«Il Jova Beach Party al vaglio di Agenda 2030. E’ un evento profondamente e clamorosamente sbagliato, che inserisce a buon diritto la città di Fermo tra le realtà più ecologicamente arretrate d’Italia». Una Lipu senza mezze misure, senza fronzoli, quella che, dopo aver criticato l’amministrazione fermana per l’illuminazione istallata lungo la pista ciclabile di Marina Palmense, si sposta sulla sponda nord della costa fermana. Quella, infatti, sarà la location che riaccoglierà il Jova Beach Party, quest’estate ad agosto.
«Oggigiorno tutti i politici d’Europa si riempiono la bocca e i discorsi, specialmente se pubblici, con gli obiettivi che le nazioni si sono assegnate per la sostenibilità ambientale nei prossimi anni, noti come Agenda 2030, suddivisi in 17 ambiti della vita civile a livello mondiale. Uno dei principali criteri, una delle principali griglie di valutazione di progetti ed eventi, della Agenda 2030 – spiegano dalla Lipu, con il suo coordinamento regionale Marche e con la delegazione di Fermo – è costituito dai cosiddetti Pilastri dello Sviluppo Sostenibile, il principio delle tre Sostenibilità: ogni progetto deve soddisfare tre tipi di sostenibilità: Economica, Sociale e Ambientale nella realtà locale in cui si inserisce.
Alla luce di questo principio, a parole condiviso da tutti, proviamo a valutare il Jova Beach Party, sotto la lente dell’Impatto/Coinvolgimento/Sostenibilità del territorio in quei tre ambiti».
Si parte con quello economico: «Qual è il coinvolgimento economico della realtà locale con il JBP? Quanto guadagnano alberghi e ristoranti, o negozi di alimentari, grazie alla permanenza di 60/70 mila persone nei due giorni di Casabianca? Qualcuno, una associazione di categoria ha mai fatto una analisi seria? O ci si basa solo sulle impressioni “a naso” di qualche assessore o sindaco? Teniamo conto che gli spettatori possono acquistare sia le bevande che gli snack all’interno del parco evento, e fra l’altro l’enorme quantità di acqua, bibite e di panini e sandwich e patatine venduti dentro il recinto costituisce una ulteriore e non trascurabile fonte di guadagno per gli organizzatori. Gli spettatori stanno lì dentro dalle 14 alle 2 di notte, e pensate che escano per bere o mangiare? Aggiungiamo quindi almeno, ipoteticamente, 20 euro a testa oltre al biglietto d’ingresso? Quale parte di questo giro di ristorazione va nelle tasche degli esercenti fermani? Se ci va un 1% è tanto. Se poi vogliamo guardare agli alberghi, vediamo che il pubblico del JBP ha un potenziale bacino di utenza di 170 km a sud e 120 km a nord, essendo in competizione con le date di Barletta e Marina di Ravenna, cioè niente che non si copra con un’ora e mezzo di auto: e quindi? Quanti dormiranno in hotel a Fermo? Trenta persone? Risposta al primo quesito: coinvolgimento economico locale prossimo allo zero».
La Lipu passa alla sfera sociale: «Possiamo tranquillamente escludere dal coinvolgimento sociale od occupazionale tutte le maestranze tecniche, o artistiche, anche molto specializzate, che lavorano ad un concerto del genere. È ovvio che non si prendono dal territorio ma girano col tour. Forse possono partecipare alla kermesse i giovani che aiutano a governare la folla e a raccogliere i rifiuti, che potrebbero essere arruolati nel territorio di riferimento. A questi ragazzi nel 2019 furono dati in cambio il diritto di entrare al concerto, un buono per acqua e panino, dei fantastici gadget come maglietta e cappellino e addirittura l’assicurazione per danni personali e a terzi. A parte la domanda di steward e cappellini, non si conoscono iniziative di coinvolgimento della popolazione locale, non iniziative preparatorie, eventi teaser, minikermesse di qualche genere, a parte una o due conferenze stampa in Comune. Risposta al secondo quesito: coinvolgimento sociale prossimo allo zero».
E si chiude con l’ambientale: «E qui – l’affondo della Lipu – vengono le dolenti note. Molto è stato detto dalla nostra e da altre associazioni e comitati sull’impatto che questo evento avrà nel progetto di ricostruzione della duna costiera e dell’habitat del Fratino e di altre specie tutelate, già avviato positivamente dopo il precedente evento del 2019, promosso, insieme alle associazioni ambientaliste fermane, proprio dallo stesso comune di Fermo». La Lipu passa in rassegna anche la campagna ecologica legata all’evento con la raccolta delle plastiche in spiaggia. «Immaginiamo se un turista straniero buttasse una bottiglietta di plastica in piazza della Signoria a Firenze: immediatamente gli altri turisti lo rimprovererebbero, i vigili urbani sopraggiungerebbero a fargli una multa e la cosa si chiuderebbe nella riprovazione generale e vergogna sua personale. Ora sostituite piazza della Signoria con un’area costiera ambientalmente delicata e tutelata dalla legge, e moltiplicate il turista per 70 mila spettatori che ballano per due giorni sulla spiaggia, ognuno dei quali berrà, si stima, non meno di tre o quattro bottigliette di plastica. Fanno più di duecentomila bottigliette di plastica. Raccoglierle non è una campagna ecologica, è un dovere. La raccolta della plastica “dopo” non solo è un dovere degli organizzatori, ma non dovrebbe neanche essere necessaria perché la plastica non si dovrebbe neanche adoperare. L’acqua andrebbe distribuita con cannelle gratuite o contenitori riciclabili come borracce in alluminio. Insomma anche senza considerare l’incidenza degli habitat costieri, soltanto guardando alla famosa raccolta della plastica, la risposta al terzo quesito non può che essere: sostenibilità ambientale sotto zero. Appare quindi chiaro che, anche osservato sotto la lente dell’Agenda 2030, il Jova Beach Party è un evento profondamente e clamorosamente sbagliato, che inserisce a buon diritto la città di Fermo tra le realtà più ecologicamente arretrate d’Italia».
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