Le imprese a titolarità femminile nelle Marche rappresentano il 23,1% del totale delle imprese senza distinzione di genere: 38.291 su 165.433, un punto percentuale in più rispetto alla media Italia. La concentrazione più alta è a Fermo. Si tratta soprattutto di imprese individuali del settore servizi, sanità e assistenza sociale. Niente di nuovo sotto al sole, anche se il mondo sta cambiando, eccome.
«Sembra di essere tornate a due anni fa» spiega Doriana Marini consigliera di Camera Marche e imprenditrice della Moda. «Abbiamo progetti, e benché non creda alla distinzione di genere, dico che nel nostro settore il potenziale del contributo femminile è alto ma siamo di nuovo di fronte a un’incognita. Avremo un primo riscontro del peso anche economico di quel che sta accadendo tra Russia e Ucraina al Micam, alla fine di questa settimana“. In Ucraina ora le donne, oltre ad essere precettate nell’assistenza sanitaria, si occupano anche di intrecciare reti mimetiche, anche per ingannare utilmente il tempo “questo mi fa pensare” prosegue Marini ” alla carenza di manodopera nella nostra realtà , a quanto sarebbe preziosa la presenza, ad esempio, di ricamatrici. Ecco, il mio appello è alle donne, anche quelle fuggite dalla guerra, che volessero essere impiegate da noi: la porta è aperta, per lavorare e per formarsi».
In Consiglio camerale siede anche Natascia Troli , si occupa di servizi alle imprese soprattutto nelle costruzioni, l’ultimo settore per incidenza di imprenditrici, nelle Marche: solo 1.232 le imprese femminili su 21.806 “E dire” commenta Troli «che proprio nel mondo prevalentemente maschile dell’edilizia sarebbe di grande aiuto la meticolosità ed il perfezionismo tipico delle donne. Molte di noi hanno saputo inventarsi un lavoro creando attività imprenditoriali e mettendosi in gioco. Un gioco spesso molto impegnativo, perché anche se imprenditrici siamo in primis figlie, mamme e mogli; donne normali che si sono scoperte speciali che hanno capito di avere un talento e di sentirsi bene nell’esprimerlo. io mi occupo di servizi alle imprese soprattutto».
L’agricoltura (con un’incidenza realtà guidate da donne di quasi il 28% sul totale) sembrerebbe habitat più adatto alle imprenditrici. Riflette Francesca Gironi, anche lei consigliera di Camera Marche, imprenditrice agricola «quanto meno se hai un agriturismo conciliare tempi di vita e di lavoro è un po’ più semplice, immaginare di portarti i figli in un agrinido. Nelle Marche e in Italia siamo lontanissimi dalla una parità sostanziale di salario e riconoscimento di ruolo e valore. Il Welfare ha lacune enormi, quando mi confronto con le colleghe di Bruxelles vedo che ci divide un divario molto grande».
Gap che si allarga quando si considera l’aspetto della presenza di donne non solo titolari ma ai vertici di impresa con altri incarichi. L’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere-InfoCamere mostra in Italia tra dicembre 2019 e dicembre 2021 una crescita di 8.602 posizioni (+0,88%) di donne con ruoli apicali dentro le imprese . Questo è avvenuto mentre contestualmente il numero delle donne che ricoprono cariche nel mondo imprenditoriale si è andato riducendo dello 0,46%, perdendo quasi 12mila posizioni tra dicembre 2019 e dicembre 2021, in virtù di un calo consistente soprattutto tra le socie (circa 19mila in meno) e le titolari di imprese individuali (-7mila). Segno quest’ultimo delle difficoltà che stanno attraversando soprattutto le imprese minori. E nelle Marche? il numero delle donne che ricoprono cariche è diminuito del 1,9%. Anche le imprese a titolarità femminile marchigiane, rispetto al periodo pre pandemia, sono diminuite di 1,4 punti percentuali (a dicembre 2021 erano 38.297 contro le 38.825 del dicembre 2019).
E’ comunque fiduciosa Federica Capriotti, neo consigliera che in Camera Marche rappresenta il settore dell’Industria che ha un incidenza di imprese femminili del 21,5%. «I dati relativi all’industria mostrano una percentuale di aziende femminili sul nostro territorio in linea con la media: questo è particolarmente incoraggiante, considerando la prevalenza in provincia di Ancona di aziende appartenenti al settore meccanico, storicamente appannaggio del mondo maschile. Altro discorso per i ruoli manageriali: in Italia e nelle Marche il numero delle donne che accedono a posizioni di vertice o di rilevante responsabilità manageriale sia ancora nettamente inferiore rispetto a molti altri Paesi; rimango però convinta sono convinta che le differenze di genere costituiscano una risorsa e vadano riconosciute e correttamente utilizzate per lo sviluppo delle imprese. Da diverse fonti arriva il messaggio che le aziende con governance mista sono più competitive e reagiscono meglio nei contesti di crisi: la strada per la parità di genere è ancora lunga, ma i primi passi si stanno muovendo nella giusta direzione».
Anche nel Commercio la presenza di imprese a titolarità femminile è allineata a quella media italiana e regionale, con una incidenza del quasi 24%; il comparto è rappresentato nel Consiglio di Camera Marche anche da Teresa Biancucci «L’impresa, la famiglia, la pandemia, la guerra….Un periodo più complicato credo sarebbe stato difficile da immaginare così fino a poco tempo fa. Per quanto mi riguarda vedo che le donne sono sempre in prima linea. Le attività commerciali, molte delle quali gestite appunto da donne, sono in un momento di grande crisi economica ma continuano comunque a mantener fede a tutti gli impegni aggiungendone anzi di nuovi. Il grande impegno per la solidarietà nei confronti dei profughi ucraini ne è una dimostrazione. In questi giorni difficili credo che dobbiamo concentrarci sul serio a coltivare il valore della pace e della solidarietà».
Infine Daniela Barbaresi, che nel Consiglio camerale porta le istanze delle organizzazioni sindacali, mette il segno su diseguaglianze salariali, part time e presenza delle donne in comparti dove il lavoro è meno pagato: “Nel 2020 9.00 donne hanno perso il lavoro, 26.000 lo cercano senza trovarlo o vedendosi offerti solo lavori precari: «Nelle Marche solo una lavoratrice su tre può contare su un lavoro a tempo pieno e indeterminato e una retribuzione stabile e dignitosa, mentre gli uomini con un lavoro stabile e a tempo pieno sono i due terzi dei lavoratori. Sempre nel 2020 quasi 800 donne a tre anni dalla nascita di un figlio hanno rassegnate dimissioni: sono numeri che devono far ragionare e portare a soluzioni immediate. La qualità del lavoro va valorizzata. Prendiamo il calzaturiero, settore prezioso e in crisi: il saper fare delle artigiane, alla base dei prodotti di qualità, va riconosciuto e adeguatamente remunerato».
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