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“Le tamerici” di Giuseppe Fedeli

Giuseppe Fedeli

di Giuseppe Fedeli *

Le tamerici

“Ascolta. Piove/dalle nuvole sparse./Piove su le tamerici/salmastre ed arse(…)” – G. D’Annunzio, “La pioggia nel pineto”

 

C’è nel corridoio dell’ufficio che sa di stantìo una pianta, tremante a un soffio di brezza, le cui foglie diventano via via gialle, eppure non è ancora arrivata la stagione estiva… Creatura “senziente”, riesce a captare tutto dell’ambiente, umoralità, stati d’animo e perturbazioni, vibrazioni positive e onde negative: probabilmente, la protagonista di questa breve riflessione sta pagando, non certo per colpe di chi la annaffia con cura ogni giorno. Si, è stato sperimentato. In un bosco in cui dovevano essere tagliate delle piante, con attrezzi idonei, si è scoperto che, già all’inizio del taglio, in un ampio raggio gli alberi hanno manifestato movimenti di tremore…

Un sabato di giugno, il lungomare è spoglio, orfano delle tamerici, già sfilanti in bella processione, ad abbellire, umili, un rettangolo di strada, facendo piovere i rami arsi di goccioline e salsedine, a regalare ombra ai passanti. Ma l’uomo, di fronte a discutibili “necessità”, non ha avuto pietà. Il decoro e la bellezza hanno ceduto a interessi “pubblici”.  Dov’è più quello splendore, che i raggi del sole esaltano all’alba, per poi trascolorare, al crepuscolo, in ocra e rosso e arancio…e cos’è stato di  quelle tenere foglioline, che, a guardarle di solecchio, paiono aureolate di nebbiolina…Il sole punge, sono i segni della stagione, prossima a esplodere. C’è un’aria insieme di malinconia e quieta gaiezza, vado a riprendere l’auto, e vedo ancora una volta quello che è stato fatto delle tamerici. La desolazione del fazzoletto di terra, dove si avviluppano, attorti tra loro, monconi di radici: la poesia, qui, non è più di casa. In sintonia con questo scenario, provo un viluppo inestricabile di sensazioni, la desertitudine dell’anima… E rifletto: il mondo vegetale, il suo respiro, non dimentica.


* giudice 


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