facebook twitter rss

Sanità: il “servizio” si è fatto “sistema” e il cittadino rischia di pagarne le conseguenze

FERMANO - Da anni ormai si discute della qualità dei servizi sanitari del Fermano, della scomparsa di presidi territoriali, delle liste di attesa, ecc... Insomma, della gestione in generale. Lo si fa consapevoli che nel contesto della sanità marchigiana il Fermano è stato presto sacrificato a logiche di risparmio e di ridimensionamento che, invece, non hanno riguardato altri territori regionali. Solo risparmio? O hanno prevalso invece altre logiche? E di chi la responsabilità? Su quest’ultimo aspetto si è scatenato da mesi una sorta di braccio di ferro, tra chi punta il dito contro l’attuale amministrazione regionale e chi ricorda i 25 lunghi anni di gestione del centrosinistra. Quando si parla di salute non dovrebbero esserci cittadini di serie A e cittadini di serie B

di Daniele Iacopini

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Recita così la prima parte dell’art. 32 della Costituzione. Su queste basi, nasceva il 23 dicembre del 1978 il Servizio Sanitario Nazionale e venivano create le Unità Sanitarie Locali (Usl): la legge, la 833, fu varata dal governo Andreotti e fu il successo storico del primo Ministro della Salute donna, Tina Anselmi. I principi fondanti erano i seguenti: universalità, uguaglianza, gratuità, globalità dei servizi offerti, solidarietà, controllo pubblico.
Qualcuno, a distanza di oltre 40 anni, può dire con assoluta tranquillità che questi principi sono ancora rispettati? Eccezion fatta per l’abnegazione di molti medici e infermieri e per l’alta professionalità di numerosi operatori sanitari in prima linea, quel che è venuto meno è il tessuto ideale che sottintendeva quella riforma e una gestione della sanità pubblica sempre più politicamente orientata, spesso raffazzonata, vittima di interessi che poco hanno a che fare con l’obiettivo ultimo di tutto il “sistema”: la salute del cittadino.

Da anni ormai si discute della qualità dei servizi sanitari del Fermano, della scomparsa di presidi territoriali, delle liste di attesa, ecc… Insomma, della gestione in generale. Lo si fa consapevoli che nel contesto della sanità marchigiana il Fermano è stato presto sacrificato a logiche di risparmio e di ridimensionamento che, invece, non hanno riguardato altri territori regionali. Solo risparmio? O hanno prevalso invece altre logiche? E di chi la colpa?
Su quest’ultimo aspetto si è scatenato da mesi una sorta di braccio di ferro, tra chi punta il dito contro l’attuale amministrazione regionale e chi ricorda i 25 lunghi anni di gestione del centrosinistra. Non entriamo nel merito di una disputa politica che non ci riguarda. Diciamo solo che quando si parla di salute non dovrebbero esserci cittadini di serie A e cittadini di serie B e, soprattutto, che non si può rispondere – come è stato sempre fatto – a un desiderio di “giustizia” dei cittadini con logiche di “convenienza” politico-economica di chi gestisce. E’ francamente troppo.
Quanto alle responsabilità politiche, giova fare un breve excursus storico – stando attenti alle sensibilità politiche degli attori citati – per capirne un po’ di più di quanto accaduto nel nostro Paese. Ben consapevoli che le sperequazioni nazionali creatisi negli anni a livello territoriale possono essere applicate fedelmente al contesto interno marchigiano. Ma andiamo per ordine.

Ricordata l’istituzione nel 1978 del Servizio Sanitario Nazionale, va detto che il secondo momento decisivo fu il decreto legislativo n. 502/1992 (Governo Amato, ministro De Lorenzo), che avviò la regionalizzazione della Sanità e istituì le Aziende Sanitarie Locali e Ospedaliere: di fatto ebbe inizio il processo di “aziendalizzazione” della sanità.
Uno step decisivo: con quel provvedimento, di fatto, è stata introdotta una concezione di assistenza pubblica in cui la spesa sociale e sanitaria deve essere proporzionata all’effettiva realizzazione delle entrate e non può più rapportarsi solo all’entità dei bisogni. Cosa ha prodotto, dunque, l’introduzione del concetto di aziendalizzazione? Innanzitutto che l’obiettivo principale dei Direttori Generali non è più solo la riduzione delle patologie o la risposta sanitaria ai bisogni di salute, ma anche il pareggio di bilancio (obiettivo a cui, peraltro, è legato un premio retributivo…). Uno schiaffo decisivo, la morte della legge n. 833 e, indirettamente, dell’obiettivo di tutela della salute contenuto nell’art. 32 della Costituzione. Poi è nata la “verticalizzazione” del sistema sanitario. I direttori generali, emanazione diretta del potere politico (aspetto amplificato con la gestione delle regioni) hanno oggi un potere quasi assoluto, persino nella nomina dei primari (hanno persino avuto la possibilità di scegliere tra i tre primi nella graduatoria concorsuale…). Insomma, non una cosa da poco.

Terzo momento da ricordare: il decreto legislativo n. 229/1999 della ministra Rosy Bindi, anche noto come riforma ter (Governo D’Alema, ministra affari regionali Katia Belillo, ministra solidarietà sociale Livia Turco) che rafforzò l’evoluzione in senso aziendale e regionalizzata e istituì i fondi integrativi sanitari.
Infine, con la riforma del Titolo V, legge costituzionale n. 3/2001 (approvato dal Governo Amato2 e confermato col 64% dal referendum) alle Regioni venne riconosciuta autonomia legislativa anche per la sanità: fu l’avvio effettivo della regionalizzazione della sanità che ha portato, in pratica, alla nascita di 21 Sistemi sanitari regionali differenti.
Con la riforma del Titolo V del 2001, infatti, la tutela della salute divenne materia di legislazione concorrente Stato-Regioni: in virtù di questo, lo Stato determina i Livelli essenziali di assistenza (LEA), le Regioni hanno competenza esclusiva nella regolamentazione e organizzazione dei servizi sanitari nel finanziamento delle Aziende Sanitarie. Di fatto, una riforma costituzionale federalista della sanità che completò l’opera di smantellamento della riforma del 1978.

Quello che è successo nel corso degli anni lo abbiamo visto tutti. In sintesi: un processo di progressiva disapplicazione dell’art 32 della Costituzione. La salute come bene comune, rappresentata dal Servizio Sanitario Nazionale, ha subìto negli anni un ridimensionamento che l’ha allontanata dal dettato costituzionale e l’ha posta nelle mani di una politica che risponde a criteri diversi e facilmente comprensibili. Tutto evidente, tutto conosciuto. Fino al verificarsi di qualcosa di forte, di epocale: una pandemia, uno stravolgimento della quotidianità che ha messo in evidenza la fragilità della sanità pubblica e la progressiva deriva privatistica del Servizio Sanitario Nazionale, che non a caso qualcuno da tempo ha iniziato a chiamare “sistema” e non “servizio”…

Quando torneremo a parlare di responsabilità politiche e di carenze, anche per il nostro territorio, sarà bene ricordare tutto questo. La costruzione di strutture nuove e all’avanguardia è aspetto sicuramente positivo, auspicabile. L’importante è parlare di “contenuti” senza fermarsi a guardare il “contenitore”. E l’impressione è che negli ultimi mesi qualcosa in questo senso sia cambiato e una maggiore consapevolezza – coraggio? – sia stata palesata da parte di opinione pubblica e primi cittadini. Insomma: tolto il “tappo”, di sanità si è tornati a discutere. Anche questo meriterebbe una riflessione. Ma accontentiamoci del fatto che se ne parli…



Articoli correlati


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page


Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati




Gli articoli più letti