«Fermo è una città, oramai, senza un governo. O meglio, un governo formale esiste, ma ciò che manca è il comando della città. L’impoverimento degli enti locali, grazie al federalismo fiscale, ha introdotto un sistema di sviluppo a diverse velocità e Fermo, città capoluogo della Provincia più piccola delle Marche ne sta pagando le conseguenze, sia in termini concreti, mancanza di risorse, che sociali (siamo i più poveri) e politici (siamo i meno rappresentati nelle istituzioni “che contano”)». E’ l’ennesimo attacco del capogruppo di Fermo Capoluogo, Renzo Interlenghi che attribuisce le responsabilità a una «scelta miope fatta da tutte le forze politiche nel delegare la gestione di una fase così delicata a donne e uomini di buona volontà che ha permesso un ”assalto alla diligenza” senza precedenti».
«E’ partita la manovra in vista dell’erigendo ospedale di Campiglione; Lido San Tommaso, illuso da un piano di riqualificazione che stenta a decollare, appare sempre più in balia di una criminalità divenuta insopportabile; l’operazione di svendita della Casina delle Rose sta assumendo toni che definire grotteschi è il minimo. Il sindaco si sta assumendo la responsabilità di passare alla storia come colui che ha messo fine al più bel sogno della città. La cessione al privato viene spiegata come l’unico rimedio di fronte all’incuria, al deprezzamento, al degrado. Ma, mentre si decide di vendere, ecco apparire proposte “last minute”, anche folcloristiche se vogliamo, ma che danno il senso dell’errore madornale che la maggioranza sta per compiere. Se si fosse coinvolta di più la popolazione, gli stakeholder, ecc… si sarebbe potuta trovare una soluzione diversa, più condivisa e meno tranciante. La Casina delle Rose è una palazzina che rappresenta la “fermanità”, cederne la proprietà significa rinunciare a una parte della nostra anima. I mancati investimenti e il mancato impegno a ridare vita a questo pregiato pezzo della collezione immobiliare, portano alla vendita. Ancora una volta, dietro il ricatto della povertà (di idee, di risorse, di visione) si innestano gli interessi privati, quelli che sino a qualche decennio fa si era riusciti, pur nel rispetto dei ruoli, a mantenere a debita distanza. Oggi non ci si è riusciti e si compie (o si sta per compiere) lo sfregio che resterà indelebile nelle nostre menti e nella nostra cultura, sociale e artistica. Chi ha a cuore questo pezzo di storia fermana si mobiliti, prima che sia troppo tardi e il mio invito va alle forze politiche, tutte, agli intellettuali, agli imprenditori illuminati, agli studenti, alla stampa, alle donne e agli uomini affinché possano mettersi a protezione del luogo più bello della città e far sì che resti pubblico».
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