di Giorgio Fedeli
Il Fermano, se si esclude il senatore Francesco Verducci eletto, però, in Piemonte, con l’esclusione del leghista Mauro Lucentini, capolista al plurinominale al Senato, non ha più una rappresentanza in Parlamento. Il sindaco di Fermo, Paolo Calcinaro, prova a dettare la linea per colmare un gap di rappresentanza che rischia di tagliare ancor più fuori la nostra provincia dalle dinamiche e, soprattutto, dai tavoli decisionali quando invece ha una forte, quasi vitale, necessità di esserci, di contare, di far sentire la propria voce e di rivendicare ciò che gli spetta di diritto, dalle infrastrutture ai sostegni alle categorie produttive.
«In realtà gli esponenti del Fermano non sono stati piazzati in posizioni blindate. Si pensava che solo la posizione di Lucentini fosse utile (non blindata di certo, ndr) ma il crollo inaspettato della Lega, su scala nazionale, qui – l’analisi del primo cittadino – ha travolto proprio l’unico del Fermano in posizione utile. Nella nostra regione non ce n’erano altri» a differenza, e questo è un dato su cui riflettere, degli ascolani che ne hanno piazzati ben 6: Albano, Castelli, Latini, Curti, Fede e Cataldi. (E se a questi si aggiunge anche la Silvestri, eletta in Abruzzo, saliamo addirittura a 7).
Calcinaro non ha mai negato di aver invitato gli elettori a prestare attenzione, al momento del voto, alla rappresentanza territoriale. Ovvero, di fatto, un endorsement per Lucentini. Ma nella sua città la Lega ha incassato 1.386 voti contro i 5277 di Fdi. In altre parole i fermani hanno scelto i meloniani, e se si ragiona in termini di collegi, Castelli.
Un appello inascoltato, quello del primo cittadino della città capoluogo? «Beh fermo restando che a mio avviso non sarebbe cambiato nulla, quando io ho lanciato quell’invito l’ho fatto su scala provinciale ma evidentemente la scelta territoriale non è passata a sufficienza. Non vorrei che chi oggi si lamenta del fatto di non avere un rappresentante in Parlamento, ieri era tra quelli che dicevamo “Lucentini non si può votare”. A volte, evidentemente, le scelte, seppur assolutamente legittime, non si basano sulla territorialità ma su logiche generali. E questo, per un piccolo territorio come il nostro è penalizzante».
E ora come si colma il gap con Roma? «Innanzitutto coinvolgendo gli eletti del nostro collegio. Ieri ho avuto contatti telefonici con Castelli, Battistoni e Verducci. Castelli si è messo subito a disposizione del Fermano, anche Battistoni che conosce il nostro territorio. Verducci ha capito che il suo ruolo, seppur dall’opposizione, è anche quello di unico parlamentare del territorio (che però sarà chiamato istituzionalmente a fare gli interessi in primis dei piemontesi che lo hanno fatto eleggere). Poi certamente dovremo coinvolgere anche gli altri eletti nel nostro collegio».
Si parla di un Castelli in odore di incarico governativo: «Sicuramente lo merita per le capacità dimostrate».
Perso il treno ‘parlamentare’ per Roma, si riapre la partita della giunta regionale. Acquaroli, infatti, sarà chiamato al rimpasto dal momento che tre suoi assessori sono stati eletti a Roma, ossia lo stesso Guido Castelli, Giorgia Latini e Mirco Carloni. E questa volta il Fermano vuole entrare in giunta con un suo volto: «Ci deve stare assolutamente – non transige Calcinaro – il Fermano deve avere un suo ruolo. Con chi? No, questo non sta a me dirlo. Ma mi auguro che a qualcuno del Fermano siano assegnate delle deleghe e anche importanti, pesanti. Penso al bilancio, alle attività produttive, ai trasporti, su cui il Fermano è indietro, una delega nei rapporti con gli enti locali per entrare in vari temi cruciali».
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