di Silvia Remoli
E’ nel 1997 che Cosimo Fini, classe 1980, figlio di due giornalisti, intraprende la sua ascesa nel panorama rap italiano, dapprima con i suoi amici, tra cui D’Argen D’amico, e Jake La Furia, con cui fonda i Club Dogo, poi da solo, con il nome d’arte Gué Pequeno, ed ora semplicemente Guè.
188 cm di tatuaggi e muscoli distribuiti su un corpo da pugile, tenuto allenato costantemente, anche durante il tour, compresa la data zero fermana, frequentando una palestra locale ed uscendo con amici in zona particolarmente sportivi.
Con loro ha potuto anche frequentare la costa concedendosi una breve passeggiata in spiaggia, ritagliata tra le tante ore di preparazione del ‘Gué Live 2023’ a Villa Vitali, dove si è esibito ieri sera, atteso da una fiumana di giovani del territorio e non solo, in fila all’ingresso dell’arena già dalle 19.
Il concerto fermano è stato un susseguirsi di hit del passato e successi più recenti, all’insegna della triade donne/motore/soldi, tanto amata dal ‘Sinatra del rap’ (come si definì lui stesso all’uscita di un album che portava proprio il nome del compianto crooner italo-americano).
Nella scaletta ha alternato brani ruvidi da gangster a pezzi più melodici e tracce del suo ultimo lavoro ‘Madreperla’, si è misurato in un complesso free style, ed ha lasciato anche il giusto spazio a chi lo accompagnato sul palco, e cioè un bel gruppo di professionisti (quasi tutti polistrumentisti), a partire dal Dj Taiwan che gli ha scaldato il pubblico, passando poi al tastierista Massimo D’Ambra, il batterista Carmine Landolfi ed il bassista Cristian Capasso (qui per deformazione devo fare un plauso alle linee di ‘Fuori orario’ e ‘Veleno’, la prima molto in stile Scarface/anni ’80 e la seconda semplicissima ed efficace), dimostratisi il valore aggiunto dell’esibizione live, di cui hanno esaltato la riuscita.
In perfetto stile ‘sciupafemmine’ (o meglio ‘conquistadores de chicas’), non potevano poi mancare due esotiche ed appariscenti ballerine dalle movenze sensuali (Sheyla e Karina i loro nomi, se non ho sentito male), vestite di poca, anzi pochissima, stoffa ma, si sa, d’estate fa caldo e ci si muove meglio con meno panni addosso, specie se si deve twerkare o spalmarsi a terra in spaccata (per la precisione sono entrate in scena coperte solo da una rete di quelle che si usano per avvolgere gli arrosti però, signori, siate comprensivi, eravamo alla data zero di un concerto rap, non alla prima del Lago dei Cigni alla Scala di Milano!).
I featuring e le cover
Ammazza che paroloni strani per dire più semplicemente che Guè non disdegna le collaborazioni, tutti’altro: Marrachash, Salmo, Sferaebbasta, Rose Villain, Luché, Anna, solo per citarne alcuni del presente; ma riesuma anche grandi del passato come Mango in ‘Bling Bling (Oro)’ e ricampiona riff già largamente usati come ‘Mi hai capito o no?’ di Ron (che a sua volta lo aveva preso in prestito da ‘I can’t go for that’ del duo Hall e Oates, sfruttato pure dai Simply Red in ‘Sunrise’), ma imprimendo sempre il suo tocco e conferendo loro una ritrovata originalità.
Tanto duro fuori quanto morbido dentro…
Si vabbè, abbigliamento hip hop alla Fifty Cent, denti d’oro, catene al collo erte come quelle per assicurare il motorino al palo, e tanti altri ingredienti da inseguimenti polizieschi non mancano: ladri, prostitute, scooteroni per le fughe, minacce, sbronze, droga e tanto altro ma… alla fine Guè è un generoso che ama solo fare un po’ di casino. Lo riconosce lui stesso dando titoli ai suoi album come ‘Bravo ragazzo’, ‘Ragazzo d’oro’, ‘Gentleman’, ‘Vero’, ‘Mr. Fini’ e, addirittura, ‘Guesus’ (qui magari i cattolici superpraticanti potrebbero storcere il nasino, ma io direi che si può tranquillamente sottrarre l’artista all’accusa di blasfemia mettendoci un pizzico d’intelligenza e di ironia, specie laddove Guè ha scelto questo pseudonimo per esorcizzare il suo problema alla palpebra, che sin da piccolo induceva i bulletti a canzonarlo chiamandolo ‘guercio’: « io lo vedo come mio segno distintivo, ancor prima che un difetto, ecco perché non ho intenzione di correggerlo», ha dichiarato, come se l’avesse in qualche modo temprato).
Dizionario rap-italiano per boomer
Un live di Guè mi è risultato particolarmente utile non solo per smaltire ballando un decimo delle calorie ingerite col gelato post concerto, ma anche per fare un rapido ripasso di quei vocaboli che in italiano hanno un significato ma che in linguaggio rap ne assumono completamente un altro. Ecco allora che ne ho approfittato per prendere appunti, anche nella speranza di comprendere meglio i discorsi in codice dei miei figli.
Allora, ho realizzato che: le ‘bande’ sono esclusivamente quelle inclini a commettere illeciti penali (e mai quelle di paese con le trombe e la grancassa); il ‘grano’ è solo il denaro, i soldi, o cash, o contanti, o bling bling o come li vogliate chiamare, ma mai quello che si falcia con la mietitrebbia; i ‘fratelli’ non sono propriamente i consanguinei in linea collaterale, per ‘braccio’ non si intende l’arto superiore ma la sezione di un penitenziario; il ‘ferro’ non si usa per stirare ma risulta più utile nelle rapine a mano armata; l’albicocca è sì un frutto ma… dell’amore. E qui direi che per oggi ho esaurito la capacità di apprendimento di nuove nozioni.
La scaletta (ma probabilmente non definitiva?)
Prendete con le pinze l’elenco dei brani con cui si è esibito a Fermo, perché nei tre giorni di preparazione del tour sono state provate anche molte canzoni che poi non hanno fatto parte del live di venerdì sera (tra cui ‘Gelosa’, ‘Domai’, ‘Rose nere’, ‘Gucci ski mask’, ‘Trinità’ , che potrebbero quindi essere reinserite nelle date future):
Sulle note dell’ultimo brano Guè ha voluto salutare «ricambiando con infinito amore tutto il supporto» ricevuto dal pubblico fermano.
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