di Sandro Renzi
Il trend si conferma e le Marche, terra di anziani ed ultracentenari, finiscono nella parte bassa della classifica. Sono in buona compagnia, si fa per dire, di altre regioni, di sicuro tutte quelle del Sud dove il sorpasso è già avvenuto. Lo certifica l’Ufficio Studi della Cgia di Mestre: il confronto tra il numero delle pensioni erogate e quello degli occupati pende di più verso le prime. In buona sostanza ci sono più pensionati che lavoratori. Nella Marche il tasso è negativo (- 14 mila). In termini assoluti, a fronte di 653 mila pensioni pagate abbiamo 639 mila occupati. E non possiamo sentirci sollevati guardando altrove, ad esempio in Sicilia, dove addirittura la differenza ammonta a 303 mila unità.
Se a livello nazionale il rapporto ormai è di uno a uno (22.772.000 pensioni e 23.099.000 occupati), nel Mezzogiorno e nella nostra Regione, quindi, il sorpasso è già avvenuto. Un quadro che preoccupa e che la Cgia imputa a tre fattori tra loro correlati: denatalità, invecchiamento della popolazione e presenza di lavoratori irregolari. Si ingrossa così la fila dei percettori di welfare. Come riequilibrare il sistema? «Soluzioni miracolistiche non ce ne sono e ancorché fossero disponibili i risultati li avremmo non prima di 20-25 anni. Tuttavia, con sempre meno giovani e sempre più pensionati, il trend può essere invertito in tempi medio-lunghi solo allargando la base occupazionale» fanno sapere dalla Cgia.
Ma come? Ecco una possibile ricetta: «Innanzitutto portando a galla una buona parte dei lavoratori “invisibili” presenti nel Paese. Stiamo parlando di coloro che svolgono un’attività in nero che, secondo l’Istat, ammontano a circa 3 milioni di persone che ogni giorno si recano nei campi, nelle fabbriche e nelle abitazioni degli italiani a svolgere la propria attività lavorativa irregolare. E’ altresì necessario incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, visto che siamo fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile (pari al 50% circa). Inoltre, bisogna rafforzare le politiche che incentivano la crescita demografica (aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori, etc.) e allungare la vita lavorativa delle persone (almeno delle persone che svolgono un’attività impiegatizia o intellettuale)». Da ultimo è necessario innalzare il livello di istruzione della forza lavoro che in Italia è ancora tra i più bassi di tutta l’Ue. Ancora i numeri a suffragare quanto sostiene la Cgia. Entro 2027 andranno sostituti quasi 3 milioni di addetti, ma tra il 2023 e il 2027, ad esempio, il mercato del lavoro italiano richiederà poco meno di tre milioni di persone in sostituzione di quelle destinate ad andare in pensione. Insomma, nei prossimi 5 anni quasi il 12% degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età.
Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici; in particolar modo a causa dell’aumento della spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e di assistenza alle persone. «Va altresì segnalato che con una presenza di over 65 molto diffusa, alcuni importanti settori economici potrebbero subire dei contraccolpi negativi. Con una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione giovane, una società costituita prevalentemente da anziani rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo (HoReCa). Per contro, invece, le banche potrebbero contare su alcuni effetti positivi; con una maggiore predisposizione al risparmio, le persone più anziane dovrebbero aumentare la dimensione economica dei propri depositi».
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