TORRE SAN PATRIZIO – Oggi pomeriggio nel teatro comunale, al cospetto di un folto pubblico tra cui rappresentanze sia politiche (il consigliere regionale Andrea Putzu, il presidente della Provincia Michele Ortenzi, svariati sindaci del territorio fermano e non solo, tra cui Endrio Ubaldi di Montegranaro, grande tifoso milanista), che sportive (il presidente del Coni Marche Fabio Luna, e vari esponenti Figc), Arrigo Sacchi ha ricevuto dal sindaco Luca Leoni la cittadinanza onoraria (vedi articolo): e questa si è rivelata una preziosa occasione per una chiacchierata di quasi due ore, in cui ha svelato qualche curioso e simpatico aneddoto del suo passato non solo di allenatore ma anche di uomo.
E’ stato uno degli allenatori più innovativi e vincenti della storia del calcio, con il suo Milan che nel 1989 fu definito ‘la squadra più forte di tutti i tempi’ e con un’Italia divenuta vice campione del mondo di Usa ’94 dopo aver perso alla roulette russa dei rigori contro il Brasile.
Ma queste sono memorie che si possono agevolmente trovare su internet, per chi non le avesse apprese dal vivo.
Dall’incontro di oggi, invece, è altresì emersa una figura più rotonda, una personalità ricca di sfaccettature, l’animo più intimo di quello che per tutti è ricordato come un rivoluzionario del calcio, proprio come recita il titolo del suo ultimo libro: “Il realista visionario – le mie regole per cambiare le regole”, testo che molti presenti hanno portato con sé e che poi il mister ha firmato con estrema disponibilità, apponendo dediche personali e concedendosi a foto con tutti.
Ma prima di tutto questo e soprattutto ricevere il titolo di cittadino torrese, si è offerto di ripercorrere la sua vita, intrisa di messaggi positivi, rivolgendosi in special modo ai giovani, a tutti quei ragazzi che saranno gli uomini del domani: «Una vittoria senza merito non è una vittoria», e ancora «Ci sono tre cose, a costo zero, che ti possono portare a successi non effimeri: una forte motivazione, un elevato spirito di squadra, e una intelligente strategia di gioco».
Principi morali, questi, che valgono in campo cosi come nella vita, e che per questo guidavano anche i criteri di scelta dei suoi giocatori: «Per prima cosa non guardavo i piedi, ma la testa ed il temperamento. I primi non valgono nulla se non c’è anche una propensione al lavoro, sacrificio, alla costanza, allo spendersi per gli altri. Il calcio nasce come gioco di squadra e se prevale l’individualismo non si arriva da nessuna parte. Uno per uno fa uno, uno per undici fa undici». Ed ancora:«Chi fa affidamento solo sulla furbizia, sull’escamotage, chi confida nelle conoscenze e non nella conoscenza, chi spera nell’errore dell’altro ancor prima che nelle proprie capacità, è un disonesto».
E, oltre a questa illuminante lectio magistralis, non sono mancati curiosi aneddoti sulla sua giovinezza e sui suoi trascorsi di carriera.
Da giocatore ad allenatore, con il padre a fianco:
Ambizioso ma realista, Sacchi ha amato fin da ragazzo il calcio, passione tramandatagli dal papà , giocatore della Spal. Si promise che, nel caso non venisse messo con costanza nella rosa dei convocati, avrebbe seguito le aziende calzaturiere del padre. Fu proprio dall’esperienza lavorativa che apprese dei meccanismi di successo che volle subito applicare la mondo del pallone, stavolta però allenando: la costanza dà risultati duraturi, la furbizia dà gioie evanescenti.
Fu notato da Berlusconi mentre da allenatore del Parma giocò contro il Milan tre volte, battendolo due volte e pareggiandone una. Ricorda che la prima persona a cui disse di essere il prossimo allenatore rossonero fu proprio suo padre, che versava gravemente malato in un letto dell’ospedale di Bologna.
Il rapporto con Silvio Berlusconi:
Con l’allora presidente del Milan Berlusconi ha avuto in comune la passione per il duro lavoro e per il rischio: «chi non sperimenta mai qualcosa di nuovo versa nella routine e rimane intrappolato nel passato». Solo su una cosa si trovarono in disaccordo. Sacchi voleva in squadra Rijkaard, mentre l’ex presidente del consiglio spingeva per l’argentino Borghi. Vinse il romagnolo dicendo: “Presidente, metterebbe mai la sua azienda in mano ad una persona che non le ispira piena fiducia? Beh, allora non vedo perché debba farlo io”. Fu così che Borghi rimase un solo anno, mentre l’olandese continuò a scrivere indelebili pagine di calcio coi suoi connazionali Van Basten e Gullit.
L’affidabilità di Carlo Ancelotti:
A proposito di stima e di preferenza per ‘giocatori di sostanza’ anche quando volle Ancelotti non ebbe vita facile. Aveva dei problemi alle ginocchia e molti lo davano per ‘lesso’. «Ma Carlo aveva una testa, una generosità, una tenacia, una educazione che facevano di lui una persona completa, e, conseguentemente, un giocatore affidabile, sapeva davvero fare squadra».
L’amor patriae:
«Amo questo paese, e mi piace poter diffondere dei messaggi di ottimismo, dei princìpi ottimistici. Ma al contempo faccio i conti con tutti i suoi difetti. In Italia troppo spesso vincono i favoritismi, le prepotenze, e sempre meno il merito. Per il nostro piccolo piacere personale non pensiamo al bene comune. Ce lo insegna la storia : se fossimo stati tutti compatti come Cesare, avremmo potuto continuare a conquistare ancora tanto impegnando anche le minime risorse, perché quell’imperatore fece vincere la forza del gruppo, l’unità. Noi, nel tempo, ci siamo dispersi, non capendo quanto fosse importante, invece, impegnarci per il bene di tutti».
I Mondiali del ’94:
Da grande stratega, Sacchi non ha mai lasciato nulla la caso ed ha iniziato a ‘studiare’ il campo con largo anticipo. «Già dal 1992 effettuavamo spedizioni in America per sondare il terreno, anzi meglio per fare una proiezione realistica di quello che sarebbe stato lo svolgimento degli imminenti Mondiali e riportavo in Italia i resoconti sul clima, dei veri e propri report sulle alte temperature e sul tasso di umidità che ci avrebbero aspettato sulla costa est degli Usa, con picchi di 30 gradi anche di notte, pertanto sapevo che per noi non sarebbe stata proprio una passeggiata ambientarci».
L’immagine dello stadio di Fermo:
Una delle panchine su cui si è seduto Sacchi è stata anche quella del Bruno Recchioni, quando guidava in serie D il Bellaria, nella lontana stagione calcistica 1977-78. «Del manto erboso della Fermana ricordo che era davvero pesantissimo perché gonfio d’acqua»
Il ricordo commosso di Gigi Riva:
Un’ultima raccomandazione, ricordando con affetto Gigi Riva, che da dirigente della Nazionale lo accompagnò in America: «Era una persona speciale: così come era integro in campo, lo si poteva ammirare nella vita. A tal proposito, mi raccomando, smettete di fumare, ho visto troppi cari amici perdere la salute».
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