Il coordinamento per l’Ex Fim, presieduto da Katia Fabiani e che si batte per salvaguardare i monumenti vincolati nell’area portoelpidiense al centro dell’attenzione del dibattito pubblico, fanno delle precisazioni in merito alle ”osservazioni” della proprietà al preavviso di diniego ministeriale per l’abbattimento della Cattedrale. «Innanzitutto la Cattedrale occupa il 5% del terreno che non è tutto inquinato, ma solo in alcune parti. La bonifica dell’area è stata interrotta dal direttore lavori nell’estate 2011, perché secondo lui, erano necessari maggiori approfondimenti. Un fermo che doveva essere solo temporaneo ma che dura ormai da quasi dodici anni – dice la presidente -. Inoltre, a fronte di paventati aumenti di costi per la bonifica, la proprietà ha chiesto e ha ottenuto una variante all’accordo di programma che, ad oggi, prevede l’aumento del 50% dei metri quadri da edificare. In realtà non risultano né ulteriori analisi, né ulteriori interventi sul terreno. Quindi, quali sarebbero gli ulteriori esborsi specifici affrontati per la bonifica? La proprietà afferma anche di aver svolto nuove analisi, ma soltanto su alcune parti».
Il progetto del 2007, per bonificare l’area, prevedeva l’escavazione, la rimozione delle parti di terreno inquinate per profondità diverse (da pochi decimetri fino a tre metri) e lo smaltimento in apposite discariche. Interventi già analizzati nei precedenti studi fatti sull’area da altri Enti e da altri possibili acquirenti privati.
«Gli attuali proprietari erano già consci della situazione. Se c’è stato un errore di valutazione la colpa non può ricadere sulla comunità – continua Fabiani -. Hanno pensato soltanto a forzare la mano sulla demolizione della Cattedrale vincolata a colpi di carte bollate e hanno anche lasciato in totale abbandono la Palazzina Uffici. Dati i fatti e gli anni trascorsi nella assoluta inattività, la loro preoccupazione per la salute pubblica non è credibile. Se invece di aspettare tutti questi anni avessero anche solo provato a sperimentare metodologie diverse, ecocompatibili e più sostenibili economicamente, oggi probabilmente avremmo già risolto il problema delle parti inquinate dell’area».
Il Coordinamento porta come esempio alcuni studi scientifici e pratiche le quali dicono che la possibilità di bonificare in situ è praticabile, senza necessità alcuna di demolire le strutture vincolate esistenti. «Per esempio, si può agire sui metalli pesanti e altri composti inorganici tramite il fitorimedio, il lavaggio del suolo, la separazione elettrocinetica ed altro. Il tutto in tempi relativamente brevi, se non addirittura brevissimi – concludono -. Insomma, per finire con una battuta, se dieci anni fa avessero piantato girasoli, pioppi, vetiver o altre piante adatte allo scopo, oggi l’area sarebbe già bonificata».
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