di redazione CF
«La Chiesa è stata definita madre e maestra. Come ogni madre ama i suoi figli, così anche la Chiesa sa mettersi in ascolto dei suoi figli perché li ama. L’ascolto non è ingenuo, non vuol dire condividere in toto le posizioni dell’altro; a volte dev’essere un ascolto critico che suggerisca, a volte, di correggere il tiro. La giusta rivendicazione dei diritti di libertà, è la mia opinione, non può arrivare alla pretesa di confezionare diritti su misura di ogni “categoria”».
E ancora: «Ciò non toglie che, quando necessario, dobbiamo intervenire. Per esempio, ho letto che nel programma del FəmFest è previsto un “laboratorio per bambini su educazione femminista”: di cosa si parlerà? Si ritiene così necessario affrontare temi di femminismo o transfemminismo con i bambini?». Sono questi solo alcuni dei passaggi dell’intervento dell’arcivescovo di Fermo, monsignor Rocco Pennacchio, sul festival transfemminista FəmFest che si terrà il 30 e 31 luglio prossimi a Monte Urano, primo nel suo genere nelle Marche.
A porre domande e quesiti all’arcivescovo sull’argomento è stato don Andrea Verdecchia, Direttore dell’Ufficio diocesano Comunicazioni Sociali.
La notizia di un festival transfemminista a Monte Urano, il primo, tra l’altro, nelle Marche, ha suscitato da subito malcontento in particolare per la location scelta e per i giorni. L’iniziativa si svolgerà infatti di sabato e domenica nella piazza principale del paese, ovvero in prossimità della parrocchia. Se da una parte sarebbe fuori luogo dare giudizi su un’iniziativa che ancora deve svolgersi, dall’altra come vescovo e pastore Lei è chiamato ad accogliere le istanze critiche di cittadini e parrocchiani scettici in merito a tutto ciò. Cosa si sente di dire?
«Condivido la sua considerazione: non si può esprimere un giudizio previo su qualcosa che ancora deve accadere, a meno che non si annunci un’iniziativa organizzata di proposito contro la Chiesa e i cristiani, ma questo non sembra emergere dal programma annunciato. Dobbiamo poi evitare di apparire fondamentalisti: il fatto che l’ispirazione che guida gli organizzatori del FəmFest non corrisponda alla visione antropologica cristiana non deve indurre a chiusure pregiudiziali. Mi pare ingenuo, infine, affermare che sarebbe stato meglio organizzare la manifestazione “a distanza” dalla Chiesa, quasi a non voler contaminarsi: il Concilio ha affermato che la Chiesa è nel mondo, non lontano né di fronte ad esso. Non è misurando la distanza degli eventi “scomodi” dal luogo di culto che si tutela la comunità cristiana. In tal modo si alimenterebbe l’illusione che certe cose non esistono solo perché non le vediamo».
E’ sterile tirare in ballo la Chiesa solo nel momento delle polemiche? Lei pensa che si sarebbe potuto fare di più da parte delle istituzioni per coinvolgere la cittadinanza sull’opportunità di tale evento?
«Chi vorrebbe che la Chiesa entri in polemica resterà deluso. La polemica, infatti, polarizza, divide la gente e semplifica questioni che tante volte, come in questo caso, sono complesse e vanno affrontate con discrezione e pacatezza perché riguardano la vita e, spesso, la sofferenza delle persone. Non condivido nemmeno l’idea che alcuni si nascondano dietro la Chiesa perché sia lei ad attaccare organizzatori o promotori di qualcosa, sostituendosi sistematicamente ai cittadini. La Chiesa interviene impegnandosi nella quotidiana e nascosta missione educativa di formazione delle coscienza ma sempre nel dialogo con tutti, intervenendo pubblicamente solo quando è strettamente necessario. In un civile dibattito, tutti i cittadini hanno il diritto/dovere di esprimere le proprie opinioni, di interagire con le istituzioni anche attraverso i rappresentanti del popolo, di essere coscienza critica. Chi amministra ha la responsabilità di esercitare il giusto discernimento sulle proposte culturali da accogliere e proporre ai cittadini, chiedendosi sempre se un’iniziativa può far riflettere e maturare i cittadini ed è corrispondente a modelli culturali condivisi dalla comunità. Giusto per fare un esempio, mi chiedo: è così decisivo per la crescita civile e sociale del nostro territorio proporre annualmente il Festival dell’horror e della paura?»
Nel tempo attuale, aiutati anche da Papa Francesco e dallo stile sinodale di ascolto da lui fortemente raccomandato a tutto il popolo di Dio, la Chiesa si trova spesso nella posizione di dover ‘dire’ una parola di guida e indirizzo ma anche di dover ‘ascoltare’ le nuove istanze di credenti e non credenti per saper cogliere la presenza di Dio tra le pieghe e le piaghe dell’umanità. Come esercitare il discernimento, conciliando ascolto della realtà e annuncio del Vangelo?
«La Chiesa è stata definita madre e maestra. Come ogni madre ama i suoi figli, così anche la Chiesa sa mettersi in ascolto dei suoi figli perché li ama. L’ascolto non è ingenuo, non vuol dire condividere in toto le posizioni dell’altro; a volte dev’essere un ascolto critico che suggerisca, a volte, di correggere il tiro. Se viene percepita una Chiesa che ama verrà anche accettata una Chiesa che insegna, che mette in guardia dai rischi di certe visioni ideologiche che si vorrebbero valide per tutti. Il primo passo che sintetizza ascolto e profezia penso sia accogliere l’altro/a come persona, sempre: questa è la sfida che la Chiesa raccoglie da due millenni. Nella sua testimonianza, la Chiesa ricorda alla società che deve saper accogliere ogni persona indipendentemente dal suo orientamento sessuale e combattere ogni discriminazione. Ma la giusta rivendicazione dei diritti di libertà, è la mia opinione, non può arrivare alla pretesa di confezionare diritti su misura di ogni “categoria”, sia per l’insostenibilità, alla lunga, del modello sociale, sia perché si tratterebbe di inseguire una realtà in rapido e continuo mutamento. Questo tema, del bilanciamento dei diritti individuali con le esigenze del bene comune, non riguarda tanto la Chiesa quanto le istituzioni che ci governano».
Poteva essere utile un ascolto reciproco, tra i rappresentanti del Comune e quelli della parrocchia, in fase di programmazione del FəmFest, vista anche la particolare mission dell’evento, lo spirito che lo anima e la grande risonanza che inevitabilmente porta con sé?
«Ogni momento di dialogo e confronto è auspicabile. Intendiamoci, non abbiamo la pretesa di essere consultati previamente ogni volta che si parla di temi sensibili; tuttavia, ci fosse stato richiesto un parere in fase di programmazione, non ci saremmo sottratti, anche per smontare i pregiudizi che troppo spesso vedono la Chiesa in posizione retrograda o di chiusura. Ciò non toglie che, quando necessario, dobbiamo intervenire. Per esempio, ho letto che nel programma del FəmFest è previsto un “laboratorio per bambini su educazione femminista”: di cosa si parlerà? Si ritiene così necessario affrontare temi di femminismo o transfemminismo con i bambini? Sono certo che gli organizzatori avranno considerato la delicatezza della questione; sono altresì convinto che i genitori faranno le loro valutazioni perché i modelli culturali che vengono proposti attraverso tali laboratori non siano in contrasto con i valori ai quali si ispira chi ha la responsabilità educativa dei propri figli».
Molto spesso, davanti a nuovi fenomeni, la paura prende il sopravvento. Ne conseguono pregiudizi e arroccamenti. Secondo Lei, quale può essere l’atteggiamento spiritualmente più fruttuoso, per un cristiano, davanti alle nuove sfide culturali che la contemporaneità porta con sé? Esiste uno stile di fondo – assimilabile a quello di Gesù Maestro – che mai la Chiesa dovrebbe dimenticare di vivere, soprattutto nei passaggi delicati e fragili come quelli che stiamo sperimentando oggi?
«L’atteggiamento spirituale di fondo, lo ribadisco, dev’essere di apertura a ciò che accade e, solo perché è “nuovo”, ci spaventa. Non ha senso chiudere gli occhi di fronte alle questioni poste dal FəmFest, perché non corrispondono ai cliché rassicuranti a cui siamo abituati oppure perché pensiamo che non accadrà nulla di simile nella nostra famiglia. Possiamo non condividere le scelte altrui ma ogni volta che persone concrete vengono ferite, penso per esempio alla violenza di genere che è molto diffusa, non possiamo rimanere indifferenti. Accogliendo le istanze di tutti, i cristiani non rinunciano a proporre la bellezza dell’amore tra uomo e donna, un amore che sa aprirsi alla vita ed è fecondo per la Chiesa e per la crescita della società. Chi vive anche superficialmente a contatto con le nuove generazioni sa bene che i giovani hanno da tempo risolto tante questioni che a noi adulti creano turbamento. Il FəmFest potrebbe aiutarci a prendere coscienza di una realtà che va rapidamente cambiando e che, se non cerchiamo di conoscerla, andrà comunque avanti per la sua strada. Mi dispiacerebbe che questa strada non incrociasse la vita delle nostre comunità cristiane».
A Monte Urano il FəmFest: è il primo festival transfemminista delle Marche
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