di Laura Cutini
“Che questa sia l’ultima volta che ciò accade” scriveva qualche giorno fa sui social la sorella di Giulia Cecchettin, Elena. Non è stato così: alla lunga scia di sangue si è aggiunto il nome dell’ennesima vittima di femminicidio: Rita. Fano, nelle nostre Marche. Gli omicidi di genere in Italia non sono eventi circoscritti o catalogabili in base ad età, ruolo sociale, ambito professionale. Riguardano tutti, da nord a sud. Emerge quindi un dubbio che ha il potere di insinuarsi nella coscienza collettiva: è il femminicidio un problema socio-culturale? Probabilmente è così. Non annoveriamo distinzioni fra gli eventi tragici: gli omicidi nei confronti delle donne appartengono tutti alla stessa catena di rabbia e di violenza. Ci impongono numerose riflessioni. In che modo ognuno di noi può fare la differenza? Sensibilizzando le coscienze ed ovviamente denunciando. La violenza nella maggior parte dei casi avviene fra le mura domestiche, nel luogo più sicuro: in casa, spesso davanti ai figli, ed è qui che si blocca il meccanismo a volte, con la giustificazione del rapporto di parentela. Abbiamo il dovere di renderci intolleranti nei confronti di episodi del genere. La violenza sulle donne non potrà mai essere giustificata. Eppure oggi rispetto al passato, qualcosa si muove. La donna sta ritrovando coraggio, fiducia nelle istituzioni. Alla luce degli inarrestabili fenomeni di omicidio di genere (un femminicidio ogni tre giorni, 106 le vittime da inizio 2023 ad oggi, ndr), sentiamo il parere della presidente della commissione provinciale Pari Opportunità l’avvocato Francesca Palma, da sempre promotrice della parità di genere e attivista per la tutela dei diritti delle donne.
Avvocato, in merito agli accadimenti delle ultime settimane, lei ritiene sia necessario adeguare la legislazione attuale o c’è bisogno di un cambiamento più radicale a livello socio-culturale?
«Il problema è complesso, direi che è stratificato. Come commissione Pari Opportunità è un’attività che svolgiamo da tempo, il raggiungere i territori con il progetto “La via del rispetto” dice tutto nel titolo. Cosa portiamo? La cultura della parità in linea generale, portiamo l’informazione su come chiedere aiuto e quali sono le strutture che esistono nel territorio per trovare aiuto. E’ necessario implementarla, occorrono mezzi e finanziamenti per ampliare le strutture anche con le norme vigenti. Ma le norme vanno anche migliorate. E’ un’azione a strati e deve allargarsi questa cultura, questa attività, come una macchia d’olio. Se proviene dalla base, ha un valore molto maggiore dell’imposizione legislativa o della punizione. Non per niente abbiamo anche aderito al protocollo “Zeus” che riguarda gli uomini maltrattanti. E’ quindi un’operazione che deve essere effettuata a tuttotondo».
Come ci si può adoperare, dunque, per cercare di arginare questa piaga sociale, che riguarda trasversalmente tutte le generazioni e non ha distinzioni territoriali né culturali?
«Il femminicidio ha molte facce, a volte come nel caso di Fano, ci sono altri problemi che innescano la violenza, casi di disagio psichiatrico e necessità di assistenza perenne. E’ necessario che ognuno si adoperi nel proprio ambito, facendo tutto il possibile. La commissione provinciale delle pari opportunità può diffondere questa cultura del rispetto, come sta già facendo da tempo, in tutte le istituzioni, a partire dalle scuole, e andare via via nell’ambito dei vari ranghi della società civile. Quindi le manifestazioni servono per iniziare a fare un’azione concreta».
Esistono dei progetti in essere o in divenire, a partire dalle scuole per esempio?
«C’erano già dei progetti per le scuole, ora li dobbiamo portare in attuazione. Abbiamo già svolto degli incontri in passato che si sono rivolti anche al linguaggio, all’educazione affettiva e c’è da implementarli maggiormente con quei format che oggi sembra verranno istituzionalizzati. Se questo verrà fatto sarà sicuramente una cosa positiva. Noi operiamo come puro volontariato e non è semplice trovare le disponibilità, i mezzi e a volte i finanziamenti. Dobbiamo dire che la commissione regionale per le pari opportunità è stata ultimamente molto attiva e ci ha dato supporto. Quel poco che siamo riusciti a fare con il progetto attuale è grazie a loro e ad alcune istituzioni come l’ambito sociale. Tutte le istituzioni devono collaborare, sono tante quelle che si stanno adoperando per eventi e progetti in essere».
Ritiene che la legislazione attuale sia carente affinché possa essere arginato il problema, andrebbe corretta ed implementata secondo lei?
«Va implementata e soprattutto dovrebbero essere dotate le strutture per l’applicazione. Sono necessari ulteriore personale ed ulteriori mezzi. I princìpi già ci sono, vanno attualizzati, resi più pratici e dotati di strutture e finanziamenti per poter attuare quella che è la norma. La sensibilità nelle istituzioni c’è ed è grande, stiamo anche rinnovando insieme alla Prefettura, che ne è capofila, il protocollo provinciale della rete antiviolenza, ma abbiamo iniziato tanti anni fa già ad utilizzarlo. Il nostro territorio non è sguarnito, è sempre stato molto sensibile in questo campo».
Per quel che concerne il territorio fermano, la situazione rispecchia l’andamento nazionale? C’è un aumento dei casi?
«Sono aumentati quelli che sono emersi e balzati all’attenzione, perché si sta diffondendo la cultura della tutela. Più vittime si sono rivolte alle strutture per chiedere aiuto. Quello che era prima non lo sa nessuno, vedevamo solo i casi estremi. Non so dirle se i casi siano aumentati o diminuiti perché è anche difficile da stabilire. Oggi a differenza di qualche tempo fa, c’è stato un grande aumento di sensibilità nella società civile, questo è fondamentale. Denunciare significa chiedere tutela, non solamente repressione. Si chiede tutela, questo è il messaggio da veicolare. La prima richiesta di aiuto arriva ai centri antiviolenza. Sono cinque nella provincia di Fermo dove c’è anche una casa rifugio gestita dalla cooperativa On the Road con cui collaboriamo. Ringrazio anche l’Ambito e Fondazione Carifermo per l’assidua collaborazione».
Qual è a suo parere, il messaggio più importante da veicolare?
«Denunciare. Ciò significa chiedere tutela e soprattutto ottenere tutela dalle istituzioni».
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