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«Divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari, proteggiamo la presunzione di non colpevolezza»

IL PUNTO di Giuseppe Fedeli: «Il bene da proteggere è la presunzione d'innocenza, o, per meglio dire, di non colpevolezza, riguardo al quale si sta lavorando su diversi fronti. L'auspicio è che si individui un punto di stabilità, non soltanto giuridico processuale»

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

Dopo l’approvazione del suo emendamento che vieta la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare attraverso la modifica dell’articolo 114 cpp, c’è stata una levata di scudi contro Enrico Costa, responsabile giustizia di Azione. “Il vero coraggio è guarire il processo. Non nasconderlo alla stampa”: queste le parole del giornalista Alessandro Barbano. Un’ordinanza di custodia cautelare è uno dei provvedimenti più gravosi che un giudice può adottare, tale per cui non può essere sottratto al controllo democratico. Questa una delle tesi, che si contende il campo con l’altra, più “garantista” (nel senso di rispettosa dei diritti di chi ne è colpito). Personalmente, non sono d’accordo sul fatto che un provvedimento che limita la libertà personale non possa essere sottratto, al pari di tutti gli atti giudiziari corredati di una motivazione, alla garanzia di un controllo democratico. Quando diciamo che il giudice amministra la giustizia in nome del popolo italiano, intendiamo che il limite al suo magistero è il complesso di valori costituzionali in cui si esprime una sovranità popolare. La quale si esercita attraverso la pubblicità delle udienze e il controllo critico dei cittadini fin dall’avvio delle indagini preliminari, in ragione del loro interesse a conoscere come viene amministrata la giustizia. Ora, se è vero che un’ordinanza di custodia cautelare comprime la libertà senza che sia intervenuto un giudicato di condanna, nondimeno, nella prassi degli ultimi decenni il controllo popolare sul processo è degenerato nella gogna, così amplificando unicamente le ipotesi di accusa, quando non fossero elementi privi di rilevanza penale, ma idonei a provocare un danno alla immagine agli indagati e ai terzi indirettamente coinvolti nell’indagine. Per cui l’obiettivo dell’azione penale cessa di essere il reato e diventa la persona, inghiottita nel buco nero dell’indagine. Si verifica una sorta di eterogenesi dei fini, per cui, “inchiodato” il colpevole, se ne vagliano a seguire le prove, reggano o meno queste alla verità dei fatti. Dato il “reo” in pasto alla opinione pubblica, questa può saziare in parte le sue brame (è la logica del “capro espiatorio”, espediente per assicurare equilibrio al sistema, politico -nel senso di insieme di cittadini- e dell’amministrazione della giustizia), rabbonendosi. Ne è che, per neutralizzare la berlina (mediatica), bisogna ricondurre la funzione giurisdizionale a quella di accertamento di condotte e fatti costituenti reato, attraverso le regole del giusto processo. “Il nostro obiettivo è tutelare la presunzione di innocenza, bilanciando il diritto all’informazione con quello a non essere sbattuti in prima pagina con un atto di accusa che può essere ribaltato dal Riesame o dalla Cassazione”: sono sempre parole di Enrico Costa. Il secondo schieramento ha come alfiere il viceministro della Giustizia Sisto: ““…c’è di fondo un problema italiano. L’idea che il processo serva ad accusare. Non è così: il dibattimento accerta la verità. Per tutto quello che avviene prima della sentenza definitiva vige, ai sensi dell’articolo 27 della Carta, la presunzione d’innocenza(…) Rispetto al diritto di cronaca, “l’articolo 21 non prevede un diritto di cronaca indiscriminato, senza frontiere: deve essere rispettoso degli altri diritti costituzionali, a partire proprio dalla presunzione d’innocenza. Vietare la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare non impedisce di dare notizie, ovviamente pertinenti a un procedimento, utili a informare su un fatto. Quello votato non e’ un divieto assoluto”. In “convergenza parallela”, il tema delle intercettazioni, che consistono nell’attività diretta a captare comunicazioni e conversazioni, nonché flussi di comunicazioni informatiche o telematiche con strumenti della tecnica, il che tende giocoforza a limitare importanti libertà costituzionali, tra le quali la libertà di domicilio e la libertà di corrispondenza e di comunicazione, per le quali sono dettate particolari norme procedurali rivolte a garantire la legittimità formale e sostanziale dell’attività. Il rapporto che intercorre tra la pratica delle captazioni audiovisive di conversazioni e il rispetto della riservatezza e dell’intimità delle persone in esse coinvolte è, a tutt’oggi, assai controverso, soprattutto in rapporto al diritto di cronaca. In sintesi -osservo da giurista-, «il bene da proteggere è la presunzione d’innocenza, o, per meglio dire, di non colpevolezza, riguardo al quale si sta lavorando su diversi fronti. L’auspicio è che si individui un punto di stabilità, non soltanto giuridico processuale». 

* giudice


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