di Giorgio Fedeli
Tanto tuonò che piovve. Il Fermano è fuori dalla giunta regionale. Con le nomine dei nuovi assessori che andranno a sostituire i parlamentari Latini, Carloni e Castelli, ossia Brandoni, Biondi e Antonini, il nostro territorio incassa una nuova esclusione dall’amministrazione di palazzo Raffaello.
Il Fermano aveva sperato in una nomina assessorile per suo esponente territoriale all’insediamento della giunta Acquaroli. Niente. Ha incrociato le dita per avere un suo rappresentante anche con il rimpasto di giunta (in dirittura di arrivo). Niente. Ha atteso l’elezione di un parlamentare ‘indigeno’. Niente anche in questo caso. E tutto dopo una serie di decurtazioni, a partire dalla Camera di Commercio fermana (che poi, per dovere di cronaca, è arrivata alla versione di unicum regionale) o di bocciature come nel caso della Soprintendenza concessa all’Ascolano (che ha incassato di recente anche sei parlamentari più un settimo eletto in Abruzzo). Per non parlare, poi, di un Fermano ‘cuscinetto’ in tempi di Covid: unica provincia con un solo ospedale trasformato oltretutto in Covid/no-Covid con le porte aperte anche a contagiati provenienti da altri territori.
Male, anzi malissimo, per un territorio che da sempre, o almeno da quando è stato riconosciuto come Provincia, recrimina pari dignità rispetto alle altre zone delle Marche. Abissale il divario con il nord della nostra regione, un gap ormai quasi endemico, fisiologico. Ma ora inizia a pesare, eccome, anche lo squilibrio con le terre di confine, ossia il Maceratese e l’Ascolano. Basti dire che il primo vanta un governatore e un assessore alla Sanità (Acquaroli e Saltamartini) e due parlamentari, il secondo si prepara a festeggiare la new entry in Regione (Antonini) dopo aver fatto incetta di eletti tra Camera e Senato.
Che sia il momento di superare i piagnistei e iniziare una seria riflessione sul reale peso specifico del Fermano? Che la disparità di trattamento sia realmente responsabilità solo di chi quelle nomine le firmerà, ossia Acquaroli, o anche di chi non ha saputo, (o voluto?) imprimere una pressione adeguata per ottenere un assessorato fermano? Che sia responsabilità di un civismo che ‘fuori porta’ non ha voce in capitolo o di una classe politico/partitica che non sa imporsi, o forse addirittura che non sa come imporsi? Inutile, a questo punto, continuare ad abbarbicarsi, impantanarsi, incancrenirsi sul leit-motiv “Esigiamo pari trattamento”. Le richieste delle istituzioni locali, ignorate, che hanno rilanciato chiedendo non solo un assessorato ma deleghe di peso come il Bilancio rischiano a questo punto solo di mettere ancor più a nudo l’inconsistenza politica di un territorio che, invece, da sempre è trainante nell’economia, nel Pil, nella promozione, nell’occupazione, nella produttività delle Marche. O il nostro territorio dovrebbe accomodarsi su due presidenze, Erap e Svem, in mano a due ‘fermani’ (Saturnino Di Ruscio e Andrea Santori)? Le due cariche, prestigiose, per carità, sono state anche ribadite, a domanda specifica, dall’ex assessore Guido Castelli, che però ha anche specificato, sempre a domanda specifica che non bisogna «mai accontentarsi».
Sia chiaro: avere un assessorato ‘fermano’ non equivale, quasi fosse un automatismo, a dire che il Fermano otterrebbe quanto chiede da anni, o che sarà considerato al pari delle altre province. Ma se la partita si sposta sulla domanda-offerta assessorile, se ne esce ancora una volta con la coda tra le gambe. E certo, le responsabilità non possono essere addossate, si diceva, solo a chi quelle nomine le fa, ma anche a chi le doveva caldeggiare, e soprattutto doveva sapere come farlo. Insomma, sì, un chiaro ‘concorso di colpa’. Dunque, posto che le lacrime sul latte versato storicamente non portano da nessuna parte, preso atto che dalla diatriba “Cenerentola sì, Cenerentola no” non se ne esce perché ognuno resta sulle sue infruttuose posizioni, e appurato che restare sempre con il cerino in mano non piace ad alcuno, sarebbe ora di fermarsi a riflettere su come far valere le ragioni di un territorio e soprattutto iniziare uno screening su chi dovrebbe ergersi a portavoce del Fermano. Che siano una o più associazioni di categoria? Un presidente di Provincia? Un sindaco del Comune capoluogo? Un pool di sindaci per muoversi sull’onda di una voce ‘unica’ meno flebile e mansueta, almeno per una volta? Consiglieri regionali nelle vesti di ‘pontieri’ (già insite nel loro ruolo istituzionali) tra il Fermano e palazzo Raffaello? Altrimenti si alimenta incontrovertibilmente il sospetto che non si voglia realmente perorare la causa del Fermano, magari perché farsi portabandiera di una class action politico-territoriale comporta inevitabilmente una sovraesposizione che potrebbe anche cozzare con eventuali, seppur legittime, ambizioni personali. Se prima non si fa luce sull’esistenza di una vera volontà di gruppo partendo dalla valutazione della consistenza e dell’identità di un territorio da caldeggiare, meglio non giocarla per niente la partita, meglio non presentarsi frammentati, parcellizzati, disorientati, meglio non andare al braccio di ferro per poi dover prendere inesorabilmente atto che si è trattato dell’ennesima cronaca di una invisibilità annunciata, anzi implacabilmente reiterata.
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