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Parto in casa, 75 nelle Marche in tre anni: scelta imprudente o antesignana (in parte) delle nuove linee guida regionali?

COME funziona e cosa ne pensano i dottori Ermanno Ruffini (pediatra e presidente regionale della Società Italiana di Pediatria ) e Alberto Maria Scartozzi (primario di Ostetrica e Ginecologia dell'Area Vasta 4). La novità: le gravidanze a basso rischio, da qui a poco, saranno seguite esclusivamente dalle ostetriche nell'apposito reparto ospedaliero, dove il medico interviene solo in caso di complicanze

I primari Scartozzi (Area Vasta 4) e Ruffini (Area Vasta 5)

 

di Maria Nerina Galiè

Partorire a casa non è più una necessità, ma una possibilità permessa alle future mamme anche nelle Marche. Scelta da 75 donne negli ultimi tre anni (dati dei rimborsi tra il 2020 e settembre 2022). Di queste, 12 sono del Fermano (33 nell’Anconetano, 9 nel Maceratese e 21 nel Piceno).

 

Una scelta che può apparire anacronistica se non addirittura imprudente, sia per la mamma che per il bimbo. Oppure pionieristica, se vista nell’ottica della revisione delle linee guida della Regione, dove si preannuncia una sorta di estromissione del ginecologo dalle gravidanze a basso rischio. Queste, negli intenti di chi è chiamato a rivedere i percorsi, saranno seguite interamente dalle ostetriche, in ospedale e nella fase dei controlli laboratoristici ed ecografici.

 

LE REGOLE  – Attualmente, la normativa regionale del 1998 che regola il parto a domicilio recita: “il parto a domicilio, nei casi di gravidanza a basso rischio, rappresenta la risposta alla richiesta di demedicalizzazione ed umanizzazione del parto in osservanza delle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità”. La donna orientata al parto in casa ottiene un rimborso fino a 1.200 euro. Di 400 euro se l’evento si conclude in ospedale, come è capitato.

Un parto in ospedale, senza complicazioni, pesa sulle casse della Sanità pubblica per circa 3.000 euro.

“La donna che decide di effettuare il parto in ambiente extra-ospedaliero – sempre secondo la legge regionale  – deve, entro la 34° settimana di gravidanza, presentare domanda, corredando la richiesta da: dichiarazione di presa in carico della donna da parte dell’ostetrica, che si assume la responsabilità assistenziale del percorso fino al parto e al puerperio, dichiarazione del consenso informato e di libera scelta, sottoscritto dalla donna e dal partner”.

Inoltre, “dopo la 37° settimana è richiesta una rivalutazione clinica della gravidanza che confermi l’idoneità al parto extra-ospedaliero”.

 

IL PEDIATRA – Il bambino che nasce fuori dall’ospedale è al centro delle preoccupazioni di alcuni pediatri.

«Io non posso dire di essere contrario al parto in casa, ma abbraccio in pieno la posizione, in merito, della Società italiana di neonatologia», afferma il dottor Ermanno Ruffini, presidente regionale della Società Italiana di Pediatria (Sip) e primario di Pediatria e Neonatologia dell’Area Vasta 5 e. Che entra nel merito: «La Sin allerta sui fattori di rischio. Dice chiaramente che partorire in ospedale è senza dubbio più sicuro che farlo tra le mura domestiche. E’ impossibile escludere complicanze anche nelle condizioni ideali.

 

Sempre per dirla con i colleghi della Sin, la donna che opta per il parto in casa deve essere correttamente informata sui rischi. E, in caso di emergenza, è fondamentale la presenza di un presidio ospedaliero attrezzato, facilmente raggiungibile ed un trasporto rapido in ospedale con personale esperto».

 

Nel Piceno e sul Fermano, la regola prevede che, a ridosso del parto programmato in casa, la centrale operativa debba ricevere un avviso con la comunicazione della data presunta ed il recapiti di ostetrica e familiari. In questo modo se arrivasse una richiesta di soccorso da uno di quei numeri, gli operatori di centrale sapranno cosa fare ed avranno un’ambulanza dedicata. 

 

«Devono poi essere garantiti – sono ancora le parole del dottor Ruffini – a mamma e neonato tutti i controlli necessari nelle ore successive al parto.  Come pediatri, sarebbe auspicabile essere avvisati dell’evento in corso, in modo da tenerci pronti nel caso qualcosa vada storto».

Invece sembra che dei parti avvenuti a domicilio nella provincia di Ascoli il reparto Pediatria non ne sapesse nulla o quasi.

 

In sede di richiesta di rimborso, insieme con il certificato di nascita, la copia della cartella clinica e la certificazione delle spese sostenute, va esibito anche lo screening neonatale. Come fa, dottor Ruffini, chi partorisce in casa?

«Ho motivo di pensare che il prelievo venga fatto dall’ostetrica ed inviato al laboratorio di Fano, preposto alla lettura di tali esami per tutta la regione, anche di quelli effettuati negli ospedali».

 

IL GINECOLOGO – Più diretto, e dichiaratamente contrario, il dottor Alberto Maria Scartozzi , primario  di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale “Murri” di Fermo che, con la sua equipe, sta collaborando con la Regione proprio per il rinnovo delle linee guida: «Siamo in un periodo di estremismo assurdo, perdendo di vista “il mezzo”, dove forse si trova la soluzione più idonea».

 

Il primario incalza: «Adesso si fanno uno o due figli, non più dieci, di cui però ne sopravviveva la metà. E la maggiore parte dei genitori dei nostri tempi vuole che siano figli perfetti, con gli occhi azzurri e super intelligenti. Dal parto si vuole la certezza assoluta che non insorgano complicazione. Quindi  esami su esami, visite su visite, l’epidurale per non sentire dolore, medicalizzando al massimo quello che è un evento naturale.

Ma c’è anche chi vuole che sia tutto assolutamente naturale, senza ingerenza medica, fino a decidere di partorire a casa, rinunciando agli standard assistenziali  e igienici. Mi è capitato di dover intervenire in urgenza, per una emorragia, perché la placenta non si era staccata bene, o per un’infezione postuma. Per fortuna è andata bene. Se così non fosse stato, parto a casa o in ospedale, la colpa sarebbe ricaduta sempre sul Servizio Sanitario e sul medico». 

 

«Ritengo entrambe le impostazioni – prosegue il ginecologo – sbagliate.

E per affermarlo sottolineo proprio il termine naturale, indissolubilmente legato alla gravidanza ed al parto: tutti gli eventi naturali hanno lati di imprevedibilità. Come il temporale: è un fenomeno naturale ma se ti prende in pieno un fulmine rischi la vita. E la donna deve avere consapevolezza di questo».

 

Qual è quindi la giusta via, dottor Scartozzi?

«Quella di mezzo, dove si stanno orientando le nuove linee guida. L’ambiente familiare aiuta senza dubbio la donna a partorire. La naturalità del parto deve essere tutelata e, soprattutto, demedicalizzata.

Ma il tutto deve avvenire all’interno di strutture idonee come l’ospedale, dotato di tutti i mezzi per intervenire di fronte alle eventuali complicanze, per la mamma e per il neonato»

 

 

 

 



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