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«Riflessioni a margine all’ultimo episodio di femminicidio»

IL PUNTO di Giuseppe Fedeli «Viene ristabilito un falso equilibrio, perché, una volta destatosi dal sonno della ragione, chi ha ucciso dovrà fare i conti con la metà oscura di sé. Purtroppo, non infrequentemente, l'epilogo della storia è la morte volontaria del carnefice che, attraverso il suicidio, si immola»

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

«Uccidere una donna perché è riuscita a realizzare l’obiettivo che si era prefissa tradisce una grande insicurezza di sé, sancendo la sconfitta di fronte a quello che tradizionalmente era definito il sesso debole. Oggi, in realtà, i ruoli si sono invertiti, e la donna è il “sesso dominante” del nuovo scenario socio-antropologico. Ne è spia la femminilizzazione del maschio, dal punto di vista non soltanto estetico (per meglio dire, estetizzante, deriva del fluyd gender), ma anche comportamentale. Tornando alla tematica che ci occupa, e che trae spunto dell’assassinio della (ex) fidanzata, Giulia Cecchettin, per mano del ventiduenne Filippo Turetta, costui non poteva tollerare che la sua compagna avesse conseguito la laurea (che lei avrebbe sfruttato per un lavoro “fuori di casa”, così mettendo – dal punto di vista dell’altro, verosimilmente legato a stereotipi culturali, e incapace di dare un nome ai sentimenti -deficit di comunicazione tipica del nostro tempo – a rischio la relazione). Sulla scorta dell’opinione dei più insigni criminologi (secondo i quali, nelle dinamiche competitive narcisiste, se uno diventa un ostacolo scomodo va eliminato), il traguardo raggiunto ha scardinato quell’equilibrio, che fungeva da barriera alla frustrazione, generata dalla fragilità, emotiva e relazionale. In altre parole, nel momento in cui il soggetto (maschio, almeno all’anagrafe…), psicologicamente labile, vede il suo “omologo” femminile “superarlo”, in una società in cui dominano l’ansia di prestazione e le corse al podio, quegli non riesce a smaltire la frustrazione: si sente come tradito e sconfitto, non tanto da lei, quanto dal suo ego, fragile e insicuro, travestito da “bravo ragazzo”, incapace, tuttavia, di riconoscere la distinzione tra il bene e il male. Incapace di reggere all’urto della vita, anche perché non è mai entrato in dialogo con la parte femminile, che è in ciascun maschio (e viceversa). Al punto che, per ristabilire la pariteticità dei generi, deve eliminare l’ostacolo, pena l’autoannientamento. Da qui il tragico numero di femminicidi (superfluo dire che il maschio resta, generalmente, il “contendente” fisicamente più forte), fenomeno che desta ovunque, e sempre più, allarme e paura.

Per concludere, così facendo, viene ristabilito un falso equilibrio, perché, una volta destatosi dal sonno della ragione, chi ha ucciso dovrà fare i conti con la metà oscura di sé. Purtroppo, non infrequentemente, l’epilogo della storia è la morte volontaria del carnefice che, attraverso il suicidio, si immola».

* giudice


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