«I medici non vogliono più lavorare nella sanità pubblica». E’ l’allarme lanciato dal presidente della Fesmed, Giambattista Catalini. Il presidente, prima di proporre la cura, snocciola qualche dato allarmante: «Ogni anno circa 1000 camici bianchi si trasferiscono all’estero e 2000 decidono di dimettersi dagli ospedali pubblici per lavorare nel privato. I concorsi spesso vanno deserti, e alcune borse di specializzazione, come quelle chirurgiche o in Medicina d’Emergenza-Urgenza, non vengono assegnate. Per coprire i turni negli ospedali ormai in quasi tutta Italia ci si rivolge ai medici gettonisti, alle cooperative, ai medici stranieri. Nei Pronto Soccorso abbandonati dai medici ma assaltati dai pazienti spesso sono costretti a lavorare medici con specializzazioni completamente diverse, rallentando l’attività dei propri reparti e allungando le liste di attesa. Insomma, se non si rende nuovamente attrattivo per i medici il Servizio sanitario nazionale, questo è destinato al fallimento».
Dinanzi a questo scenario, secondo il presidente Catalini è necessario agire in tre direzioni: eliminare il tetto di spesa sul personale sanitario, depenalizzare l’atto medico e migliorare il contratto collettivo nazionale di lavoro
Eliminare il tetto di spesa sul personale sanitario
«Nelle Aziende sanitarie vige ancora un anacronistico tetto di spesa che impedisce di spendere per il personale più di quanto speso nel 2004 (meno l’1,4%). Un tetto che impedisce di assumere nuovi professionisti e di gratificare quanti già lavorano in ospedale. Un tetto che dunque rende pressoché impossibile colmare la carenza di personale, costringendo gli ospedali a coprire i buchi di organico con prestazioni offerte a caro prezzo da cooperative e medici a gettone. Eliminare il tetto di spesa consentirebbe allora l’attuazione di forti politiche di assunzioni che recuperino i tagli del passato, escludendo il precariato ed il reclutamento di personale a gettone. E quando i reparti e i Pronto soccorso saranno dotati del numero adeguato di professionisti, miglioreranno le condizioni di lavoro e si ridurranno le liste d’attesa».
Depenalizzare l’atto medico
«Italia, Messico e Polonia sono gli unici Paesi al mondo in cui esiste la responsabilità penale del medico. Un sistema che porta i medici a ricorrere alla medicina difensiva (richiedendo ad esempio esami non essenziali ma che potrebbero risultare utili in caso di contenzioso) e che porta i pazienti ad intentare ogni anno oltre 35.000 azioni legali che nella maggior parte dei casi si traducono in un nulla di fatto: il 95% delle cause nel penale ed il 70% nel civile si conclude con il proscioglimento. Tutto questo, inoltre, fa aumentare vertiginosamente i premi delle assicurazioni professionali, oltre a spaventare molti giovani medici che, come si diceva, scelgono sempre più spesso specializzazioni in cui il rischio è inferiore. È dunque essenziale completare la legge sulla responsabilità professionale depenalizzando l’atto medico, facendo finalmente capire ai pazienti e ai loro familiari che il bisturi del chirurgo non è come il coltello dell’assassino. Bisogna inoltre mettere mano alla questione assicurativa, raggiungendo un accordo per la copertura dei professionisti e delle Aziende Sanitarie: così come non si guida l’auto senza assicurazione, un chirurgo non dovrebbe operare in assenza di copertura».
Migliorare il Contratto collettivo nazionale di lavoro
«Il Contratto collettivo nazionale di lavoro dei medici vigente è stato firmato nel 2019, ma ad oggi viene applicato in pochissime aziende. All’inizio di febbraio 2023 è iniziata la trattativa per il rinnovo del contratto, da cui i medici di tutta Italia si attendono un riconoscimento importante, considerando che nel frattempo hanno dovuto affrontare a mani nude una pandemia. Ma oltre all’aspetto economico (ricordiamo che gli stipendi dei medici italiani sono tra i più bassi d’Europa), è essenziale mettere mano alla parte normativa, in modo da migliorare le condizioni di lavoro ed il rapporto tra lavoro e vita privata. E, in ogni caso, il contratto deve essere reso esigibile a livello aziendale, prevedendo un termine perentorio entro il quale le Direzioni generali devono convocare i sindacati per avviare e concludere le trattative.»
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