, si legge, tali istituti non sono considerati, a tutti gli effetti, procedure concorsuali e quindi in caso di ricezione della nota di variazione da parte di un creditore, la società debitrice è obbligata alla registrazione della nota di variazione e al versamento della corrispondente imposta.
La circolare nulla specifica per l’ipotesi di concordato preventivo ma, dalla lettura della disposizione del comma 5 dell’articolo 26 e dalla portata della deroga di cui sopra (accordi di ristrutturazione e piani attestati) è lecito concludere che, anche in caso di concordato la nota di variazione non produca effetti in capo alla società debitrice, né in termini di registrazione né in termini di versamento.
Se spostiamo la prospettiva dal lato del debitore che approccia ad una procedura concorsuale, le implicazioni derivanti da tale impostazione non sono di poco conto. Nei piani di ristrutturazione predisposti, infatti, è ben possibile che venga proposta una falcidia per i fornitori di beni e servizi. Tale situazione è invece più rara nei piani di risanamento. In ogni modo, se l’accordo prevede una soddisfazione non integrale dei fornitori di beni e servizi, il piano di ristrutturazione tiene conto del fabbisogno derivante dallo stralcio pattuito con il creditore. Laddove però, come indicato dalla circolare, sulla parte stralciata del proprio credito il fornitore può emettere nota di variazione iva in diminuzione ed il debitore è obbligato a registrarla e a versare l’iva esposta, allora il piano dovrà tenere conto anche di questo ulteriore aggravio. Ciò comporterà la necessità di analizzare il credito complessivo del fornitore, distinguendo la parte imponibile dall’iva di rivalsa, versata ma non riscossa dal creditore. Un po’ come avviene nei concordati allorché si debba procedere alla falcidia della stessa iva di rivalsa a norma dell’articolo 160, comma 2 l.f.. Se, ad esempio, il piano di ristrutturazione prevede un pagamento dei fornitori al 60%, lo stesso piano dovrà appostare una somma pari all’iva relativa alla parte stralciata del credito (40%), che sarà oggetto di nota di variazione in diminuzione da parte del creditore stesso ed obbligherà il debitore al versamento della stessa.
Il fatto di consentire l’emissione della nota di variazione fin dall’apertura della procedura porta con sé la necessità di disciplinare le ipotesi di eventuale successivo pagamento del credito da parte degli organi della procedura concorsuale. In tali casi il creditore dovrà emettere una nota di variazione in aumento, per la componente iva dell’importo ricevuto mentre gli organi della procedura potranno registrare la variazione in diminuzione e portare in detrazione l’imposta solo nell’ipotesi in cui, a suo tempo, avevano registrato e versato l’originaria nota di variazione in diminuzione emessa dal creditore stesso.
Particolare attenzione va posta alle ipotesi in cui la nota di credito non sia stata emessa nei termini previsti, ossia nel periodo che va dall’apertura della procedura al termine per la presentazione della dichiarazione iva relativa al periodo di imposta in cui si apre il concorso.
I rimedi spesso utilizzati per ovviare alla mancata emissione della nota di variazione per tempo, sono la dichiarazione integrativa a favore o l’istanza di rimborso ai sensi dell’articolo 30-ter del dpr 633/72 (due anni dalla data di versamento dell’imposta non dovuta). Rimedi inesorabilmente bocciati dall’Agenzia delle Entrate. Intanto l’integrativa a favore non è presentabile giacché non vi è alcun errore nella dichiarazione originaria che non accoglie la nota di variazione a suo tempo dimenticata, tanto più che si tratta di una facoltà del cedente / prestatore. Inoltre gli effetti della dichiarazione integrativa sono diversi dalla tempestiva emissione della nota di variazione in termini di mantenimento del principio di neutralità dell’iva.
Con la nota di variazione, infatti, l’iva detratta da chi emette la nota è versata da chi la riceve (salvo le deroghe previste in termini di procedure concorsuali); nel caso di dichiarazione integrativa la detrazione del cedente non riverbera alcun obbligo nei confronti del cessionario committente.
Anche l’istanza di rimborso trova poco spazio per l’Agenzia delle Entrate. Si tratta di un rimedio residuale che può essere attivato solo allorché la nota di variazione non sia stata emessa per tempo a causa di motivi non imputabili al contribuente; se la decadenza del termine non è invece supportata da motivazioni valide ed è invece dovuta a semplice inerzia dell’avente titolo, l’istanza di rimborso non potrà essere presentata.
Un’ultima questione che andrebbe approfondita attiene al necessario coordinamento, nell’ambito di un concordato preventivo, tra la possibilità di emettere nota di variazione fin dall’apertura della procedura e il trattamento ex ante riservato all’iva di rivalsa, ossia alla componente iva del credito di fornitori di beni e servizi che hanno emesso fatture non incassate. Come noto, infatti, l’iva di rivalsa gode del privilegio speciale (grado settimo) sui beni che hanno costituito oggetto della fornitura o ai quali era destinato il servizio prestato. Nei concordati vale il principio per il quale, in assenza di espressa previsione, supportata dalla relazione giurata di cui all’articolo 160, comma secondo l.f., tale credito è automaticamente supportato dal privilegio di legge e come tale deve essere soddisfatto. Ora è chiaro che la previsione di soddisfazione integrale di tale credito di rivalsa nell’ambito del piano concordatario confligge con la possibilità di emettere la nota di variazione iva fin dall’apertura della procedura giacché si finirebbe per duplicare il rimborso al creditore: dapprima con la possibilità di portare in detrazione la nota di variazione e successivamente con la soddisfazione integrale dell’importo prevista dal piano. Evidentemente, nel momento in cui il creditore riceve dalla procedura l’iva di rivalsa dovrà emettere la nota di variazione in aumento, per sterilizzare l’originaria nota di credito. Meglio sarebbe, per semplificare il tutto, mantenere la possibilità di emettere la variazione fin da subito ed escludere, nel contempo, il trattamento privilegiato, nell’ambito della procedura, dell’iva di rivalsa.
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