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Porto, parla l’ad della Marina: «Non ci fermiamo, siamo nella legalità. Pronta la nuova polizza fideiussoria»

PORTO SAN GIORGIO - L'affaire porto continua a far discutere. In attesa che a pronunciarsi sia il Tar di Ancona sul ricorso della Marina contro il provvedimento di decadenza della concessione demaniale notificato dal Comune, l'ad Renato Marconi fa il punto sulla vicenda.

Renato Marconi

di Sandro Renzi

L’affaire porto continua a far discutere. In attesa che a pronunciarsi sia il Tar di Ancona sul ricorso della Marina contro il provvedimento di decadenza della concessione demaniale notificato dal Comune, che peraltro ha concesso alla società altri 90 giorni per sgomberare l’area, l’ad Renato Marconi torna a bomba sulla vicenda per chiarire definitivamente alcune questioni e mettere un punto fermo. Nel mezzo, come è ormai noto, il mancato pagamento dei canoni per circa 900mila euro, secondo quanto calcolato dagli uffici comunali e dal demanio, circostanza che avrebbe indotto ad avviare l’iter di decadenza e la richiesta di risarcimento per 48,2 milioni di euro avanzata invece dalla Marina srl per non aver potuto godere a pieno della concessione.

Marconi, per cominciare, ha ribadito in conferenza stampa a nome della società «di essere nel pieno della legalità» e di «aver gestito fruttuosamente la struttura in questi anni contrariamente a quanto è stato detto. La società ha investito e continua a farlo». Società che vede la Marinedi srl svolgere un ruolo di controllo e gestione dell’infrastruttura con il supporto dell’altro socio rappresentato dalla Matteo e Paola Renzi & C S.a.p.a. «Una gestione diversa e stravolgente rispetto a quanto fatto prima -prosegue Marconi- Renzi ci ha chiamato come soci gestori per rompere col passato e sono stati ripianati i debiti. Sono stati tre anni ricchi di lavoro gli ultimi, nel 2022 è arrivato anche il nuovo piano portuale dopo una attesa durata oltre 40 anni. Questa gestione insomma ha raggiunto i suoi obiettivi, non possiamo che essere soddisfatti».

Si intuisce, però, che l’obiettivo a cui Marconi fa riferimento ora non è un traguardo ma un punto di partenza. Quello che vuole la società Marina è mettere in pratica le previsioni edificatorie. Come si dice in questi casi, “mettere a terra” gli investimenti e rendere fruttifera la concessione. Realizzare anche le infrastrutture commerciali e di servizio all’approdo. Per farlo occorre trovare una via di uscita dall’impasse giudiziario-amministrativo in cui le parti sono finite. Il capitolo “contenzioso” è quello che ora tiene banco. Perché ci si è arrivati? Marconi non ha dubbi. «Cattive o errate interpretazioni di sentenze e leggi da parte del Comune in questa materia -dice l’ad- noi siamo nella più assoluta legalità, abbiamo diritto che vengano rivisti i canoni demaniali. Già nel 2019 il Comune ha dovuto riconoscere a seguito di sentenze del Tar Marche un primo errore nei conteggi, comportante una diminuzione degli stessi da 300 a 200mila euro annui». La Marina esige dunque che si applichi semplicemente la legge «lo chiederemo sempre e non ci fermeremo. Lo chiederemo ai tribunali perché non siamo riusciti ad ottenere nulla dagli uffici comunali che avrebbero dovuto agire diversamente». Ma non basta. Perché carte alla mano, i legali della società hanno ravvisato altri tre ulteriori errori chiedendone la relativa correzione. Ancora Marconi. «Non hanno scomputato l’area pescherecci tra quelle dateci in concessione. Tale somma si aggira intorno ai 120mila euro. Non hanno scomputato, ai fine del canone demaniale, l’area a terra della consistenza di circa 50mila mq occupata da sabbie dragate a suo tempo per conto del Comune, ed inutilizzabile in quanto sprovvista di idoneo strumento urbanistico almeno fino a giugno 2022 ed infine un ulteriore motivo di ricalcolo è legato alle opere già realizzate dal concessionario, come peraltro stabilito da alcune norme». In sostanza, se non è stato possibile godere e sfruttare la concessione demaniale per ragioni che la Marina imputa all’ente concedente (Regione e Comune)  «la concessione deve essere rivisitata sia in termini di canoni che lunghezza temporale della stessa. Questo è un obbligo di legge. A fronte di lavori mai eseguiti, si ritiene che il concessionario, per rientrare dei costi e fare legittimamente i suoi guadagni, debba godere della concessione.  La parte più importante, quella a terra, che doveva garantire il maggior beneficio (lo sviluppo immobiliare), infatti non è mai partita. A fronte di 120mila metri cubi di costruzioni previste dai promotori del progetto negli anni ’80, sarebbero state realizzate anche le opere per la parte a mare. Ebbene, queste ultime sono state fatte, mentre il piano regolatore portuale è stato approvato lo scorso anno e prevede un terzo di quello che era stato deciso originariamente in termini di volumi». Nel frattempo l’esperienza della società Approdo è terminata, le società che si sono succedute hanno dovuto ripianare i debiti e quando finalmente arriva il piano per il porto l’orizzonte temporale per la concessione è solo di 8 anni. Questo il termine di legge.

Renato Marconi

«Così non abbiamo convenienza, a che pro investire 20 milioni di euro dal momento che la scadenza sarà tra 8 anni? Bisognerebbe prorogare la concessione di altri 32 anni, così il riequilibrio sarebbe sufficiente – chiede Marconi – laddove ciò non dovesse accadere, il Comune dovrà pagare la differenza: in fondo il privato ha investito in forza della concessione ma non ha potuto fare per intero quello che prevedeva l’accordo, ecco perché riteniamo di aver subìto un danno di 48 milioni di euro. Cifra che chiederemo agli amministratori attuali, non a quelli del passato, perché il momento di riferimento è quello della decadenza decisa da questa Amministrazione. Chi in Consiglio comunale delibererà la decadenza si assumerà la responsabilità di questa decisione. Mai nessuno in Italia ha però pagato, decine di volte si è arrivati invece ad una proroga anche di 40 anni e quindi ad una intesa. Ci sono diversi esempi in giro. Questa nostra azione comunque sarà continua, non ci fermeremo, è nostro interesse fare quello che non si è riusciti a fare in oltre 40 anni e che adesso potevamo fare, ma il Comune si è irrigidito. Mi chiedo se dietro ci sia qualche altra strategia da parte dell’ente, se ci siano altri obiettivi. Sia chiara una cosa, però: la Marina non sta chiedendo questi soldi alla città di Porto San Giorgio o ai suoi cittadini ma ai singoli amministratori di parte politica, dirigenti e funzionari pubblici che si siano eventualmente resi responsabili della mancata realizzazione di quanto a suo tempo previsto e che oggi, con il piano regolatore portuale approvato, sarebbe realizzabile laddove fossero esperiti i procedimenti amministrativi previsti ai sensi di legge» prosegue Marconi «un accordo con il Comune non può prescindere dall’applicazione della legge, che si tratti del Tar, del tribunale civile, anche penale se necessario». La porta però non resta chiusa. Al contrario, c’è sempre uno spiraglio di dialogo aperto. Come dimostra, ad esempio, la scelta di aver fatto ricorso ad un’altra società del settore per proporre al Comune una bozza di polizza fideiussoria che gli uffici di via Veneto dovranno valutare dopo aver respinto al mittente la prima offerta perché ritenuta non rispondente ai requisiti richiesti. «Ovviamente non potrà essere retroattiva la polizza» chiarisce l’ad.

C’è poi l’immancabile risvolto occupazionale che non può essere taciuto. Perché secondo le stime della Marina con la revoca della concessione si perderebbero ben 42 posti di lavoro e il tutto andrebbe a gara con il paradosso che la partecipazione sarà estesa anche alla società decaduta. «Come si può notare il comportamento della società è sereno e scevro da ogni polemica o strumentalizzazione. Ci stupisce però la chiusura del Comune che si è sottratto anche al mero dialogo con la concessionaria, contravvenendo a ogni principio di leale collaborazione tra pubblica amministrazione e contribuente. Proprio per questa ragione abbiamo il timore che oggi, con piano approvato ed un porto in ripresa, si voglia valutare una gestione alternativa» chiosa Marconi.

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