di Alessandro Luzi
La scorsa settimana ha fatto discutere la notizia dell’avvio dell’iter per l’installazione di un impianto agrivoltaico tra Belmonte Piceno e Servigliano. Una distesa di circa 40 ettari di pannelli solari a coprire l’intero crinale di una collina. Come un mantra, la politica locale ha stigmatizzato il progetto. I motivi avanzati sono sostanzialmente due: andrebbe a deturpare il paesaggio circostante e ciò avrebbe inevitabilmente delle ripercussioni sul turismo, quindi sul tessuto economico della zona. Sulla stessa linea ci sono anche le associazioni dedite alla cura del patrimonio ambientale ed i titolari di agriturismi e b&b. Pertanto si è costituito un vero e proprio fronte comune, supportato dai Comuni limitrofi, per impedire la realizzazione dell’opera. Ora, però, questa unione trasversale riuscirà nel suo intento? Qualche dubbio c’è.
Entro il 28 febbraio gli organi di competenza potranno inviare al Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica delle osservazioni tecniche riguardo il progetto. A detta dell’assessore regionale alla tutela del paesaggio, Stefano Aguzzi, e della capogruppo regionale di Forza Italia, Jessica Marcozzi, Palazzo Raffaello ha inoltrato il parere negativo sull’impianto facendo fede al D.lgs 199/2021. La normativa nazionale anticipa alcuni criteri generali per l’individuazione di aree idonee alla collocazione di centrali a fonti rinnovabili e impedisce di situarle in zone in cui sono presenti beni di carattere culturale. Infatti, proprio a circa un chilometro dalla superficie interessata, c’è la necropoli picena risalente al VI secolo a.C. La Provincia invece ha contestato direttamente il progetto, ritenuto troppo lacunoso e impreciso.
Lo screening di via ora spetta al Ministero ma tali obiezioni potrebbero non bastare. Infatti il D.lgs 199/2021 contiene delle linee guida molto generiche su dove collocare gli impianti energetici a fonti rinnovabili. L’allora governo Draghi rinviava ad un successivo provvedimento una definizione più approfondita dei criteri di localizzazione. Tuttavia il documento non è mai stato emanato e sui motivi c’è un grosso punto interrogativo. Intanto le Regioni sono rimaste a mani vuote in balia delle numerose richieste d’installazione di nuove centrali.
Invece, per quanto riguarda la tutela dei beni culturali e aree agricole, il decreto si riferisce agli “impianti fotovoltaici a terra”. La struttura in questione non rientra in questa categoria bensì è un agrivoltaico, ossia costituito da pannelli solari fissati a circa cinque metri dal suolo. Questa tipologia è stata introdotta con l’intento di consentire l’attività agricola sul suolo sottostante e allo stesso tempo favorire la transizione energetica. Infatti per l’agrivoltaico le normative sono meno stringenti rispetto al fotovoltaico a terra. Del resto, con il Pnrr (sono previsti circa 60 milioni di euro la “rivoluzione verde”) ed il conflitto russo-ucraino, l’Europa viaggia spedita verso la cosiddetta “rivoluzione verde”. Questo è sicuramente un aspetto fondamentale per raggiungere l’indipendenza energetica. Però, nella fretta di distaccarsi dai rifornimenti russi, è importante non cadere in alcuni errori.
Innanzitutto la transizione energetica deve tenere conto anche delle peculiarità paesaggistiche, economiche e ambientali di tutti gli Stati aderenti all’Ue. Inoltre è importante che quest’ultimi non lascino dei margini di manovra troppo ampi alle ditte private, sia sui costi di rivendita dell’energia prodotta che sull’impatto ambientale/paesaggistico. Per via delle caratteristiche morfologiche del territorio, l’agrivoltaico è sicuramente adatto per le vaste pianure del nord-Europa rispetto al suolo italiano, più collinare e variegato. Il paesaggio del nostro entroterra ha delle peculiarità che sono vere e proprie fonti di turismo. Occuparlo con una distesa di 40 ettari di pannelli solari costituirebbe un danno enorme. Poi c’è il tema legato agli aspetti prettamente agricoli, in particolare alla resa delle colture e del terreno. Gli studi scientifici hanno elaborato dei dati sul breve periodo, quindi le prove non sono sufficienti per definire se effettivamente l’attività agricola viene compromessa o meno. Sicuramente, dai dati emersi, sotto i pannelli fotovoltaici non sarà possibile coltivare tutti i prodotti in quanto la luminosità è carente ed il terreno ha delle temperature più elevate. È quanto mai necessario trovare una sintesi tra la transizione energetica e la tutela degli equilibri paesaggistici, ambientali ed economici locali. Per ora sull’agrivoltaico le incertezze oltrepassano di gran lunga le certezze, mentre le normative nazionali sono troppo timide. Prima di compiere un salto nel vuoto sarebbe opportuno percorrere sentieri più sicuri o quanto meno avanzare con cautela. Viceversa, ad oggi, l’idea di costruire un impianto agrivoltaico di dimensioni enormi tra Belmonte Piceno e Servigliano sembra quanto mai precipitosa, oltre che inopportuna dal punto di vista paesaggistico.
Impianto agro-fotovoltaico a Belmonte, il no convinto del Coordinamento Ambientalista
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