di Giorgio Fedeli
25 settembre. Una data che ormai tutti gli italiani, e certo anche i marchigiani, hanno bene impressa in mente, segnata sul calendario: è il giorno delle elezioni politiche che porterà 15 parlamentari a rappresentare la nostra regione tra Camera e Senato. Chiuso il prologo politico, i marchigiani, e soprattutto i fermani, dovrebbero però segnare sui calendari anche un’altra data, per molti versi anche più importante per la nostra regione: il primo gennaio. Quel giorno che darà inizio al nuovo anno (con un 2023 che dovrebbe essere anche l’anno dei nuovi ospedali di Fermo e dei Sibillini) entrerà, infatti, in vigore la nuova riforma sanitaria voluta dall’amministrazione regionale guidata da Francesco Acquaroli. Lo scorso 2 agosto l’assessore regionale alla Sanità Filippo Saltamartini ha annunciato, dopo tre giorni di lavori assembleari, l’avvio dell’iter che condurrà a una riforma epocale che nasce, nella lettura dell’amministrazione, come risposta al fallimento del sistema Asur regionale, e che suddividerà la regione in 5 Aziende sanitarie territoriali provinciali, e abituiamoci dunque all’acronimo Ats (oltre all’Inrca e all’ospedale regionale di Torrette), più autonome e guidate da veri e propri manager.
«L’idea base di un’unica Azienda regionale l’Asur chiamata a coordinare le 5 Aree vaste si è dimostrata inattuabile o comunque fallimentare. Ripartiamo quindi – ha avuto a dire Saltamartini – dalle nostre idee, da quelle votate dalla maggioranza dei marchigiani 2 anni fa. I marchigiani hanno bisogno di una sanità di prossimità, contro le vecchie idee degli ospedali unici e dell’accentramento solo in alcune città, con la chiusura di ben 14 ospedali (e poi ci lamentiamo dell’affollamento nei pronto soccorso)” con un cittadino riportato “al centro”. I nuovi direttori generali avranno la responsabilità degli Urp uffici relazioni con il pubblico che dovranno rispondere (non solo al telefono) dei bisogni della popolazione. E soprattutto ogni azienda provinciale dovrà organizzare la propria “produzione sanitaria” sulla base del fabbisogno del suo territorio. “Ci serviranno ancora dei mesi di lavoro e di attuazione della legge una volta approvata. Ma nessuno – categorico Saltamartini – può continuare a pensare che una persona che chiede una Tac, o altra prestazione, a Pesaro possa essere dirottato a San Benedetto o viceversa, perché l’azienda sanitaria oggi è unica e regionale. Verrà rivisto anche il rapporto con la Sanità privata. Per noi la sanità deve essere pubblica e la concorrenza del privato dovrà coprire le lacune o le prestazioni che il pubblico non potrà garantire. C’è voluto un impegno importante per questo progetto di legge».
Una riforma che, però, non ha convinto affatto l’opposizione (che oltretutto si è vista rigettare la sfilza di emendamenti). Il consigliere regionale Pd, Fabrizio Cesetti, e il segretario provinciale dem, Luca Piermartini sollevano dubbi e perplessità. E puntano l’indice su «enormi criticità. Una delle più evidenti – dicono – è rappresentata dalla disparità territoriale, di questo ne risentirà più di altri il Fermano, che l’istituzione di cinque aziende territoriali con personalità giuridica e in competizione tra loro andrà a creare tra una provincia e l’altra, minando di fatto l’universalità del diritto alla salute. Non sfugge l’incoerenza con la normativa nazionale e, soprattutto, con il Piano Regionale Socio Sanitario che, ancora oggi, coincide in larga parte con quello varato dalla precedente amministrazione. L’approvazione del nuovo piano, infatti, dovrebbe precedere qualsiasi intervento strutturale, al fine di valutarne l’impatto economico-finanziario e renderlo dunque non solo credibile, ma anche possibile. Se vogliono dare personalità giuridica alle Ast occorre garantire diverse tipologie di autonomia: finanziaria, organizzativa e patrimoniale. Quali garanzie quindi? L’esito sarà quello di creare scatole vuote con il risultato di causare forti ripercussioni sui servizi. Altri due aspetti fondamentali: le Marche, secondo quanto si legge, saranno l’unica regione in Italia priva di ospedali di primo livello e si presenta il rischio di amplificare il problema della carenza di medici, dato che le Ast risulteranno meno attrattive rispetto a un’azienda complessa. Non ultimo, il ruolo che l’Ars avrà in questo nuovo impianto. Di fatto l’Ars starà alle Ats, così come l’Asur stava alle aree vaste. Tutte le responsabilità, compresi eventuali contenziosi, saranno scaricate sui territori. Prima era l’Asur a farsene carico. È una riforma finta che ci porterà indietro di molti anni, a discapito dei cittadini.
Il territorio è il luogo principe della riforma e senza preliminari accordi di collaborazione con la Medicina Generale è impossibile attivare le Case di Comunità e gli Ospedali di Comunità; senza interventi straordinari per rafforzare le Guardie Mediche e la Medicina Generale il territorio non si riorganizzerà mai».
Ebbene, al netto delle fisiologiche e dicotomiche letture che le fazioni politiche danno della riforma, resta la domanda delle domande: i cittadini quando inizieranno a vederne gli eventuali benefici? Il Fermano soffre e attende risposte. Giusto ieri l’ultima criticità, in ordine di tempo con l’assenza di medici al Ppi di Amandola. Un gap che ha scatenato le critiche del Pd e chiamato il direttore di Area vasta 4, Grinta, a cercare e trovare una soluzione last minute.
Intanto diciamo che dal primo gennaio ci saranno nuovi direttori di Ats (che saranno nominati tramite un concorso a cui potranno prendere parte solo coloro che sono iscritti a un albo nazionale di ‘abilitati’ alla carica di direttore di azienda sanitaria). L’attuale direttore Av4, Roberto Grinta, verrà riconfermato alla guida della sanità fermana o nella nostra provincia gli succederà un nuovo direttore? Un ‘forestiero’, come è stato per Grinta, o sarà un ‘indigeno’? Altro aspetto da non sottovalutare: per l’entrata in vigore della riforma, a inizio 2023, la Regione sarà stata in grado di espletare tutto l’iter concorsuale per i sette nuovi direttori (5 per ogni Ats più Torrette e Inrca)? I nuovi vertici territoriali poi sceglieranno fiduciariamente i rispettivi direttori sanitario, amministrativo e di integrazione socio-sanitaria. Ma soprattutto quali garanzie, quali risposte i cittadini avranno sulla risoluzione di problemi ormai incancreniti come le liste di attesa, il sistema dell’emergenza (vedasi Pronto soccorso), la carenza di medici di urgenza e di quelli di medicina generale (i medici di famiglia, per intenderci). E che si fa con le guardie mediche ridotte all’osso?
Ma non finisce qui. Abbiamo detto che i nuovi direttori saranno veri manager, dunque occhio rivolto in primis a far quadrare i conti. Ovvio. Dunque in caso di una eventuale recrudescenza della pandemia (debito scongiuri più che legittimati), ogni Ats prenderà in cura i pazienti del suo territorio di riferimento. E su quest’aspetto al Fermano potrebbe anche andar bene (ricordiamo tutti il Murri ospedale sia Covid che no-Covid, con anche pazienti provenienti da fuori provincia). Ma qualora un fermano dovesse aver bisogno di un’emodinamica, cosa dovrebbe fare? Andare ad Ancona? E se lì valesse la stessa regola del ‘solo i nostri’? Si va a Cotignola? Ed ecco servita la mobilità passiva. Emodinamica, dicevamo. Nei giorni scorsi l’onorevole Mauro Lucentini ha annunciato che sono state «avviate le procedure per l’attivazione dell’emodinamica all’ospedale Murri di Fermo a conferma che sta andando a buon fine la battaglia della Lega, con il sottoscritto in prima linea, per garantire all’intera popolazione del Fermano un servizio essenziale». Lucentini si riferisce alla la pubblicazione, da parte della direzione dell’Area Vasta 4, di un avviso interno per l’acquisizione di manifestazione di interesse per 5 figure professionali di C.P.S. Infermiere alle funzioni assistenziali della Emodinamica, Elettrofisiologia cardiaca e Radiologia Interventistica. Ma all’ospedale c’è chi è convinto che da qui a dire che a Fermo l’emodinamica arriverà, c’è una bella differenza. Insomma vogliono numeri e cifre con investimenti ad hoc e un progetto di fattibilità. Tornando alla riforma, i punti interrogativi non sono finiti: i budget come verranno ripartiti tra Ats? Quali criteri saranno adottati? Sappiamo che i fermani scontano un sostanzioso gap di risorse pro-capite rispetto ad altre Aree vaste. Per livellare i fondi saranno tolti servizi altrove? Verrà magari istituito un fondo perequativo, a disposizione dei territori più disagiati, per iniziare a riequilibrare le Ats? Insomma tanti interrogativi per una riforma sanitaria che rivoluzionerà la nostra regione. Un cambiamento radicale, globale, o sarebbe forse stato meglio affrontare chirurgicamente e settorialmente i problemi, dalle liste di attesa al cercasi medici disperatamente, per poi arrivare alla riforma, a braccetto con il nuovo piano sanitario, in maniera più graduale? Chi vivrà vedrà (ci si passi il detto anche se certo non adeguato se si parla di sanità). Ma di certo non c’è più tempo per sperimentare, urge curare.
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