I finanzieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, con il supporto del Scico (Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata) e dei Comandi Provinciali della Guardia di Finanza di Ancona e Pesaro-Urbino, coordinati dalla procura e Dda di Reggio Calabria, stanno dando esecuzione in Calabria e nelle Marche ad un provvedimento che dispone l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro di beni per un valore complessivamente stimato in circa 5 milioni di euro. Un colpo messo a segno nei confronti della ‘ndrangheta con sequestri anche nella nostra regione.
Si tratta infatti dell’intero compendio aziendale di una ditta individuale e 2 società operanti nel settore edile; 10 immobili, di cui 3 terreni e 7 fabbricati situati nelle province di Reggio Calabria, Ancona e Pesaro Urbino, oltre a rapporti bancari, finanziari, assicurativi e relative disponibilità, per un valore complessivamente stimato in circa 5 milioni di euro.
L’attività portata avanti da Guardia di Finanza, ha permesso di concretizzare sotto il profilo economico-finanziario, attraverso l’aggressione del patrimonio riconducibile alle cosche, il contesto investigativo derivante dall’operazione “Eyphemos”, già condotta dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria.
L’indagine è stata condotta dal Gico (Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata) di Reggio Calabria, nei confronti di una persona originario della provincia reggina, con interessi imprenditoriali nel settore dell’edilizia, la cui figura criminale era emersa nell’operazione “Eyphemos”, che ha consentito di scoprire l’articolazione e l’operatività del locale di ‘ndrangheta di Sant’Eufemia d’Aspromonte, dotato di margini di autonomia rispetto alla cosca di riferimento, quella degli “Alvaro”, al cui interno l’uomo avrebbe rivestito un ruolo di vertice.
In particolare, l’imprenditore sarebbe risultato il capo, promotore ed organizzatore di una fazione mafiosa all’interno della ‘ndrangheta, con compiti decisionali e di pianificazione di delitti da compiere. Inoltre, grazie al proprio carisma, sarebbe riuscito a catalizzare un cospicuo numero di sodali desiderosi di fondare un banco nuovo, ovvero di formalizzare quell’autonomia che, di fatto, già da tempo veniva esercitata dal gruppo.
L’imprenditore pianificava anche le attività economiche da avviare attraverso cui riciclare il denaro e coordinava la realizzazione di atti di disposizione patrimoniale finalizzati ad eludere l’applicazione di misure patrimoniali attraverso l’intestazione fittizia dei beni a lui riconducibili.
Per questi reati, e per l’associazione di stampo mafioso, l’uomo è stato condannato in secondo grado a 19 anni di reclusione. La Direzione Distrettuale Antimafia calabrese, sempre più interessata agli aspetti economico-imprenditoriali legati alla criminalità organizzata, ha delegato il Gico di svolgere un’apposita indagine a carattere economico e patrimoniale finalizzata all’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali. L’attività ha consentito di rilevare il patrimonio direttamente e indirettamente nella disponibilità dell’imprenditore, il cui valore sarebbe risultato sproporzionato rispetto alla sua reale capacità reddituale.
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