Il fotografo storico della Juventus ospite di De Carlonis

Salvatore Giglio, che ha immortalato per decenni le gesta dei bianconeri, ha ricambiato la visita al noto pastificio di Campofilone con il suo libro sul centenario della gestione Agnelli. Durante la degustazione dei maccheroncini, cucinati al momento da Paolo De Carlonis e dal sindaco Cannella, ha raccontato molti aneddoti curiosi: “La mia prima macchina fotografica me la prese mia madre coi punti del Miralanza. Fu grazie alla Juve che conobbi mia moglie. Ho tutti nel cuore, in particolare Del Piero e Trapattoni, ma il calcio di oggi ha perso la poesia e l’autenticità di quei tempi”

di Silvia Remoli

CAMPOFILONE – Una giornata di sapori e di ricordi nel pastificio di famiglia di Paolo e Pietro De Carlonis, fondato da papà Enzo e nota in tutto il mondo per la produzione artigianale di beni alimentari tipici del territorio (olive, cremini, pasta fresca e pasta secca, tra cui gli inimitabili maccheroncini): Salvatore Giglio, fotografo ufficiale della Juventus Football Club, grazie all’amico comune Nazzareno Romagnoli (super tifoso con un vero e proprio museo privato ricco di cimeli nella sua casa di Monte Urano), ha visitato l’azienda con estremo interesse mostrandosi curioso sull’utilizzo delle materie prime, le tecniche di realizzazione e il mantenimento delle tradizioni. 

Non è mancato il saluto delle istituzioni locali, tra le quali il sindaco di Campofilone Gabriele Cannella (che si è dilettato in un estemporaneo show-cooking a fianco del padrone di casa), il suo vice Ercole D’Ercoli, il sindaco di Petritoli Luca Pezzani, l’assessore allo sport di Fermo Alberto Maria Scarfini ed il vice sindaco di Porto San Giorgio Lauro Salvatelli.

Durante l’incontro e la degustazione delle tipiche bontà della tavola, l’esperto Roberto Ferretti ha illustrato a tutti gli ospiti le antiche origini quattrocentesche dei famosi maccheroncini di Campofilone, e del loro modo di esser preparati adagiati sulla spianatoia di faggio, indispensabile per assorbirne l’umidità e condirli al meglio. Il tutto con grande entusiasmo dei commensali e soddisfazione di Paolo De Carlonis: «La visita di professionisti  stimati come Salvatore Giglio è per noi l’occasione per far conoscere le nostre tradizioni anche al di fuori del territorio, per mostrare la  passione e dedizione che cerchiamo di tramandare, per preservare il patrimonio delle nostre radici e di tutti i nostri nobili valori».

L’INTERVISTA:

Salvatore Giglio, classe 1947, nato a Palermo ma emigrato a 9 anni coi genitori a Torino, si è approcciato alla fotografia a soli 14 anni, quando, per non pesare troppo sulla famiglia, si propose come apprendista ad un fotografo amico di suo papà, falegname. 

Da qui in poi ci racconta la sua storia ‘bianconera’ con estrema disponibilità e generosità di particolari, sottolineando come il suo rapporto con la famiglia Agnelli e con la squadra fosse dettato dal reciproco rispetto e dalla professionalità. Insomma, più che “l‘occhio indiscreto”,  sarebbe più corretto definire Salvatore Giglio come “l’occhio attento e fedele della Juve” (anche per la sua indiscussa capacità di cogliere l’attimo, come si potrà notare dagli scatti raccolti nel suo libro ‘1923-2023 Agnelli Juventus – La famiglia del secolo’).

Qual è stata la sua prima macchina fotografica? Me la prese mia madre con la raccolta punti del detersivo Miralanza, era il modello Eura Ferrania e  la prima foto la scattai a mio padre.

Come ha vissuto l’avvento del digitale? Eh, si è perso un po’ il romanticismo di quella attesa, di quella ritualità. La fotografia era tutto farina del tuo sacco, la creavi da quando inquadravi il soggetto a quando in camera oscura attendevi di far riemergere l’immagine dalle vasche. Ora è tutto veloce, tutto modificabile, trasmissibile virtualmente e non a mano come allora.

Avrebbe  mai pensato di arrivare a fare il fotografo della Juve? No, il mio sogno era fare il reporter di guerra, lo desideravo sin da ragazzo quando feci il militare prima a Napoli nei bersaglieri e poi ad Aviano nella base americana.

E come approdò allora in casa bianconera? Per caso. Ero tifoso e pertanto feci degli scatti per il giornalino torinese “CalcioFilm” a cui serviva  un fotografo per le trasferte. La prima fu nel  1976, Lazio- Juventus. Fui contattato subito dal Sig. Refrigeri della Juve, che voleva quelle immagini, che gli portai previo permesso dell’editore. Mi propose di diventare fotografo ufficiale e da quel momento seguii la squadra ovunque con la macchina fotografica in mano.

A quale personaggio è rimasto più affezionato? Ho sempre cercato di essere il più professionale possibile per non peccare di invadenza, ma ci sono state delle persone che mi si sono avvicinate ed affezionate e con le quali conseguentemente ho instaurato rapporti particolari. Alex Del Piero è una di queste: gli scattai la prima foto con la maglia della Juve, fino all’ultima con cui ha giocato, seguendolo nella sua carriera e sentendomici tutt’ora.

E come allenatore? Beh, Trapattoni per me è l’allenatore per eccellenza: vero, schietto, sanguigno, trasparente.

L’avvocato Agnelli come si poneva? Di lui ho bellissimi ricordi: era signorile, elegante, raffinato ed estremamente educato, ma mai superbo né altezzoso. Me lo dimostrò fin dalla prima foto che gli scattai, seduto sulla panchina dove venne fondata la Juve (esposta anche per la mostra del centenario): io ero agitato al pensiero di ritrarlo, timoroso quasi. Lui mi mise subito a mio agio e mi disse: “Dimmi tu come mi devo posizionare”, ed io risposi “Avvocato, nella posa a lei più naturale”, ed allora  accavallò la gamba con la sua tipica mossa. E poi era sempre gentile ed estremamente umano, non solo coi suoi collaboratori più stretti, ma anche con tutti coloro che gravitavano intorno alla sua squadra, dai manager, ai giocatori, ai custodi, ai magazzinieri. E quando lo immortalavo mi diceva: “Quando non ci sarò più io, resterà di me il ricordo anche grazie ai tuoi scatti”.

La sua foto preferita? Quella di Michel Platini a Tokio, quando gli venne annullato un gol valido e lui, invece di ribellarsi ed inveire contro l’arbitro, si distese sul prato, in una posizione di rassegnato relax. Ecco in quella reazione si riassume tutta la sua personalità e la consapevolezza di sé.

I suoi figli hanno seguito le sue orme? Mio figlio Marco ama la fotografia, ma la passione per la cucina è stata più forte, quindi ora ha un ristorante a Torino in cui lavora anche sua sorella Sara (lo  ‘Smoking Wine Bar’, molto frequentato dai giocatori della Juve, ndr).

Grazie al suo lavoro come fotografo della Juve ora può raccontare la storia di un secolo di gestione da parte della famiglia Agnelli… Non solo, quel lavoro mi portò anche a conoscere mia moglie, che lavorava nell’amministrazione ed era colei che mi consegnava le buste paga!

Insomma i colori bianco e nero le hanno portato l’amore in tutti i sensi, cominciato quando le foto erano in bianco e nero e durato fino ad oggi… Esatto. Ma così come sono cambiate le foto è cambiato anche il calcio: ha perso la poesia e l’autenticità di quei tempi. Ed è cambiato anche il modo in cui lo guardo io: prima i miei occhi intravedevano la spontaneità, l’umanità, se vogliamo anche quella umana imperfezione, però così vera; oggi si è persa molta di quella genuinità.

Salvatore Giglio con il libro sul centenario di gestione Agnelli nella Juventus

Nazzareno Romagnoli, Scarfini, Salvatelli con il figlio, Giglio e De Carlonis

Giglio con la foto di Platini a Tokio

Il fotografo della Juve Salvatore Giglio si gusta un piatto di maccheroncini

 

 

 

Il sindaco di Campofilone Cannella con Paolo De Carlonis

L’omaggio a Giglio da parte della città di Petritoli e della stamperia Fabiani

 

L’omaggio a Giglio da parte della stamperia Fabiani di Petritoli

Il fotografo Salvatore Giglio con Paolo De Carlonis

Roberto Ferretti, esperto della tradizione dei maccheroncini, ne illustra le origini antiche

Paolo De Carlonis nella cucina a vista della sua azienda

Paolo De Carlonis illustra le fasi di produzione nel laboratorio della sua azienda


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